Sunday, April 29, 2007

A me il capitalismo piace


Fonte: Corriere Online


«Esiste un'altra faccia di questo paese: 900 milioni di persone che non stanno beneficiando per nulla dello sviluppo in corso»
NUOVA DELHI - Sotto il boom dell’India cova la rabbia degli esclusi. Tra i 900milioni di persone che non sono riusciti a salire sul treno della crescita indiana, molti non si rassegnano a perderlo. «Soltanto il 20 per cento della popolazione sta beneficiando dello sviluppo in corso» spiega l’economista indiana Jayati Ghosh. Sahari rosso fuoco, tika (simbolo rosso hindu) in fronte tra due occhi che calamitano, questa donna di 52 anni docente all’università Nehru a Nuova Delhi mette subito in guardia il gruppo di giovani imprenditori e manager italiani portati ad esplorare il paese asiatico da The European House Ambrosetti nell’ambito del progetto «Leader del futuro».
L'ALTRA FACCIA DELL'INDIA - «Molti vi parleranno dell’India come paese delle opportunità, io invece vi racconto l’altra faccia del subcontinente» annuncia sciogliendosi i lunghi capelli quasi per sentirsi più libera. Tanto per cominciare il fatto che lei sia un’opinion leader donna non vuol dire che le discriminazioni tra i sessi siano superate, anzi: «Solo se appartengono alle caste superiori le donne sono rispettate e hanno delle chances — dice —. E più che in occidente: l’ho sperimentato quando insegnavo a Cambridge». E un sistema delle caste appena più morbido in città rispetto alla campagna favorisce la concentrazione delle opportunità di emancipazione tra i privilegiati di sempre.
CITTA' - In città «tenetelo ben presente: lo sviluppo non ha fatto aumentare l’occupazione, soprattutto quella giovanile. La crescita economica ha acuito le diseguaglianze, la spesa del governo per sanità ed educazione è diminuita mentre l’inflazione è aumentata: ci sono sacche profonde di frustrazione nel paese» in città e fuori. Nei grandi centri urbani spuntano grandi magazzini e altri simboli del consumismo globale ma per la stragrande maggioranza di chi vi abita sono off-limits. A essere tagliata fuori non è soltanto la base della piramide sociale, ma anche una grossa fetta di quella classe media dai cui consumi dipende il futuro decollo del Paese, ora provato dall’aumento del costo della vita».
CAMPAGNA - Nelle campagne spiega la Ghosh, «i contadini sono esposti senza paracadute alle oscillazioni dei prezzi del mercato mondiale, spesso si indebitano fino al collo e quando non ce la fanno si tolgono la vita». Soltanto nel villaggio di Vidarbha, dalle parti di Bombay, l’anno scorso si sono suicidati oltre 500 contadini. Ci sono poi quelli che si vedono confiscare la propria terra per far spazio a industrie e strade. E che nel cuore dell’India stanno reagendo con la forza: nel Chattsgarth è in corso la rivolta dei naxaliti, movimento d’ispirazione maoista definito dal primo ministro Singh il «maggior pericolo per la stabilità dell’India». Più pericoloso dei 58 milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni in cerca di lavoro («in India il 70 per cento della popolazione ha meno di 35 anni, un potenziale economico incredibile che però non è sfruttato»). Più pericoloso dei 300 milioni di indiani che vivono ancora con meno di un dollaro al giorno. Più pericoloso dell’aumento della violenza dentro e fuori casa.
LA POLITICA - Che il risentimento stia prendendo il posto della tradizionale rassegnazione hindhu (è l’unica grande religione al mondo a predicare che gli uomini non nascono uguali) lo si è visto anche nelle ultime elezioni quelle del 2004 con l’inaspettata sconfitta della Bjp, il partito nazionalista che aveva centrato la sua campagna sul volto brillante della globalizzazione con gli slogan «Indian shining» e «Cento Bangalore». Un voto contro questa visione trionfalistica della nuova India dunque. «Un governo che si vanta della crescita senza considerare le tensioni che crea è destinato a essere cacciato — osserva l’economista — e se questo avviene significa che la democrazia è matura» per questo, secondo Ghosh, le tensioni in atto non sfoceranno in ribellioni e instabilità politica come in America Latina. Piuttosto lei prevede una faticosa negoziazione tra le istanze delle diverse parti che compongono il Paese. Il paese mosaico dalle 19 lingue riconosciute per un Presidente della Repubblica musulmano, un Primo Ministro sikh, e una leader del Partito di Governo cattolica e italiana. Con alcuni provvedimenti per lei inderogabili. Primo: una legge che renda l’istruzione obbligatoria. «Ho combattuto in Commissione governativa perché passasse questa legge ma poi la palla è stata girata ai governi locali» racconta con amarezza Jayati Ghosh. Secondo: stop alla politica della bassa tassazione delle imprese, lo sforzo per far avanzare l’economia emergente deve andare di pari passo con quella di far progredire i poveri. Se nò l’elefante crolla. I giovani leader di domani applaudono. E non sembra proprio una formalità.


Foto: Pomeriggio con i bambini di etnia Karen alla scuola di Maesot, confine birmano-tailandese

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