Thursday, January 31, 2008

Diario indiano (VI): foto, Mumbai (ex Bombay)





























Monday, January 28, 2008

Diario indiano (V): foto, Goa














































Diario indiano (IV): foto, Bangalore











Diario indiano (III): foto, Chennai
















Sunday, January 27, 2008

Diario indiano (II): se mai avro' un cane lo chiamero' Gaugain

Innanzitutto Goa non e' una citta', ma uno stato. Il piu' piccolo stato indiano per l'esatezza, un milione e mezzo di abitanti, costa occidentale dell'India centrale. Goa e' un gran pezzo di terra rossa, foreste di palme, mare da urlo, villaggi colorati, scoppiati di mezzo mondo. Zero smog e zero traffico per fortuna, la capitale e' poco piu' di un villaggio. Abbiamo scelto una spiaggia nel nord di Goa, si chiama Anjuna, tra Baga e Vagator. Dormiamo in una capanna tutta per noi sulla spiaggia, a trenta metri dal mare. Premesso che alba e tramonto sull'oceano sono gli spettacoli piu' belli che madre natura possa regalare, lasciatemi dire che la mucca che prende il sole "svaccata" in spiaggia con gli occhi socchiusi alle dieci di mattina si guadagna meritatamente il secondo posto. Le mucche in spiaggia. Signore mucche. Ogni tanto si alzano e vanno a sgranocchiare erba nel campo a poche decine di metri dal mare, oppure scambiano due chiacchiere con la vicina. E i cani. In spiaggia gli unici veri stranieri siamo noi occidentali. Tappezzata di cacca di mucca, noci di cocco e bucce d'ananas, la spiaggia e' color oro e a tratti nera, ricorda il tiramisu' e la mia voglia di cioccolata e crema. La terra e' rossa che sporca piedi e caviglie. Lo spettacolo maggiore le colline rocciose a strapiombo sull'oceano, creste di palme da cocco e paracadutisti occidentali. Il mare e' l'oceano, non un mare qualsiasi. Non puoi dire di aver fatto il bagno al mare se prima non lo fai in oceano. Mi dispiace per voi marchigiani tanto legati all'Adriatico. L'oceano signori e' altra cosa. Che sia in California, in Portogallo o in India l'oceano e' decisamente altra cosa. Impossibile nuotarvi, onde di due metri quando il mare e' calmo, trenta metri di bagnoasciuga, le onde tirano sassi e risucchiano tutto. Primo giorno, non vedo bagnanti (sara' per gli squali?! Naaaa....), azzardo un tuffo, perdo subito il cappello e non lo rivedro' mai piu', vengo sballottato qua e la', mi rituffo con piu' rabbia e con piu' rabbia vengo scaraventato in spiaggia, stavolta con un amo del milleseicento conficcato in una coscia, solo un po' di dolore, nulla di grave. Oggi mi e' andata meglio, schiena rigata e indice slogato. E' l'oceano. Non il mare. Turisti molti ma pensavo di piu'. Mi sorprende l'eta': non ventenni scoppiati ma quarantenni con figli, tatuaggi e rasta, vecchie bianche con le tette decrepite al vento e medaglioni penzolanti, bancarelle nelle giungle di tutto cio' che da noi si vende nei mercatini orientali, bimbe indiane che vendono braccialetti, uomini che offrono massaggi, giovani che vendono erba, fumo, lsd, cocaina ed ecstasi (dicono... in realta' la gente mi sembra totalmente rilassata, il cervello se l'era gia' bruciato decenni prima), coppiette omo, etero, transessuali, libero amore, libero sesso, libera liberta' annoiata. Troppi rasta e tutti in moto. Affittare una moto costa 3.5 euro al giorno ed e' l'unico mezzo che vedi in giro. Molte famiglie indiane in villeggiatura, ma mordi e fuggi, non credo si fermino a lungo, le ragazze sono sempre stravestite, si fanno il bagno con il sari e guardano con imbarazzo le coetanee occidentale in bikini o in top-less. Atmosfera molto rilassata, zero caos, zero affollamento, passeggiate in spiaggia, i bar e le guest house quasi vuote (strano, e' alta stagione!). Veniamo alla musica. Non che me ne intenda molto, ma Goa e' famosa per le "feste" sballone al ritmo di musiche techno quali goa, chill-out e trance. Effettivamente qua non si sente altro, mi viene da saltellare mentre raggiungo la spiaggia o mentre compro il gelato, la musica e' sparata tutto il giorno e la notte da negozi di musica e locali. Questo e' secondo me l'unico guaio: mi figuravo Goa come una grande, immensa isola di Kopangan (Thailandia meridionale) durante il Full Moon Party, ovvero un mega rave party in spiaggia con giovani di tutto il mondo a ballare e sballare tutta la notte in riva al mare. Qua invece i festoni sono privati, si fanno solo al chiuso in mega-disco o locali-ville. Non necessariamente roba da ricchi, ma comunque alla larga dal mare. Che poi dato che la musica te la sparano talmente alta che la ascolti anche se non vorresti, in spiaggia la "trance" arriva eccome e te ne potresti stare beato a ballare e sballare in spiaggia anche da solo, al buio sotto un cielo stellato da leccarsi barba e baffi. La povera piccola Yu si e' ammalata appena arrivati nella nostra capanna, febbre alta, mal di ossa, schiena e testa. L'ho imbottita di coperte e vestititi, medicine e succhi di frutta, ed e' rimasta a letto immobile per quarantotto ore. Nel frattempo io mi sono bevuto due libri, ustionato al sole, massacrato in oceano, rimpinzato di macedonie di frutta e ho fatto lunghe passeggiate mistiche nelle rosse colline di roccia e palme che sovrastano le varie baie. Impressionante il numero di crocifissi in pietra costuriti qua e la', ma anche templi indu', villette di freakkettoni australiani, spagnoli, canadesi. Non ne posso piu' di questa musica goa, oggi Yu e' stata meglio, mi ha tagliato i capelli in spiaggia davanti agli obiettivi dei turisti occidentali divertiti e si e' fatta il tanto sospirato oil-massagge da delle minorenni indiane che le chiedevano quanto spesso facesse sesso con suo marito, che poi sarei io; domani proviamo a levare le tende, destinazione Mapusa e primo treno/bus per la ricca (speriamo... finora di ricco ho visto solo il mio appetito) Mumbay (ex-Bombay).
Di Goa non dimentichero' la bimba di nove anni che vende oggetti fatti a mano per strada e che in un invidiabile inglese mi ha spiegato che la gente del suo paese 1) non fuma 2) non si fidanza, sono i genitori a decidere il matrimonio 3) deve pagarsi gli studi perche' la scuola non e' gratuita.
Di foto ne ho fatte tante ma anche stavolta non ho la macchinetta digitale con me.
Da grande voglio fare il marinaio...

Thursday, January 24, 2008

Diario indiano (I): dove le vacche comandano e il popolo ubbidisce

Qualcuno direbbe che qua "e' complicatissima". Quattro giorni che vaabondo per le strade cittadine di questa incomprensibile India (per me il miglior modo per conoscere una citta' e' "passeggiarla", ore e ore senza sosta, finche' le rotule non pisciano sangue) e ancora non credo di poter proferir parola, muovere un'affermazione, azzardare una conclusione anche solo parziale e superficiale. L'India di queste poche ore e' lontanissima da cio' che a grandi linee mi immaginavo, semplicemente un altro mondo rispetto alla Cina, un'altra galassia rispetto all'occidente. Dove sono finito? Non che mi dispiaccia... dispiace invece avere un'ignoranza simile quanto a storia a cultura indiana, dispiace osservare tutto con occhi da orbo, che guarda ma non vede. Guardo e non capisco. Nulla. Non che vorrei capire, ma azionare domande ed ipotesi, ragionamenti, tentativi di afferrare qualcosa nel mio cervello questo si'. L'India e' davvero lontana. Eppure troppi esami avevo dato in storia, letteratura, filosofia indiana e lingua hindi. Dimenticato tutto, o meglio, irriorganizzabile, irricostruibile. Mi ero aiutato negli ultimi periodi con altra letteratura, articoli, internet. Inutile.
Atterrato a Chennai, ex Madras, stato del Tamil Nadu, profondo sud-est. Una metropoli di sei milioni settecentomila anime. Si parla e si scrive in tamil, lingua diversa dall'hindi, figuratevi dall'inglese. Meno male l'inglese. Qui qualcuno l'inglese lo parla, molte cose sono scritte in inglese, puoi comunicare con la gente del posto anche se non hai studiato la loro lingua, cosa impossibile nel 99% della Cina. Caldo caldissimo ma sopportabile. La cosa piu' fastidiosa (ovvero l'unica) l'inquinamento acustico. Assordante. Mal di testa fisso, impossibile parlare per strada. L'inquinamento atmosferico e' anche invidiabile, ma io vengo da Pechino, non sono abituato a vedere il sole, fiuriamoci se mi spaventa il fumo nero che si respira per strada a Chennai! Ma il rumore, questo mi disturba davvero. Mai vissuto niente di simile. Motori della prima guerra punica e marmitte rigorosamente sfondate. E clacson a go-go. Impazzisco.
Quando vai a visitare un nuovo paese, viene abbastanza naturale descriverlo per analogie/disuguaglianze con il proprio paese d'origine o altri visitati. E io non posso non fare altrimenti, mi vengono automatici i paragoni con (innanzitutto) Cina, Italia, Kenya, Marocco, Thailandia, etc... L'India che ho visto finora non e' paragonabile a niente altro di visto in precedenza. Se proprio devo farlo, abbinerei l'India a una via di mezzo tra Thailandia e il Kenya. I colori della Thailandia e la miseria del Kenya. Cosa so io di India a parte induismo, caste, Mogul, Gandhi, pil? Poco. Con questi pochi elementi cerco di costuirmi e spiegarmi quello che vedo. Vedo strade traboccanti di mezzi, caos inimmaginabile (mi manca la Cina, davvero), gente buttata ad ogni angolo della strada, accanto a immondizia e topi. Di auto non me ne intendo. I bus sembrano quelli cinesi degli anni settanta, ma non hanno porte e si sale e scende quando vuoi (o meglio, quando possibile...). I treni idem. Le mucche sui binari. Non esistono taxi, ma motocarrozzate a tre ruote simili al "tuk-tuk" tailandese. Questi specie di tuk-tuk li chiamano "bus". I ristoranti li chiamano "hotel". Gli ostelli li chiamano "rooms". Fin qui tutto bene. La cosa su cui forse prima butti inesorabilmente l'occhio e' l'immondizia. Come a Napoli, ma non nei sacchetti. E i topi in festa. Ci sono degli animaletti che saltellano tutto il giorno e la notte: se sono sopra altezza uomo sono scoiattoli, altrimenti sono topi. Topi giganti, topi morti topi vivi, topi interi topi mezzi, topi ovunque. Avevate mai visto un fiume nero? Io no. Nero cazzo, nero! Come Weah! Come carbone! Sembrava non ci scorresse acqua ma petrolio. Ne ho visti molti. Ai bordi cumuli di immondizia e carcasse di animali. Sopra delle baracche di legna e paglia, abitate da miserabili. Gli anziani che si rotolano nella loro stessa merda e i bambini che fanno il bagno nel fiume sopra pezzi di polisterolo o gomme. Non molti mendicanti, solo qualche madre con bimbo menomato, paralizzati, mozzati, lebbrosi. Ma la lebbra non e' contagiosa?! Paesaggi abbastanza spettrali, ma non mi scandalizzo, pensavo di peggio, mi infastidisce solo il rumore delle auto. Per Yu invece e' un po' diverso: non ha parlato per diverse ore, limitandosi a seguirmi nel mio giro di riconizione nel centro di Chennai tra fiumi neri, baracche, immondizia, moto a tre ruote. Dopo ore di silenzio mi giro a guardare la faccia stravolta dal ribrezzo. Mi fa "Non pensavo esistesse un posto piu' sporco della Cina... e cosa e' quest'odore permanente di latrina?!". Una volta la portero' a Napoli. Oltretutto gli indiani di qua (i tamil, cugini delle famigerate Tigri del Tamil, guerriglia anti-governativa operativa nello Sri Lanka) la fissano in modo poco decoroso, appena mi allontano la assalgono, dei bambini le hanno toccato tette e sedere. Non c'e' rimasta bene. Ora urla ogni volta che qualcuno le si avviccina. Eppure non veste in modo sconcio. Non capisco, forse fa strano una giapponese a Chennai. Perche' a me non mi si fila nessuno. E ne sono troppo contento. Turisti, viaggiatori, occidentali, stranieri zero. Manco a pagarli. In effetti qui e' tutto cosi' "anti-turistico". Si fatica a trovare un internet point, pochi ristoranti (solo ambulanti che vendono cibo per strada, della serie "diarrea assicurata!"), zero hotel o ristoranti di lusso, pochi ostelli, zero guide turistiche, zero locali/divertimenti, insomma poco/niente per il turismo. A me piace cosi', ma per l'economia del posto credo sia una gran perdita. Ma magari e' meglio cosi'. Non so. Capre e mucche scheletriche come i cani randagi malati dalla coda alle orecchie si ciondolano per le strade trafficate, sembrano non essere di nessuno, sinceramente la spero. Si nutrono di immondizia e carcasse che incontrano qua e la'. Gli uomini sono tutti scurissimi di pelle, baffi neri, camicia e pantaloni lunghi. Le donne (e sulle donne, tanto per cambiare, 10 punti!) hanno dei bellissimi vestiti, credo si chiami sari, dei veli coloratissimi che si passano attorno al corpo e fanno anche da gonna, lasciano scoperte le braccia, la schiena e lasciando intravedere i fianchi. Un po' panzute ma belle. Hanno capelli ornati con fiori, smalti, tatuaggi all'henne', miliardi di orecchini, collanine, bracciali, catenine, cavigliere oro e argento. Devono tenerci molto all'estetica, tutte indiscriminatamente. Passi da una chiesa cistiana ad un tempio indu' ad una moschea islamica. Pochi negozi, poche attivita', come cacchio fa l'India a crescere del 7% all'anno?? Dove sono gli impiegati nel terziario? Dove sta la classe borhese, la classe medio-alta, i ricchi? Vedo solo fiumane di persone vestite pressoche' tutte uguali, al massimo anello d'oro e cellulare, quasi tutti scalzi camminare nella loro immondizia, andare scalzi anche nei cessi sporchi di piscio, vomito, catarri vari e via via dicendo... Ma quanto costano un paio di sandali? Credo non sia un fatto di soldi o di miseria, vanno scalzi e basta per tradizione. Non si schifano a pestare un topo morto tre giorni fa. Vedo gente buttata in ogni dove, ferma a dormire, riposare, pensare, alcuni sembrano morti, altri lo sono davvero, i cani e i topi li calpestano... Yu e' schockata soprattutto dal numero di persone, uomini e donne, che orinano e cagano ai bordi delle strade, in spiaggia, di fianco ai ristoranti. "Cosa fa questa gente buttata per terra invece di andare a lavorare?" mi chiede Yu. Io le indico il dio elefante con il proboscidone e la svastica in mano in cima al tempio indu' di turno. I templi vincono. Per colori e per i dettagli. Straordinari. Moltissimi i mussulmani, barbe lunghe e berretto bianco in testa. Le donne coperte dai capelli all'alluce. Regna uno strano menefreghismo, tollerenza, accettazione dello status quo. Quando ero a Korogocho (baraccopoli di Nairobi, Kenya) pensavo di assistere ad un dramma umano. Qui la situazione non e' molto diversa, diversa e' l'espessione della gente. Sorridente o indifferente. Ma questo lo dico (sbagliando, lo so) per induzione, non per deduzione. Il cibo e' ottimo, ma meno vario di quello cinese. Riso e piadine varie da mangiare con zuppe e salse piccanti. Con le mani. Neanche le bacchette hanno. Mi piace di piu'. La vita costa molto poco, meno della Cina, di sicuro per quanto riguarda cibo e trasporto.
Sono a Bangalore, India centro-meridionale, 350 km da Chennai, sei milioni cinquecento mila anime, capitale tecnologica del continente indiano. A breve un pullman pe Goa (12 ore!). Le foto? Arriveranno.
A presto gente!

Thursday, January 17, 2008

Pechino la bianca







Wednesday, January 16, 2008


Gli esami? Finiti, grazie. La festa di fine esami? 10 morti e 30 feriti. Grazie.

Lettera al Papa

Dottor Papa,
mi permetto di scriverLe riguardo ai recentissimi eventi che l'hanno vista protagonista (o "vittima" secondo altri) alla prima Università di Roma. Debbo dire di essere d'accordo col professor Asor Rosa, è stata "saggia" la Sua scelta di rinunciare alla visita alla Sapienza per l'inaugurazione dell'anno accademico. Lei non è certo un idiota, le sue doti di teologo affermato sono note in tutto il mondo. Ma non era ospite gradito ai più. Come Lei stesso ha ammesso non avrebbe parlato da professore o da intellettuale, bensì da vescovo di Roma. Da Papa insomma. Non suona strano che una comunità accademica non gradisca il suo passato da soldato nazista o le Sue posizioni contro omosessualità, illuminismo, scienza, libertà di pensiero, pluralismo ideologico. Ci piace di più quando si improssiva no-global. Ci piace la sua versione punk, al fianco dei poveri della terra. Sarebbe stata scomoda e piuttosto "incongrua" e imbarazzante la Sua presenza alla cerimonia di inaugurazione. Alla Sapienza non entrano cani e porci come in Parlamento, alla Sapienza entrano personalità solo se gradite e dopo il vaglio di docenti, ricercatori e studenti. Non permettemmo l'ingresso neanche al sanguinario presidente Putin anni fa, per la celebrazione del 700entenario della fondazione dell'università. Bloccamo il concerto diretto dal maestro Muti in Aula Magna, appena sapemmo che in Iraq stavano bombardando la popolazione civile. Può scommettere che si mi trovassi ancora alla Sapienza sarei stato con i ragazzi e le ragazze che han occupato il Rettorato in segno di protesta. Dottor Papa, Lei che stupido non è, sa benissimo che nessuno l'ha cacciata dall'università, ma semplicemente ha dimostrato il suo dissenso ad una Sua eventuale presenza e Lei, da persona saggia quale è, ha capito che era meglio fare altro giovedì mattina. La scienza non ha bisogno di dogmi, ma di ricerca e dialogo. Questo lo ripetono in tanti, da secoli. E Lei con le sue verità assolute e rilevate sarebbe stato un pesce fuor d'acqua, un Montezemolo al congresso della Prima Internazionale. Una sessantina di docenti hanno firmato contro di Lei, non se La prenda a male, l'han fatto senza cattiveria, alcuni sono stati miei professori, gente di buon cuore, gente che ha passato gli ultimi 50-60 anni della loro vita a leggere libri, discuterli e scriverne di altri, insomma non proprio venti pecoroni. Se veramente crede che l'università debba essere laica e autonoma capisce da solo che un vescovo della Chiesa di Roma (non una qualsiasi chiesetta sfigata della Namibia meridionale, ma proprio quella di Roma, con alle spalle secoli di atrocità e vergogne alla quale il compagno Woitila provò a mettere una pezza chiedendo per la prima volta "scusate... se potete") non può andare a cantar messa alla Sapienza. Dottor Papa, Lei lo capisce da solo, con tutte le chiese che avete in Italia vada davvero a cantar messa altrove. Ha uno Stato tutto suo, si chiama Vaticano, vada lì a recitare la vostra parola di dio, chiami all'ovile studenti cattolici, fedeli, pellegrini, pedofili, Opus Dei e fondamentalisti vari. Ci sono più chiese a Rome che pechinesi a Pechino, proprio alla Sapienza doveva andar a cantar messa? Che poi alcune autorità politiche come Ciampi (non Berlusconi, lui è un imprenditore mafioso, di religione e scienza non ne capisce un cazzo) e altri accusino la Sapienza di esser ostaggio di estremisti radicali e comunisti non mi fa strano, sono ottantenni che vedono ancora l'autorità clericale come quella da seguire, non sanno dividere Stato e Chiesa, credono che il buon cittadino sia solo il buon cattolico, hanno studiato dalle suore, eran già vecchi durante il sessantotto. A me, che sono nato nell'82, non resta che sperare che queste convinzioni da Medioevo muoiano con loro e che le nuove generazioni vivano la propria spiritualità fuori da schemi imposti, che la vivano liberamente, con personalità e, possibilmente, privatamente. Che sappiamo scindere gli affari dello Stato da quelli di personale convinzione religiosa.
Con questa speranza La lascio dottor Papa. Non se La prenda, domenica avrà più fedeli in piazza al Vaticano.
I miei più cordiali e distinti saluti

uno studente

Monday, January 14, 2008

Ero da poco arrivato nella mia nuova università, tramonto, stavo andando ad una festa a casa di amici e mi ero fermato in uno di quei disordinati baracchini “in culo alla globalizzazione” dove vendono ancora bottiglie di birra a 20 centesimi di euro. Si affaccia un signore sui cinquant’anni
“Cinque bottiglie di birra”
“Subito”
“Niente sacchetto grazie, ho lo zaino”
“Bravo ragazzo… al tuo paese non usate così tanti sacchetti di plastica vero?!”
La domanda mi spiazza totalmente. “No… non saprei… non così tanti forse”
“Qui in Cina invece si sprecano troppi sacchetti di plastica”
Non serve un esperto per capire che aveva ragione il tipo. Nei supermercati, grandi o piccoli che siano, usano quantità devastanti di sacchetti. Alla cassa mi presento sempre con “Non ho bisogno del sacchetto” e il commesso che ha già pronta la busta in mano mi fa “Grazie”. Di che? Qualche giorno fa ho letto che il governo si prepara a vietare l’uso di sacchetti di plastica (immagino sarà per l’inizio delle olimpiadi… anzi, vado a colpo sicuro), visto che in Cina se ne usano tre miliardi al giorno. Tre miliardi. Quasi tre a testa. Calcolando che poi la qualità è scadente, che si rompono facilmente e che quelli piccoli sono impossibili da riutilizzare, immaginate di che straccia di inquinamento ambientale stiamo parlando. Per fortuna un po’ sensibilizzano sul tema, con dei poster appesi nei negozi e la foto della Terra stretta in un sacchetto di plastica. C’è anche un sito ma ve lo dico un’altra volta.

Lo spreco è la prima cosa che noti in un paese male sviluppato. Come l’Italia. Come la Cina. Qui una volta (cioè fino a qualche anno fa) non si sprecava niente, ora noto che il riciclo di carta, vetro e plastica non è più quello di prima. Prima quando in primavera ti sedevi a bere una birra all’aperto, fantasticando di terre lontane e donne con tre tette, avevi la vecchietta cinese con un sacco enorme che ti faceva la punta e non ti lasciava in pace finché non vuotavi la birra e le davi il vuoto. Ho assistito a molti casi di “tensione”, studenti stranieri esasperati dall’aggirarsi di pensionati e barboni cinesi pronti a fondarsi sulla tua bottiglia vuota, e qualcuno che, mosso più a frustrazione che a pietà, tirava fuori 10 renminbi (1 euro, trenta-quaranta volte il valore del vuoto a rendere) e la vecchietta di turno che ti guardava come a dire “Non li voglio, ho una dignità io” e tu che ribattevi senza proferire parola con una faccia “Ti capisco. Ma la mia dignità di bermi in pace una birra e fantasticare di terre lontane e donne con tre tette dove la mettiamo?!”. Ora la situazione è molto più calma, vedi più immondizia riciclabile in giro e meno gente che la ricicla. Il bagno del mio dormitorio è pieno di bottiglie di plastica e lattine di birra vuote, ma sembra che nessuna donna delle pulizie se le contenda più. E allo spreco non credere mai.

Cina fine anni novanta, “Ren Xiaoyao” 任逍遥 (ovvero “fai come minchia ti pare” secondo una mia libera interpretazione, che è anche titolo di una canzone presente nel film) di Jia Zhangke, un film da suicidarti mentre lo vedi, lento e monotono, ma maledettamente interessante per i malati del settore.

Saturday, January 12, 2008

Come Desiree anche io consiglio il film cinese "Crazy Stone", sciocca e divertente storiella intrecciatissima del tentato furto di uno smeraldo. Che in cinese si dice "feicui". Quante cose si imparano guardando film in cinese! Ambientato a Chongqing (massima municipalità cinese, con 30 milioni di abitanti), gran parte del film è in un incomprensibile dialetto sichuanense (dio benedica i sottotitoli... in mandarino). Soprattutto bella la colonna sonora, rock e melodie tradizionali, anche per uno come me che se ne è sempre sbattuto delle colonne sonore dei film.
E, sempre in tema, i registi cinesi non vogliono essere da meno dei loro colleghi occidentali... anche loro praticano la sacra arte borghese del "puttane e cocaina". Leggetevi l'articolo.

Missing Sapienza, missing riot!

Il Papa alla Sapienza, protesta dei fisici"Nemico di Galileo, non venga a parlare"

Capita anche che le patatozze si laureino... e poi ovviamente butta a sakè!











Bisogni

Voglia di scapigliatura. Voglia di essere bohemien. La comune di Parigi in una stanza. Voglia di una stanza al trentesimo piano di una megalopoli assordante, parete di vetro con vista su quella bolgia di luci e grattacieli chiamata città. Un canto dell'Inferno. Parete di vetro con le tendine di Mickey Mouse. Riscaldamente a tutto. Aggirarsi per la stanza completamente nudi se non per un grosso ciondolo al collo con l'immagine di qualche profeta della Chiesa Evangelica morto suicida. Musica perenne e perennemente in sottofondo, tutto ciò che sia calmo e psichedelico come i sermoni del Dalai Lama in tibetano. Libri ovunque, sparsi per terra, sopra i mobili, sotto i mobili, aperti e chiusi, scritti e in bianco. Nessun letto, solo un tatami in fondo a sinistra. Scaffali ripieni di cianfrusaglie inutili e libri. Mura devastate da poster e foto e mandala e tessuti viola di nessun valore. Le tele di Silvia e macabre nonché dubbie realizzazioni artistiche. Niente satanismi: ho preso dio a calci in culo parecchi anni fa, non vedo perchè scomodarsi con altre superstizioni. Tappeti rimediati alla discarica o dall'anziana signora del piano di sotto. Nessuna luce elettrica, un centinaio di candele che illuminino a giorno se non fosse per la cappa di fumo che regna incontrastata. Anarchia d'odori creata da qualche migliaio di incensi comprati dai mercati di mezzomondo. Oppio e altre sostanze poco rassicuranti. Frutta direi. Un paio di strumenti musicali che non sappia suonare. Un corno di bue finto. La carogna di un capretto deceduto tempo prima a cause del fumo. Stranamente non maleodorante. Un'amica che ti venga a trovare ogni tanto per parlare di politica e filosofia. O dell'ultimo libro letto. Nessuna televisione, per una volta tanto niente internet. Cellulari telefoni mobili telefoni fissi banditi. Sesso solo se capita, solo se lo incontri per strada, senza pretese, ambiguo, annoiato, piacevole.
E' stato creato qualche volta qualcosa di simile (non ero riuscito a trovare il capretto e ammazzarlo col fumo passivo) quando si faceva vita da studenti scoppiati a Roma. Ricreare qualcosa del genere a Pechino la si vede più dura. Magari qualche pazza che lo appoggia la trovi al 798. O quella barbona che non ho più visto da un paio d'anni che girava luridissima con un piumone rosa e una sciarpa finta di visone tra i grattacieli della finanza pechinese. Se la ribecco lo chiedo a lei.
Only God knows what the hell is going with my computer... damn it!

Consiglio un libro: Toghe Rotte, del magistrato Bruno Tinti in collaborazione con altri colleghi. Ti spiega perchè in Italia non c'è e non può esserci giustizia, illustrato con diversi aneddoti e discusso come ne discuterebbe Bukowsky. Se lo leggesse un tedesco correrebbe ad armarsi. Un inglese di dimetterebbe dal suo status di cittadino. Un giapponese farebbe arakiri. Ma noi siamo italiani e ci facciamo una gran risata sopra. Magari ci scappa anche che qualcuno si incazzi. Più probabilmente che si faccia il segno della croce...

Wednesday, January 09, 2008

Guerra per le discariche anche in Cina

Scontri causa immondizia anche in un paese nella provincia centrale dell'Hubei (articolo dalla Xinhua). Qui c'è scappato il morto. Speriamo ci risparmino almeno questo in Campania.

Tuesday, January 08, 2008

Renmin University Daily... a cura del vostro affezionatissimo inviato Daniè

Ho visto i primi 15 minuti del film "Lost in Beijing" e sinceramente mi chiedo come non l'avessero censurato prima viste le esplicite scende di sesso e altri argomenti tabù. Viva la Cina che non smette mai di sorprenderti!

La boss cinese mi ha inculato per telefono dicendo che non si capisce un cazzo di quello che traduco. "In cinese?". "No, no... in italiano! Fai la V come U e la L come I! Scrivi di merda!". Sono soddisfazioni...

Il solito amico nordcoreano mi ha detto che non hanno problemi di lavoro nel suo paese, lo Stato pensa a tutto, dà un lavoro in base al merito, non esiste disoccupazione, non esistono imprese private, scuola e università sono completamente gratuite. Anche nelle carceri italiane non esiste disoccupazione, ma i detenuti preferirebbero stare fuori anche senza un lavoro. Quanto al privato io la penso ancora come Proudhon, ma non invidio la situazione in Corea del Nord. Belle le università gratuite, se solo la gente avesse la possibilità di andarci.

Ci sarebbe da scrivere un libro... la storia di una ragazza giapponese che conosco... di famiglia buddhista Zen, amante dei cavalli, sin da piccola è andata in Mongolia a cavalcare e lavorare. Parla abbastanza bene il mongolo, è stregata dal misticismo lamaista mongolo e ama parlare con
gli sciamani di quelle fredde praterie.

In ultimo vi segnalo (se non l'avessi già fatto prima... maledetta memoria!) il blog in inglese di un ragazzo di Voghera, venuto in Cina per insegnare italiano a tre ore da Pechino, gran viaggiatore e amante di musica rock... buon sito per info e contatti su viaggi fai da te. Viva il sacco a pelo, abbasso l'hotel con più di mezza stella!

Monday, January 07, 2008

Blog e film(s)

Tornando alla Cina... avevo già segnalato il blog di questa amica italiana, Desiree, un signor blog su vita e cultura cinese, vista con gli occhi di una giovane studentessa di sinologia a Pechino. Gran bel blog, come dovrebbe essere questo se non lo riempissi di cazzate e cetrioli, ma vabbè nessuno è perfetto né tantomeno io provo ad esserlo.
Qui trovate il suo blog. Un occhio in particolare ai post/link sui film da vedere, sul gruppo musicale del pazzissimo Xiao He e i due artisti di Wuhan.
E Sisci ci informa di un film cinese uscito a novembre censurato di recentissimo dal governo cinese, parla di migranti e prostituzione (scusate se sono fissato coi temi sociali... stavolta però il regista non è morto suicida e il produttore miliardario), titolo cinese "Pingguo" ("mela"), titolo inglese "Lost in Beijing". Vietato perchè sembra il produttore abbia improvvisamente messo sul mercato anche l'edizione iniziale, quella completa non censurata e non permessa. Scaricate!
La lotta continua...

Cristo si è fermato a Macerata

Non sono in molti a saperlo ma Cristo non si è fermato ad Eboli. Cristo si è fermato a Macerata. E ha chiesto ad uno sventurato ottantenne per le vie del centro dove si trovasse la famosa bettola garibaldina Il Giardinetto. Rispose l’anziano: “Eh, coccu mia, adè gghià settoddo mesi k’adè kiusa, ordine de lu comune, de lu sindaku e de li karbinnieri. Dice ke ce vole fa na cosa pe li joveni, na kosa ke a li tembi mia glie se dicia ‘casa kiusa’, mò la kiama disco-pabbe, quelle kose kò l’arkolici mmerikani e le mignotte dell’este. Ma dimme un bò, du non si mika lu figliu de kosu lì, lu figliu der signore?”
“Sì figlio mio, sono il Cristo. E dimmi figliolo, dove si trova il Comune?”
“’Figlio mio’ ce kiami a tu matre, ke io mika so de kuella razza, io voto lu Piccì da ke c’era Togliatti… komunkue lu comune sdà brobrio ekko, dietru de lu vekilu, non te boli sbajà!”
Confuso si diresse il Cristo in direzione del Comune, intenzionato ad avere maggiori informazioni sulla storica locanda maceratese. Intento era invece il sindaco a giocare a bocce, visto entrare il Cristo lo riconobbe subito, pose il bicchiere di Rosso Piceno che aveva in mano e chiese preoccupato: “O ‘nkorbo! Non si du lu figliu de ddio? Ke ce si vinutu a fà a kasa der diavulu?”
Offeso rispose Gesù: “La pace del Signore sia anche con te! Non sono affari tuoi gli affari del Padre Celeste, dimmi piuttosto, tu che sei sindaco, che ne è della locanda Il Giardinetto??”
Sempre più paonazzo rispose il povero sindaco: “Ma brobrio a me duia da kabità sda disgrazia!! Siggnore miu, tu me devi da sgusà! Io so sindagu scì, ma so un boro cuntadì gome tutti l’aldri, me metto la camigia pè fa lu signore, la gravadda adè roscia pè fa finda de esse sogialista, ma dendro dendro io so un boro boia de cuntadì, mi patre zappaa la terra, mi matre scannaa lu porku e io so krisciutu nmezzo a le gagline de lu pullaio! Me dei krede sa! Io mika so gomunista, mika so adiu sa, io so dimukristià fedele a la kiesa de roma kome tutti li maceradesi ke dio ha faddo! E po’… de lu jardinettu… mika adè korpa mia… a me me piacia pure lu jardinettu… è ke ce jia sembre più jioveni senza tesda, kuilli ghe se mette li rekkini su pe lu nasu e se fa le kanne de nascosto… e po’ dobo è riatu lu scarpà de Trodeca e m’ha dittu ke se gliè ce facio fa un disco-pubbe pe le mignotte sue arbanesi me regalaa na ferrari a metano e du papere pè San Gnulià! Ke duio da fà…!!”
Esterrefatto dalla persona che aveva davanti, il Cristo decise di recarsi a vedere coi propri occhi il presunto nuovo Disco Pub maceratese, aperto di recente dove una volta alloggiava Il Giardinetto. Fatte poche decine di metri si imbatte in una losca figura dai capelli verdi e il giubbotto nero borchiato, il tipico tossicodipendente venticinquenne maceratese. Gli chiese costui:
“Ma ke si du lu figliu de kristu? Meno male, brobrio a te sdatio a cergà… me dei iutà… m’ha dittu a lu SERT ke c’ajo l’epatite… de siguro me l’ha ttakkata kuarke troia jò a Citanò… m’ha pure ditto ke me rmane poko da vive… du mesi ar massimo… ma fra dre mesi rria li Ramonesse a sonà a lu Sferisteriu, io ce deo jì, li spetto da na vida, deo jicce a vedelli, tu me dei iutà, me devi fa lu mirakulu, famme kampà dre mesi armeno, dobo me manni do te pare, tando in dio non ce kredo e non me n’è fregato mai cosa!”
Sempre più allibito rispose bonariamente il Cristo: “Vedremo figliolo, vedremo. Piuttosto, sai tu dirmi dove si trova il nuovo Disco Pub, quello che hanno aperto al posto de Il Giardinetto?”
Incuriosito si ferma e raddrizza il fattone: “Ma ghè, pure tu vai a mignodde arbanesi!? Ah ah, adè brobrio vero, tuttu lu monnu adè baese… veni veni, ke te ce kkompagno io… anzi, mò ke me ce fai pensà… voli vedè ke me la so pijata brobrio lì l’epatite!!”


Dedicato a Bax. E ai Res Nullis. E al Giardinetto e a Gironella. E a tutti i non benpensanti maceratesi. E a chi c’era in quegli anni. Alle scritte sui muri, ai bicchieri di vino e alla noia pomeridiana. Alle salate di gruppo, alle discussioni ai giardini, ai botti alla stazione, alle fughe in motorino, ai cortei contro le scuole private. A chi se l’è perso e a chi è arrivato troppo tardi.
Maceratese sempre, campanilista mai!

p.s. Quanto scritto sopra è stato realizzato in una notte d’insonnia pechinese. Riferimenti a fatti e persone non sono per nulla casuali. Se qualcuno ne fosse offeso, credete, s’è fatto apposta. In caso contrario, buone due risate a tutti/e.

Saturday, January 05, 2008

La mamma del maiale è una maiala

Ma, ci si chiederà, come va a dormire uno giovane italiano residente in Cina dopo aver passato la giornata tra studio e meditazione?
Va a dormire soddisfatto e divertito, divertito soprattutto di Britney Spears che prima si fa di ketamina e poi prova a rapire i figli, di Calderoli che va a dire ai giornali che Napoli non è Italia o di quel coso, come si chiama, Kakà, che vuole denunciare un mensile gay brasiliano per le foto pubblicate di un suo sosia nudo. E "divertito" non rende abbastanza l'idea.
Invece qui anche questo dormitorio è un troiaio. E meno male così. E nelle stanze dove non si consuma si improvvisano saloni da parrucchiere, pettegolezzi da bar. Io mi improvviso frequentatore di entrambi gli ambienti, fingersi di entrambi i partiti per non votarne nessuno. Stare da entrambi le parti per non stare con nessuna. E alla vietnamite in minigonna e smalto nero non credere mai davvero...

"Non ero ancora adulto e già mi divorava il desiderio più ardente di vedere il mondo. Nonostante il rifiuto ostinato di mio padre lasciai Venezia, la culla della mia tenera infanzia, e presi la decisione di navigare. Seppi che una tartana stava per salpare, sa il diavolo per dove, e m'imbarcai. Era il 1653 ed avevo quattordici anni.
...
Il viaggio è un grande maestro; chi si sposta senza nulla apprendere può con buona ragione essere definito un asino"

Niccolò Manucci, Storia do Mogor

Oggi nelle sale cinematografiche italiane esce "Lussuria, seduzione e tradimento" di Ang Lee, film storico-passionale sulla Cina del 1942. Visto qualche settimana fa, l'ho trovato noiosissimo e poco interessante. Consiglio invece di Ang Lee il celebrissimo "La tigre e il dragone", del 2000.
Un articolo di Sisci in inglese sul gap ricchi/poveri e ipotesi non troppe future di fughe nell'ovest (cinese).

Friday, January 04, 2008

Giovanissimi schiavi, possibili campioni

Un amico nordcoreano mi ha chiesto di aiutarlo con un documentario in italiano sui giochi olimpici cinesi. Ho scoperto che ci sono diversi canali cinesi on-line che trasmettono programmi italiani sulla Cina. Eccellente. Appena ne ricordo qualcuno li scriverò nel blog.
Ho scritto giù il breve documentario in questione; si intitola "Il prezzo dell'oro", secondo me merita una letta:

La Trans-mongolica, il treno che in trenta ore ci porta in Cina per trovare Pechino dopo aver incontrato l’oceano della steppa e il deserto del Gobi, dopo aver sostituito con un lungo e laborioso meccanismo i carrelli dei vagoni per adattarli alle rotaie cinesi, entriamo in un altro mondo. Le favole cominciano sempre così, raccontando di luoghi lontani, posti incantati, personaggi leggendari, storie strabilianti. A pensarci un po’ i Giochi Olimpici sono un po’ come una favola, un libro di storielle che riapriamo una volta ogni quattro anni per riscoprire qualcosa che nella realtà forse non c’è più, ma che ci sforziamo a far rivivere per sentirci più tranquilli con la nostra coscienza. Pechino 2008, l’olimpiade del colosso asiatico, la grande occasione per la Cina per mostrare al mondo l’avvenuta trasformazione e al tempo stesso i cambiamenti che ancora non ci sono stati. Anche nello sport.“Vorrei vincere una medaglia per mia madre e per la madre patria”, una frase che appare incredibile sia pronunciata da atleti di appena sei, sette anni. Così come non è facile tenere bambini lontani dalla famiglia per anni, in nome di un successo sportivo, chissà, magari olimpico. “Il prezzo dell’oro”, così qualcuno in occidente ha definito il prezzo da pagare per la vittoria, da tanti bambini cinesi quasi reclusi nelle migliaia di scuole dello sport. XXXXXXXX, ex membro del Comitato Olimpico Internazionale, in un reportage riferisce di abusi, di volti contorti dalla fatica, di bimbi di cinque anni stanchi e sofferenti. Qualcuno ha paragonato queste scuole di atletica cinesi a quelle della Ex Unione Sovietica e della Ex Germania Orientale, definendo gli istituti come lo Shi Cha Ai, che noi abbiamo visitato, fabbriche di medaglie con pochi scrupoli. E sul giudizio negativo influisce anche l’atteggiamento dei funzionari, che aprono sì le porte alla stampa e ai visitatori occidentali, ma filtrando poi le interviste, rendendo difficile il compito di chi vuole descrivere e raccontare. Il timore dei dirigenti di queste scuole è che chi arriva qui da lontano sia già partito con l’idea e il preconcetto di narrare storie di abusi e di sport di regime. Preoccupazioni per certi aspetti anche giustificate. È vero, anche noi non incontriamo un sorriso, poche immagini di felicità, spensieratezza, gioia, caratteristiche della giovane età. Ore, mesi, anni di interminabile allenamento, con continue sollecitazioni di insegnanti che usano maniere anche molto dure, bambini la cui infanzia è seriamente compromessa, tutto in nome di una medaglia. Medaglie onore per la nazione che in occidente sono state trasformate in denaro e business, ma anche in occidente non mancano gli allenamenti, magari anche dorati, di giovanissimi campioni. Un nauseabondo odore di latrina ci dà il benvenuto in una delle numerose scuole di Wu Shu, fiorite intorno al monastero di Shaolin, a sud ovest di Pechino. Cinquecento bambini e ragazze dai cinque ai sedici anni vivono reclusi in questa caserma-scuola a pagamento di arti marziali che, ai prossimi Giochi Olimpici, sarà dimostrativa, il Wu Shu, letteralmente “Arte della lotta”. Un proverbio cinese dice che “Tutte la arti marziali sotto il cielo vengono dal tempio Shaolin”. Nell’anno cinquecento il monaco Bodidharma arrivò qui per divulgare la dottrina Zen e dopo un lungo periodo di meditazione tra queste montagne (si parla di ben nove anni immobile fra le grotte) inventò questi movimenti che diedero vita ai diversi tipi di arti marziali. Per secoli le avventure dei monaci Shaolin girarono il mondo, fino al 1966, quando le Guardie Rosse della Rivoluzione Culturale decisero di eliminare anche queste vestigia del passato. Ora, come tante altre cose in Cina, lo Shaolin e il Wu Shu sono tornate di moda. Gli studenti di questa scuola si svegliano tutti i giorni alle cinque per la prima di una lunga serie di lezioni, all’aperto, d’estate e d’inverno, non vengono risparmiati neanche i più piccoli, non c’è distinzione di sesso. Come ai tempi dei primi monaci Shaolin anche qui si impara a saltare come una scimmia, balzare come una tigre, strisciare come un serpente, il corpo umano diventa così un’arma micidiale. “Le mani sono le porte che tengono lontano il nemico, i piedi sono il maglio per ucciderlo” raccontava un monaco spiegando anche i sistemi di allenamento usati ai suoi tempi. “Rafforzare il palmo della mano battendolo ripetutamente contro una superficie di sassolini o di natura di ferro, correre attorno al perimetro del monastero con dei sacchi di sabbia legati sotto le ginocchia, dormire su pali di legno conficcati in una parete e venire bastonati se nel sonno si cadeva, e come esame finale superare trentasei maestri di kung-fu ognuno dei quali aveva un solo colpo a disposizione”. Ma dentro queste sbarre, all’interno di queste moderne scuole, non c’è tempo per la meditazione. L’allenamento della mente, assieme a quello del corpo, rendeva imbattibili gli antichi monaci. Nessuna spiritualità accompagna le giornate di queste bambini scaricate dalle famiglie in queste istituti con l’aspettativa che un giorno possano diventare atleti famosi o, più realisticamente e semplicemente, guardie del corpo. Poco il tempo dedicato all’educazione, alla cultura. Gli insegnamenti sono ridotti all’essenziale. Enorme è il divario tra le ore passate in palestra e quelle sui libri, in classe. Le giornate di questi ragazzi passano per lo più tra noiose ripetizioni di marce, adunate, allenamenti. La meditazione e la contemplazione dei monaci di Shaolin che seguivano le loro leggi e la dottrina di Buddha tra queste mura non trovano alloggio. In passato i genitori accompagnavano i loro figli in queste scuole, li affidavano ai monaci e li lasciavano per non rivederli mai più, sapendo però che sarebbero cresciuti nel tempio della sacralità. Questo padre, dopo un viaggio di venti ore in treno, iscrive suo figlio alla scuola, spera di ritrovarlo un giorno con qualche chance in più di successo in più di quelle che la vita ha dato a lui. E i ragazzi, i bambini, quasi mestamente, obbediscono alla volontà dei genitori. Anche il momento dei pasti sembra amaro, nessuna voce amica al proprio fianco, nessuna tenera ed affettuosa carezza di una madre, solo una lunga fila per ottenere una ciotola di riso da consumare in silenzio prima di tornare in camerata, attendere che passi la notte e arrivi un altro giorno.Il prezzo dell’oro, il prezzo di una medaglia. Giovanissime generazioni sacrificate sull’altare di qualcosa che neppure assomiglia allo sport. Il volo del falcone invece sì, come il canto dei bambini che lanciano il loro cavallo sulla prateria o lo sguardo soddisfatto di una bambina quando la sua freccia raggiunge il bersaglio. Ecco cosa ci hanno insegnato questi campioni in tenera età: a saper distinguere lo sport vero da quello contraffatto, corrotto. Ci hanno detto di afferrare la risposta dai loro volti, di osservare i loro occhi. Dove si legge gioia, lì c’è il vero sport, tutto il resto è il prezzo dell’oro.

Mi sembra un po' troppo palesemente scritto da falsi benpensanti italiani che vogliono buttar letame sulle olimpiadi di Pechino. Qua di vedere immagini delle olimpiadi sparate ogni giorno in ogni angolo di strade, negozi, supermercati, televisione e altro sinceramente non ne posso più. A volte mi chiedo come i cinesi non sbrocchino. Per fortuna non ho la televisione e comunque nel campus universitario non entra troppa pubblicità.
Quanto ai bimbi cinesi segregati nelle palestre e a cui (alcuni dicono) si nega la libertà... credo bisogna stare attenti. Noi europei ne sappiamo qualcosa già dagli anni trenta e Guerra Fredda, quando le guerre si combattevono anche e soprattutto in campo sportivo, con le olimpiadi appunto. Ma da a qui a scrivere un reportage come quelli di cui sopra ce ne corre. Sarebbe allora da fare molte considerazioni su educazione ai figli e diritto/dovere dei padri ad allevare i figli: fino a che punto arriva? Fin dove mi posso spingere? Dove fermare? E' giusto insegnare a mio figlio quello che i miei genitori hanno insegnato a me, religione e pratiche comprese? Ho il diritto di educare mio figlio come io meglio credo, se nel rispetto della legalità? Ho il diritto di battezzarlo? Devo iscriverlo a scuola? Registrarlo al comune? Vaccinarlo? Chiuderlo in una palestra? In un convento? Farlo sposare a sei anni? Mandarlo in strada a tirare pietre contro un soldato? Quello della fanciullezza è il tempo del gioco e dello svago, quando si comincia a "conoscere" questa assurda cosa chiamata "vita". Quanti Rosso Malpelo? Quanti giovani Mozart? Ciaola aveva scoperto la luna. Ho perso il conto dei bambini che lavorano dodici ore al giorno cucendo palloni e abiti per i ricchi di paesi lontanissimi, fabbricando mattoni per case che non abiteranno mai, impugnando fucili nelle scuole dell'odio, sniffando colla nelle fogne anche di capitali europee. Ce ne frega qualcosa? No. Però se ci sono dei bimbi cinesi che si allenano sin da piccoli in una palestra per diventare campioni alle olimpiadi il benpensante medio italiano si incazza. E tira fuori le tasse doganali. Il Tibet. I diritti umani. Boicottare Pechino 2008.
Non ci credo più...

Buon 2008 lettori-trici-tanti-manti-isti-ani


I miei papozzi e le mie mammozze sono appena partiti, direzione Fiumicino. Hanno visto poca Cina, ma han visto anche troppa Pechino. Credo si siano divertiti un bel po', relax e svago. Per me sono state le (non) vacanze natalizie tra le più felici che ricordi.
Ho mal di gola e qualche linea di febbre, voglia di fumare. Mal di testa andante, Rossini in sottofondo, sei esami da prepare per le prossime due settimane, testa e zaino da rispolverare per la missione punitiva in India.
Mentre apprendo da Associated Press e Xinhua Agency che il divario tra Cina ricca e Cina povera (ovvero tra città e campagna, ma anche, per semplificare, tra Pechino Shanghai Canton e resto della Cina) aumenta inevitabilmente e mentre apprendo dalla versione online de La Stampa (vedi foto) di una protesta anti-caccia giapponese alle balene avvenuta in Australia, colgo l'occasione per augurare a tutte e a tutti un felice 2008 di pace e gandhismo. E verdura cotta. E sigarette nazionali esportazione. E "ban whaling". E vai.

Tuesday, January 01, 2008

E non voglio aggiungere altro...