Friday, January 04, 2008

Giovanissimi schiavi, possibili campioni

Un amico nordcoreano mi ha chiesto di aiutarlo con un documentario in italiano sui giochi olimpici cinesi. Ho scoperto che ci sono diversi canali cinesi on-line che trasmettono programmi italiani sulla Cina. Eccellente. Appena ne ricordo qualcuno li scriverò nel blog.
Ho scritto giù il breve documentario in questione; si intitola "Il prezzo dell'oro", secondo me merita una letta:

La Trans-mongolica, il treno che in trenta ore ci porta in Cina per trovare Pechino dopo aver incontrato l’oceano della steppa e il deserto del Gobi, dopo aver sostituito con un lungo e laborioso meccanismo i carrelli dei vagoni per adattarli alle rotaie cinesi, entriamo in un altro mondo. Le favole cominciano sempre così, raccontando di luoghi lontani, posti incantati, personaggi leggendari, storie strabilianti. A pensarci un po’ i Giochi Olimpici sono un po’ come una favola, un libro di storielle che riapriamo una volta ogni quattro anni per riscoprire qualcosa che nella realtà forse non c’è più, ma che ci sforziamo a far rivivere per sentirci più tranquilli con la nostra coscienza. Pechino 2008, l’olimpiade del colosso asiatico, la grande occasione per la Cina per mostrare al mondo l’avvenuta trasformazione e al tempo stesso i cambiamenti che ancora non ci sono stati. Anche nello sport.“Vorrei vincere una medaglia per mia madre e per la madre patria”, una frase che appare incredibile sia pronunciata da atleti di appena sei, sette anni. Così come non è facile tenere bambini lontani dalla famiglia per anni, in nome di un successo sportivo, chissà, magari olimpico. “Il prezzo dell’oro”, così qualcuno in occidente ha definito il prezzo da pagare per la vittoria, da tanti bambini cinesi quasi reclusi nelle migliaia di scuole dello sport. XXXXXXXX, ex membro del Comitato Olimpico Internazionale, in un reportage riferisce di abusi, di volti contorti dalla fatica, di bimbi di cinque anni stanchi e sofferenti. Qualcuno ha paragonato queste scuole di atletica cinesi a quelle della Ex Unione Sovietica e della Ex Germania Orientale, definendo gli istituti come lo Shi Cha Ai, che noi abbiamo visitato, fabbriche di medaglie con pochi scrupoli. E sul giudizio negativo influisce anche l’atteggiamento dei funzionari, che aprono sì le porte alla stampa e ai visitatori occidentali, ma filtrando poi le interviste, rendendo difficile il compito di chi vuole descrivere e raccontare. Il timore dei dirigenti di queste scuole è che chi arriva qui da lontano sia già partito con l’idea e il preconcetto di narrare storie di abusi e di sport di regime. Preoccupazioni per certi aspetti anche giustificate. È vero, anche noi non incontriamo un sorriso, poche immagini di felicità, spensieratezza, gioia, caratteristiche della giovane età. Ore, mesi, anni di interminabile allenamento, con continue sollecitazioni di insegnanti che usano maniere anche molto dure, bambini la cui infanzia è seriamente compromessa, tutto in nome di una medaglia. Medaglie onore per la nazione che in occidente sono state trasformate in denaro e business, ma anche in occidente non mancano gli allenamenti, magari anche dorati, di giovanissimi campioni. Un nauseabondo odore di latrina ci dà il benvenuto in una delle numerose scuole di Wu Shu, fiorite intorno al monastero di Shaolin, a sud ovest di Pechino. Cinquecento bambini e ragazze dai cinque ai sedici anni vivono reclusi in questa caserma-scuola a pagamento di arti marziali che, ai prossimi Giochi Olimpici, sarà dimostrativa, il Wu Shu, letteralmente “Arte della lotta”. Un proverbio cinese dice che “Tutte la arti marziali sotto il cielo vengono dal tempio Shaolin”. Nell’anno cinquecento il monaco Bodidharma arrivò qui per divulgare la dottrina Zen e dopo un lungo periodo di meditazione tra queste montagne (si parla di ben nove anni immobile fra le grotte) inventò questi movimenti che diedero vita ai diversi tipi di arti marziali. Per secoli le avventure dei monaci Shaolin girarono il mondo, fino al 1966, quando le Guardie Rosse della Rivoluzione Culturale decisero di eliminare anche queste vestigia del passato. Ora, come tante altre cose in Cina, lo Shaolin e il Wu Shu sono tornate di moda. Gli studenti di questa scuola si svegliano tutti i giorni alle cinque per la prima di una lunga serie di lezioni, all’aperto, d’estate e d’inverno, non vengono risparmiati neanche i più piccoli, non c’è distinzione di sesso. Come ai tempi dei primi monaci Shaolin anche qui si impara a saltare come una scimmia, balzare come una tigre, strisciare come un serpente, il corpo umano diventa così un’arma micidiale. “Le mani sono le porte che tengono lontano il nemico, i piedi sono il maglio per ucciderlo” raccontava un monaco spiegando anche i sistemi di allenamento usati ai suoi tempi. “Rafforzare il palmo della mano battendolo ripetutamente contro una superficie di sassolini o di natura di ferro, correre attorno al perimetro del monastero con dei sacchi di sabbia legati sotto le ginocchia, dormire su pali di legno conficcati in una parete e venire bastonati se nel sonno si cadeva, e come esame finale superare trentasei maestri di kung-fu ognuno dei quali aveva un solo colpo a disposizione”. Ma dentro queste sbarre, all’interno di queste moderne scuole, non c’è tempo per la meditazione. L’allenamento della mente, assieme a quello del corpo, rendeva imbattibili gli antichi monaci. Nessuna spiritualità accompagna le giornate di queste bambini scaricate dalle famiglie in queste istituti con l’aspettativa che un giorno possano diventare atleti famosi o, più realisticamente e semplicemente, guardie del corpo. Poco il tempo dedicato all’educazione, alla cultura. Gli insegnamenti sono ridotti all’essenziale. Enorme è il divario tra le ore passate in palestra e quelle sui libri, in classe. Le giornate di questi ragazzi passano per lo più tra noiose ripetizioni di marce, adunate, allenamenti. La meditazione e la contemplazione dei monaci di Shaolin che seguivano le loro leggi e la dottrina di Buddha tra queste mura non trovano alloggio. In passato i genitori accompagnavano i loro figli in queste scuole, li affidavano ai monaci e li lasciavano per non rivederli mai più, sapendo però che sarebbero cresciuti nel tempio della sacralità. Questo padre, dopo un viaggio di venti ore in treno, iscrive suo figlio alla scuola, spera di ritrovarlo un giorno con qualche chance in più di successo in più di quelle che la vita ha dato a lui. E i ragazzi, i bambini, quasi mestamente, obbediscono alla volontà dei genitori. Anche il momento dei pasti sembra amaro, nessuna voce amica al proprio fianco, nessuna tenera ed affettuosa carezza di una madre, solo una lunga fila per ottenere una ciotola di riso da consumare in silenzio prima di tornare in camerata, attendere che passi la notte e arrivi un altro giorno.Il prezzo dell’oro, il prezzo di una medaglia. Giovanissime generazioni sacrificate sull’altare di qualcosa che neppure assomiglia allo sport. Il volo del falcone invece sì, come il canto dei bambini che lanciano il loro cavallo sulla prateria o lo sguardo soddisfatto di una bambina quando la sua freccia raggiunge il bersaglio. Ecco cosa ci hanno insegnato questi campioni in tenera età: a saper distinguere lo sport vero da quello contraffatto, corrotto. Ci hanno detto di afferrare la risposta dai loro volti, di osservare i loro occhi. Dove si legge gioia, lì c’è il vero sport, tutto il resto è il prezzo dell’oro.

Mi sembra un po' troppo palesemente scritto da falsi benpensanti italiani che vogliono buttar letame sulle olimpiadi di Pechino. Qua di vedere immagini delle olimpiadi sparate ogni giorno in ogni angolo di strade, negozi, supermercati, televisione e altro sinceramente non ne posso più. A volte mi chiedo come i cinesi non sbrocchino. Per fortuna non ho la televisione e comunque nel campus universitario non entra troppa pubblicità.
Quanto ai bimbi cinesi segregati nelle palestre e a cui (alcuni dicono) si nega la libertà... credo bisogna stare attenti. Noi europei ne sappiamo qualcosa già dagli anni trenta e Guerra Fredda, quando le guerre si combattevono anche e soprattutto in campo sportivo, con le olimpiadi appunto. Ma da a qui a scrivere un reportage come quelli di cui sopra ce ne corre. Sarebbe allora da fare molte considerazioni su educazione ai figli e diritto/dovere dei padri ad allevare i figli: fino a che punto arriva? Fin dove mi posso spingere? Dove fermare? E' giusto insegnare a mio figlio quello che i miei genitori hanno insegnato a me, religione e pratiche comprese? Ho il diritto di educare mio figlio come io meglio credo, se nel rispetto della legalità? Ho il diritto di battezzarlo? Devo iscriverlo a scuola? Registrarlo al comune? Vaccinarlo? Chiuderlo in una palestra? In un convento? Farlo sposare a sei anni? Mandarlo in strada a tirare pietre contro un soldato? Quello della fanciullezza è il tempo del gioco e dello svago, quando si comincia a "conoscere" questa assurda cosa chiamata "vita". Quanti Rosso Malpelo? Quanti giovani Mozart? Ciaola aveva scoperto la luna. Ho perso il conto dei bambini che lavorano dodici ore al giorno cucendo palloni e abiti per i ricchi di paesi lontanissimi, fabbricando mattoni per case che non abiteranno mai, impugnando fucili nelle scuole dell'odio, sniffando colla nelle fogne anche di capitali europee. Ce ne frega qualcosa? No. Però se ci sono dei bimbi cinesi che si allenano sin da piccoli in una palestra per diventare campioni alle olimpiadi il benpensante medio italiano si incazza. E tira fuori le tasse doganali. Il Tibet. I diritti umani. Boicottare Pechino 2008.
Non ci credo più...

1 Comments:

At 6:48 PM, Anonymous Anonymous said...

ah,...giusto perchè ti interessavi molto,...sappi che è già piu di un mese che piattone sotto l'incrocio da 30 metri....la curva si alza!!..e andiamo!!

 

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