Friday, February 29, 2008

Il vostro reporter preferito: parliamo di Naxalismo

Magari qualcuno di voi avrà pensato che in India io sia stato a prendere il sole in spiaggia, fare shopping o godermi la luna di miele con la mia signora. Non ci crederete forse, ma non è così. In India ho anche, e come sempre, fatto il vostro reporter preferito...

Avrete sentito parlare dei maoisti nepalesi. Io vi parlerò di quelli indiani...
Il maoismo indiano si chiama "Naxalismo" e prende il nome da un villaggio (Naxalbari) dove si è scatenata una grande insurrezione contadina nel 1967. I Naxaliti sono ribelli che si inspirano alle idee e alla vita di Mao Zedong, sono il braccio (molto) armato del Partito Comunista Indiano e hanno come fondatore un certo Charu Mazumdar, morto in carcere nel 1972. Sono stanziati nelle foreste dell'India nord orientale e hanno un principale nemico: lo Stato. Fanno propaganda nei poveri villaggi dove lo sviluppo economico non ha ancora messo piede e arruolano giovani contadini, tra cui moltissime donne. Hanno un esercito di quasi 20.000 unità, più infiniti simpatizzanti, collaboratori, spie, fiancheggiatori e altri pronti a prendere in mano un mitra o farsi saltare in aria nei bus. Caratteristica questa che non si trova in nessun altro gruppo terrorista non musulmano.
I Naxaliti sono il più grande problema interno che il governo indiano si trova a fronteggiare, perchè negli ultimi anni hanno avuto moltissimi scontri armati con la polizia, han messo a segno diversi attentati e azioni terroristiche e soprattutto il numero dei ribelli cresce anno per anno. Hanno contatti con altri gruppi terroristici nel mondo, comprese le Tigri del Tamil e il congresso dei maoisti del sud-asiatico (ebbene sì, ne esiste uno!).
Tra il 2003 e il giugno 2007 hanno "realizzato" più di 7000 incidenti, ucciso circa 650 poliziotti e più di 2000 civili; 900 i ribelli morti (fonte "India Today").
Per maggiori informazioni cliccate qui o leggetevi il libro del 2007 "Red Sun: travels in Naxalite country", di Sudeep Chakravarti.

Lezione di "Sistema politico della Cina contemporanea", giovedì pomeriggio...
Professore: "... e per oggi arriviamo fin qui. Ci sono domande su quanto appena detto?"
(silenzio)
Daniele: "Quando il pensiero di Deng Xiaoping è diventato filo-capitalista? Perchè?"
Professore: "...Lei fa il giornalista?"

Tuesday, February 26, 2008

Dolce sole pre-primaverile

Pechino dolce sole pre-primaverile. Fiumi e laghetti cominciano il disgelo. Il cielo comincia il lento disgrigimento pre-olimpiade. L'aria è più respirabile. La gioia di esser tornati a Pechino. La mia stanzetta col compagno vietnamita e la vista su palazzoni e mega-store di zona Zhongguancun, il rumore di tacchi al passo delle coreane che escono a trovare i fidanzati, il rumore di ciabatte bagnate dei mongoli che vanno a fumare al cesso. Mi mancava tutto questo. Domani cominciano le lezione e abbiamo in programma (tra le altre) "geografia umana della Cina", "storia delle relazioni culturali sino-straniere", "sistema politico cinese contemporaneo". Evvai!

Noto che blog e riviste on-line che si occupano di Cina spuntano fuori come funghi. Bello. Mi rallegra. E poi mi incupisce, imparanoia, delude. Vedo gli spettri della competizione, della concorrenza, della disoccupazione. Sento le gelide notte sulle panchine alla stazione Tiburtina sempre più vicine. Altro che "la Cina è vicina". Il futuro da barbone, quello è sempre più vicino. Intanto faccio come Castro, che rinuncia al potere, ma non alla barba.

Mica ho capito tanto la proclamazione di indipendenza da parte del Kosovo... Troppo vecchia la storia "Kosovo serbo / Kosovo albanese". Sono per l'autodeterminazione dei popoli, ma in Europa questa faccenda del Kosovo indipendente la vedo pericolosa. Parecchio. Spagna, Turchia, U.K., Italia, Russia, Grecia, Francia. Staremo a vedere.
Invece la Cina in questo sta troppo avanti. Pericolo rivendicazioni indipendentiste? Nessun problema: costruiscono immeditiamente una linea ferroviaria, trenta McDonald's per turisti e giovani locali emancipati e mandano 20/30 milioni di operai dalle campagne della Cina interna a lavorare come stagionali. Ecco come annullare l'autodeterminazione. Mandi milioni di persone di un'altra etnia per rendere l'etnia locale inferiore di numero e a fanculo le rivendicazioni. Mongolia Interna, Xinjiang, Tibet. Mai visto niente di più pragmatico. I serbi potevano svegliarsi prima.
Dio benedica l'ateo Partito Comunista Cinese.

Se fossi ma non sono

Se fossi un atleta che si è aggiudicato la partecipazione alle Olimpiadi o un grosso imprenditore che è stato chiamato ad fornire panini per i turisti o un noto architetto chiamato a costruire lo stadio dove si celebrerà la conclusione dei giochi o un presentatore di fama mondiale invitato alla cerimonia di inizio, rifiuterei e non andrei:
- in Cina, perchè inquina troppo e ha uno sviluppo economico il cui motore sono masse di contadini poveri portati nelle città a lavorare senza alcune assistenza civile e sanitaria, veri e propri cittadini di serie C;
- negli Stati Uniti, perchè pur dichiarandosi esportatori di democrazia (tramite guerra) hanno ancora la pena di morte, Guantanamo, sanità privata;
- in Russia, perchè fanno sparire i dissidenti meglio di come faceva Stalin;
- in Giappone, per il revisionismo storico e la caccia alle balene;
- in Norvegia e in Islanda per la caccia alle balene;
- in Italia, per un'infinità di motivi;
- nei paesi che hanno armi nucleari;
- negli "stati canaglia" e nei paradisi fiscali;
- nei paesi dove sono tollerate lapidazione e infibulazione;
- nei paesi dove è vietata la vendita di alcolici.
Ma per fortuna sono ben lungi dall'essere un imprenditore, un presentatore o un architetto e me ne guardo bene dall'essere un atleta.
Ho invece mangiato troppa mizo soup e alghe giapponesi. La pagherò cara...

Monday, February 25, 2008

La mia sulle Olimpiadi 2008

Da quando han deciso di disputare i Giochi Olimpici 2008 in Cina diverse organizzazioni, associazioni, politici, governi, intellettuali e attori di Hollywood si sono chiesti se non fosse il caso di boicottarle. Perchè boicottarle? I motivi non mancano, specie agli occhi di noi occidentali esportatori di diritti e democrazie. E anche i singoli cittadini hanno cominciato a porre l'interrogativo ai governi "Non sarebbe il caso di boicottare le Olimpiadi in Cina, gigante asiatico dal regime comunista irrispettoso dei diritti umani nel suo terriotorio nazionale e altrove nel mondo?!". I giornalisti hanno spesso tirato fuori l'argomento. Ora sembra andare per la maggiore che è sbagliato boicottare Pechino 2008, perchè sono l'unico modo per gli oppressi della Cina di manifestare i loro dissensi e le ingiustizie cinesi, nella speranza di un intervento dai paesi occidentali e spiragli di democrazia. Lo sostengono tanti, compreso il Dalai Lama e molti dissidenti cinesi. Altri invece continuano a ritenere che i giochi vanno boicottati e basta.
Vorrei dire una cosa. Cari amici boicottatori, non sarete voi a boicottare le Olimpiadi. Sono le Olimpiadi a boicottare noi. Non siete voi a non partecipare alla festa, è la festa che non vi ha invitati. Le Olimpiadi sono qualcosa di estremamente elitario. Una festa per pochi intimi. Le Olimpiadi sono un investimento economico, mascherato da messaggi di pace nel mondo e solidarietà fra i popoli, scambio di culture, fratellanza umana. Le Olimpiadi portano soldi. Tanti. E a intascarseli, come sempre, sono in pochi. I peggiori. Quelli che andrebbero impiccati nelle Piazze del Popolo. E che invece la mettono nel sedere al popolo e ci brindano sopra. Le Olimpiadi sono la festa delle lobby. Il loro momento di gloria. Altro che gli atleti! Sapete quanto costava la vita a Pechino quattro anni fa? Sapete quanto costa adesso?! Chiedetelo ai pechinesi. Sarebbe da fare una ricerca su come sarebbe Pechino oggi se non ci fossero le Olimpiadi ad agosto. Credo decisamente un'altra città. Sapete quanto si fatica ora per chiedere un visto per il periodo dei giochi? Sapete quanto costa? E sapete chi se lo può permettere di stare qui ad agosto? No, ma lo potete facilmente indovinare. Il mio visto scade il 31 luglio e me ne guardo bene dal rinnovarlo. Anche volendo non credo potrei. Al massimo se trovo un lavoro, ma anche se trovi un lavoro il visto al 90% te lo devi rifare da solo e a spese tue. Ti saluto Pechino!
Quanto ai boicottaggi... Non credo siano una cosa "istituzionalizzabile", cioè che spetta ai governi. Spetta alla gente, ai singoli. Poniamo un caso: uno sa che le Olimpiadi le fanno in Cina, apre i libri e i giornali, scopre che il governo cinese fa cose atroci contro questo e contro quello, a questo punto prende e boicotta... non partecipa, non pubblicizza, non compra, non le segue, non ne parla e se ha voglia le contesta anche. Se è un atleta non ci va e manifesta il suo dissenso spiegandone i motivi. Se la nazionale di ping pong australiana pensa che la Cina inquini troppo in nome dello sviluppo economico, prende e non partecipa alle Olimpiadi. Se un attore di Hollywood chiamato a fare il testimonial per Pechino 2008 reputa che appoggiare i crimini nel Darfur è inumano, rinuncia all'incarico e i giornali diffonderanno la notizia. Se mia nonna pensa che i lavoratori cinesi dovrebbero avere il diritto ad un sindacato indipendente da quello del partito, quando va a fare la spesa e sente qualcuno parlare con entusiasmo dei giochi in Cina, prende e tira fuori le questioni sindacali e il boicottaggio delle Olimpiadi. Spetta ai singoli. E' una scelta etica di ogni persona, non spetta ai governi decidere. I governi sono scelti dalle lobby economiche, come potrebbero boicottare per motivi etici?! Ognuno faccia la sua scelta. Io personalmente schifo le Olimpiadi, non mi interessano, odio quello sventolare di bandiere, mi sa di nazionalismo da XXI secolo. Non unisce, divide. Non abbraccia, discrimina. Come negli stadi e come per i mondiali di calcio. Le Olimpiadi sono l'apice del produci-consuma-crepa. La sagra del marketing. Il santo protettore delle lobby e delle multinazionali di mezzo mondo. Sotto la falsa maschera dell'evento sportivo mutano il volto di una metropoli come Pechino, fatta non solo di McDonald's e logo delle Olimpiadi, ma fatta anche di poveri cinesi che vengono dalle campagne, che hanno costruito i grattacieli, gli hotel, i ristoranti e gli impianti sportivi dove verranno disputate le gare. Questi operai cinesi le Olimpiadi non le vedranno, non sarà permesso loro neanche di avvicinarsi a Pechino, per il costo troppo alto della vita e perchè sono troppo miseri e ignoranti per essere presentati ai businessmen di mezzo mondo, i veri protagonisti e gli unici beneficiari di queste Olimpiadi. Sarà bello vedere come si sgonfierà Pechino dopo le Olimpiadi, diciamo verso settembre. Peccato non esserci.

Cosa penso della mancia

"Se un uomo deve guadagnarsi da vivere servendo ad un tavolo non c'e' ragione per insultarlo offrendogli la mancia"

Volantino affisso fuori ad un ristorante di Leningrado durante la rivoluzione russa

Saturday, February 23, 2008

Artisti per caso
















Piccola (e proficua) odissea

Non mi era mai successo. Ho preso l'aereo per la prima volta a 14 anni, Roma-Londra-Glasgow. Negli ultimi dieci anni avro' fatto una trentina di voli, ne' tanti ne' pochi. Aeroporto di Colombo, due di notte, check-in, in attesa dell'aereo per Pechino. Si presenta una amabile e sorridente signorina della Sri Lanka Airlines. "C'e' un piccolo problema, il volo e' sovraffollato, non c'e' posto per voi, non potete partire". Forse scherza. Non scherza. Sorride. Boh. Magari puoi anche dirmi che non c'e' posto per me e che devo restare nell'aeroporto di Colombo almeno due giorni e senza una lira, ma ti devi presentare in minigonna e senza reggiseno, con venti ventenni nude vestite di fiori, frutta, due vassoi in oro laccato, su uno salmone e caviale, sull'altro due sigari e 5 grammi di eroina non tagliata, un rotolo di dollari da cento, due bottiglie di whisky, una borsa di studio per un dottorato in sociologia a Parigi. In questo caso potrei anche digerire la notizia e non incazzarmi. Sfortunatamente non vedo niente di tutto questo. Forse scherza. Faccio finta di non capire e mi rispiega la situazione. Parto calmo "Signorina, abbiamo comprato il volo tre mesi fa, fissato la data per questo giorno. Voglio partire e voglio farlo adesso, cosi' come scritto nel biglietto". "Non e' possibile. Ma vi forniamo alloggio e pasti e per scusarci vi regaliamo un biglietto della nostra compagnia, aperto ad un anno per qualsiasi destinazione". Sorride. Sbrocco pesantemente. Mi fingo lavoratore a Pechino che deve assolutamente tornare adesso, invento che Yu ha la coincidenza per Tokyo, minaccio cause legali e boicottaggi vari. Non funziona. "Allora rivoglio indietro i miei soldi, del vostro biglietto omaggio non ci faccio niente e posso dormire tranquillamente in aeroporto". "Non credo sia possibile". "Ma siete pazzi? Voglio parlare con polizia, manager, avvocati! Rivoglio i miei soldi, ladri!!". "Si calmi. Sono cose che accadono spesso, ogni giorno. Ma se vuole le chiamo la manager". "Chiami la manager. Scusi se mi arrabbio con lei, in realta' so che non e' colpa sua e che lei qui non decide niente". La manager non arriva, la tipa prova a cercarci altri voli con destinazione Pechino. Si tratta di partire dopo due giorni con volo diretto per Pechino oppure domani con scalo di dieci ore in Malesia. Avrei potuto uccidere e mangiare un bambino, ma la tipa e' scomparsa e Yu e' felicissima all'idea di un biglietto omaggio per ovunque. Io no, voglio solo tornare in Cina. La tipa torna, ci propone di andare in hotel di lusso a spese loro e di partire con un aereo la mattina dopo per Singapore con coincidenza immediata per Pechino. Io voglio i soldi indietro, ma sono le tre di notte, sono sfinito da trenta giorni di strade indiane e Yu rompe i coglioni. Accettiamo. Siedo aspettando il loro taxi, improvvisamente sento fracasso e una donna urlare alle mie spalle. "Ci siamo" penso "sono le tigri del Tamil, bomba all'aeroporto, un classico... volevo fare il dottorato all'estero e invece mi tocca saltare in aria a Colombo... speriamo sia almeno per una buona causa". Ma non e' un attentato terroristico. E' un padre che si contende il figlio con la madre che urla, lui la picchia e le strappa il biglietto dell'aereo a morsi, la polizia interviene, manganellate, folla di gente, gli sbirri controllano i documenti, alla fine ridanno il figlio al padre (pestato a sangue) e la madre viene accompagnata via mentre urla e piange. Niente tigri del Tamil. Arriva il taxi e l'hotel di lusso, che e' un residence 5 stelle in piena natura non lontano dall'aeroporto. Yu crolla nel letto, io non ho sonno, sono incazzato per il fatto del volo e infastidito dal lusso circostante. Accendo la tv, Rai International, ultima puntata di "Anno Zero". Mattina. Colazione di classe, in sala ci siamo solo noi e un cinese, piu' la servitu' che ci fissa, forse perche' incuriosita da due strani ceffi come noi, o forse perche' non si gira lo zucchero nel te' con le dita dopo essersele messe nel naso. Non imparero' mai le buone maniere, specie in hotel di lusso. Taxi per l'aeroporto, si ripresenta la tipa della sera prima. Sorride. "C'e' un piccolo problema". Ancora una volta non vedo le tette al vento e tutto il resto, sto per darle direttamente una testata, ma lei fa prima e ci dice che non c'era posto per il volo Singapore-Pechino, cosi' ci da' due biglietti di una signora compagnia (Emirates Airlines), direzione Singapore, sette ore di scalo e poi (dire "forse" fa ridere) Pechino. Non ho la forza per mettermi a piangere. Ci da' anche i biglietti omaggio che ci aveva promesso, Sri Lanka Airlines, andata e ritorno per ovunque in Asia. Forse finalmente andro' in Giappone. O forse Indonesia. Venite?
Ottimo servizio nell'aereo degli Emirates, atterriamo a Singapore dopo quattro ore di volo. Hanno degli ottimi giornali in inglese questi petrolieri arabi. Uno in particolare mi ha colpito, si chiama Gulf Times. La pagina di politica internazionale e' da far invidia ai giornali italiani. Vero che non ci vuole poi molto, per come e' messa l'informazione in Italia...
L'aeroporto di Singapore non e' un aeroporto, e' una citta', lo scalo piu' grande e sciccoso che abbia mi visto. Il capitalismo fatto aeroporto. Piu' grande di Fiumicino e Pechino, infinito susseguirsi di luci, insegne, negozi, bar, ristoranti, servitu', banchi informazioni, poltrone ultracomode, televisori giganti che trasmettono BBC, CNN, National Geography, MTV, sport, film. E poi internet-point gratuiti ogni trenta metri, infinita' di promozioni e pubblicita', gente da ogni parte del mondo e di ogni colore ed etnia, burqa e minigonne, palestre, ovunque tappetto arlecchino, spazio giochi per i bambini, macchine che massaggiano i piedi, sala fumatori con statuette che sputano acqua e terrazzo con vista sull'aeroporto. Impressionante. Se lo vede Ianna si porta la tenda e viene a vivere qui. Se ci portate Castro gli parte l'aorta femorale e ci resta secco. Singapore ha quattro milioni di abitanti, i 3/4 cinesi, per il resto malesiani ed indiani. Capitalismo esponenziale, grattacieli e finanza. Non la voglio vedere Singapore, mi e' bastato vedere l'aeroporto. Tra CNN, rugby in televisione e internet le sette ore ci passano, vado al check-in, il tizio mi fa "Abbiamo un problema". "Ci avrei scommesso", resto al bancone pensando a come passare le prossime 30 ore in questo aeroporto futurista senza prendere a capocciate il distributore della Coca Cola, ma dopo venti minuti il tizio ci informa che il problema e' risolto e possiamo partire per Pechino. Non ci credo piu'. Afferro indifferente il biglietto e mi trascino nella sala attesa, noto qualcosa di strano: maleodoranti uomini e donne bassi, capelli neri corti e occhi a mandorla, fumare e mangiare senza sosta... sono cinesi!! Evvai!! Mi siete mancati popolo della Repubblica Popolare, vi voglio bene, non vi lascero' piu'. Yu e' subito infastidita dalla loro presenza e classica "maleducazione", io invece ne godo troppo, la lingua che parlano non mi e' mai sembrata tanto familiare, riesco a capire anche i dialetti piu' estremi, fanculo l'inglese, evviva il mandarino! Muoio per sei ore in aereo, non dormivo non so da quante ore e mi risveglio all'alba: Pechino! Calma piatta, quattro gradi sotto zero (35 gradi di differenza con lo Sri Lanka), dopo 40 minuti di bus sono alla mia universita', milioni di giovani cinesi che vanno e vengono, gli studenti di arte hanno gli esami, parlano una lingua che conosco, non sento piu' neanche il freddo nonostante sia privo di giubbetto. Finalmente Pechino! Mi butto sul letto nel mio dormitorio (con Yu... non la sopporto piu' ma al momento non ha casa e non la posso buttare per strada), mi informano che stasera c'e' una festa dai russi e lunedi gli esami di ammissione al secondo semestre, ma intanto ho gia' il pensiero fisso al biglietto omaggio che ho in tasca e... al prossimo viaggio!
L'Asia? A colazione, inzuppata nel caffe' latte...

Sri Lanka, foto
















Thursday, February 21, 2008

Indimenticabile Sri Lanka!

La Repubblica Democratica Socialista dello Sri Lanka (ex Ceylon) e' un'isola grande quasi tre volte la Sicilia, ha 20 milioni di persone e la capitale si chiama Colombo. Da Chennai a Pechino ho 27 ore di scalo a Colombo. L'aereoporto e' lodevole, grande, pulito, pieno di servizi, negozi, acqua potabile gratuita, spaziose e comode sale di attesa, dove i musulmani stendono un telo e pregano in direzione de La Mecca e gli altri viaggiatori si allungano per dormire nelle morbide poltroncine. All'uscita ti fanno gratuitamente e col solo utilizzo di un timbro il visto turistico valido 30 giorni. La navetta per la cittadina piu' vicina all'aereporto e' gratuita. E' esattamente questo quello che io intendo per civilta'. Poi prendiamo un bus per arrivare a Colombo (35 km, un'ora circa). Colombo e' molto carina, attiva, non c'e' immondizia in giro, grandi palazzi in stile coloniale (e' stata, come Kochi, portoghese, olandese ed inglese), la zona del porto e' piena di bettole, bar, botteghe di artigiani, venditori di pesce, negozietti, immagini che a me fanno impazzire, troppo emozionanti e romantici i porti, Barcellona, Instanbul, Macao. Nota pesantemente negativa e' la presenza massiccia dell'esercito per le strade. Un soldato armato di kalashnikov e uniforme mimetica ogni 500 metri. Strade bloccate, vie obbligatorie, polizia che conduce i passanti, tira fuori il documento di identita', perquisizioni, controlli, metal detector, barricate, cancelli, sbarramenti... sembra di stare a Genova per il G8, sembra di stare a Belfast negli anni settanta, sembra di stare in Palestina, sembra di stare a Berlino Est, sembra di stare in guerra o in regime di occupazione. Vietatissimo fare le foto, ma ne ho strappata ugualmente una con conseguente predica del militare e inculata in bosniaco antico di un tassista (anche se non ho ben capito che cosa volesse il tassista...). Non ci sono turisti e lo credo bene, c'e' poco da vedere e quel poco e' vietato. Il porto e' totalmente barricato. Non pensavo facessero cosi' paura le tigri del Tamil. Per fortuna la gente vive come se tutto fosse a posto, non fanno caso a barricate ed esercito, c'e' un'atmosfera rilassata, non molto diversa da quelle incontrate in India, anche se qui la gente veste meno "tradizionale" e c'e' molta meno sporcizia e caos. Lasciando la zona del porto alla ricerca in un internet point, incrociamo un posto impressionante: il mercato del pesce. E' situato in cio' di che rimane di un enorme edificio grigio solo in muratura, al suo interno pescatori, carcasse di pesci, sangue, uccelli, mannaie, stivali, squali. Se esiste un inferno dei pesci, sono sicuro si trovi qui. Sembra proprio l'inferno dei pesci. Intorno e' circondato da topi, cani, corvi, camion e blocchi di ghiaccio. Il posto piu' puzzolente che abbia mai incontrato, mi verrebbe da rimettere, e non sono uno dallo stomaco da principessa sul pisello io. Per usare un eufemismo, Yu e' disgustata, mi sta alla lontana. Sembra un macello con macellai accaniti contro le mucche, ma qui al posto delle mucche ci sono squali e grossi tonni. Zaino in spalla mi divincolo tra carcasse di pesci e strani liquami lungo il cammino, un pescatore mi da' il benvenuto e mi chiede da dove vengo. "Italia". Spunta un altro tipo, alto, smilzo, faccia simpatica, occhi azzurri, parla spagnolo e mi dice che ha lavorato due anni a Milano, vive in Spagna, e' sposato con una spagnola (per farsi il visto spagnolo) e ha lavorato in mezzo mondo come pescatore e marinaio. Ora possiede un'attivita' di vendita internazionale di pesce e sta a Colombo. Mi fa vedere il pescato della notte precedente, mi presenta gli operai che stanno caricando tonni nei camion, permette a Yu di fare diverse foto, mi fa sedere su uno dei banconi, ci offre del te' cingalese, chiama un amico e tira fuori due spinelli, "Fumi?", sorrido, non potevo rifiutare erba in un posto del genere, il suo amico stava gia' rullando. "Niente problemi con la polizia?" chiedo, mi indica il tipo che ho a fianco e mi dice "Lui fa il poliziotto". Si chiama John, Parla spagnolo benissimo, mi spiega un monte di cose: il pescato di qui e' venduto all'80% in Sri Lanka e il resto in Giappone e altri paesi asiatici. Mi mostra tonni da 80 chili, dice che qui lo vendono a 1.5/2 dollari al chilo. Mi fa vedere un tonno medio, 7o chili, lungo un metro, lo vendono per 50 dollari. Mentre Yu scatta foto del pesce che si mangiano anche in Giappone, John le dice che potremmo cominciare un business di import di tonno. In Italia no, non hanno la licenza. Mi fanno entrare nel camion-cella frigorifera, foto coi tonni ciccioni, un tizio tira fuori un coltello strano, a spirale, prende un tonno, alza la pinna laterale, penetra il coltello e tira fuori un brandello di "carne di pesce", me lo mette in mano, "questo in Giappone si chiama sashimi", io ho gia' infilato la carne in bocca, squisito, sa di salmone, "meglio con pepe e limone". Immagino a quanto lo vende in Giappone. Mi ci potrei pagare il dottorato a Tokyo. Un pensiero sul business di tonni a Yokohama ce lo faccio. Ci dicono che a causa dello Tsunami, della situazione politica e del terrorismo le cose non vanno bene, ma tirano lo stesso a campare. La citta' non mostra sintomi di miseria o "sofferenza". Poi John ci regala dei campioni di te' cingalese, "In Sri Lanka abbiamo 16 tipi di te' " e propone ovviamente il business anche di te'. "Se tornate a Colombo siete miei ospiti" e ci lascia il suo contatto. Poi ci indica l'internet point e ringraziandolo ci allontaniamo da questo posto puzzolente come nessun altro, di tonni, sangue, te' e marijuana. Da girarci un film.
Cazzo se era buono il brandello di tonno crudo...
Grazie John. Suerte!

Wednesday, February 20, 2008

Diario indiano (XVIII): considerazioni finali

Come ogni viaggio anche questo si appresta alla fine. Siamo a Chennai e a ore prenderemo l'aereo per Colombo, capitale dello Sri Lanka, sosta di 24 ore e poi volo per Pechino. E fin qui tutto bene. Ora... che dire dell'India?!
Innanzitutto questo: diversissima dall'Italia e dall'occidente in generale, in non capisco come la si possa paragonare alla Cina... Economisti e giornalisti sbandierano la rapida crescita economica di India e Cina e non finiscono di comparare i due giganti asiatici sotto varie sfaccettature, cosa alla fine oltremodo affascinante. Peccato che, dopo essermi strascinato per trenta giorni per tutta l'India meridionale, posso dire che il paragone e' assolutamente azzardato, non sta ne' in cielo ne' in terra, forse e' solo una mossa editoriale ai fini commerciali. A Rampini non credere mai. O forse lo sviluppo indiano riguarda processi macroeconomici e finanziari che non toccano la gente comune e le citta', dunque agli occhi di un viaggiatore e' tutto invisibile. O forse in India settentrionale e' tutto diverso, e' il sud indiano e' peggio del meridione italiano nel 1861.
Quando si parla di Cina si intendono soprattutto Pechino, Shanghai, Canton, Shenzhen, Hong Kong. Oggi come oggi sono citta' che hanno uno sviluppo urbano ed economico da mangiarsi citta' come Milano. Il problema e' che la ricchezza non e' affatto distribuita egualmente, stato sociale assente, enorme divario sociale. Cioe' per ogni cinese che gira in Mercedes, puttane e orologi d'oro, ce ne sono diecimila che stanno in campagna a sputar sangue e bile nei campi o in citta' a morire di lavoro funambuli nel cotruire grattacieli nei quali non metteranno mai piede per meno di 100 euro al mese. Questa e' la Cina. E su questo sono d'accordo giornali occidentali, cinesi, taiwanesi e di Hong Kong. La Cina come grande contraddizione e divario sociale impressionante. Agli occhi di tutti.
L'India che ho visto io invece e' un altro mondo. Se la Cina e' avanti per tante cose (e continua ad avanzare troppo velocemente), l'India e', agli occhi di un uomo bianco, troppo indietro. Un po' su tutto. E' una societa' che non mi sento di criticare ne' tanto meno denigrare. Ma qua sembra si sia fermato tutto mille anni fa. Non capisco ancora dove nascondano sviluppo, progresso, modernizzazione, globalizzazione, "occidentalizzazione". Dove sta la crescita del Pil al 9% annuo?! Dove l'hanno nascosta?! Da Chennai a Hyderabad, da Mumbai a Bangalore (la nuova Silicon Valley?? Ma dove?!?!), da Goa a Madurai (ovviamente dove piu' e dove meno) vedi mucche gironzolare per la citta', bambini nudi e sporchi di nero rotolarsi nell'immondizia, strade rotte e non asfaltate, treni e pullman dell'Italia del dopoguerra (provate invece a prendere un treno cinese... sono migliori di quelli italiani, anche se so che non ci vuole poi tanto...), rifiuti e immondizia ai margini della strada, fiumi neri puzzolenti, gente che gira scalza, bivacca ovunque, mangia con le mani per nulla attenta a pulizia ed igiene. Il che va benissimo, purche' vada bene a loro. E a loro va bene credo. L'India e' indubbiamente piu' vivibile della Cina (e forse anche dell'Italia). Non trovi segni/immagini di delinquenza, non devi star attento a nulla e sai che ti puoi fidare del prossimo. Ho incontrato solo persone gentili ed oneste, sia sui prezzi che sulle indicazioni. Se viaggi in Marocco, Turchia o Cambogia non fai altro che incontrare povera gente che fa di tutto pur di spillare un dollaro al turista occidentale, al "portafoglio con le gambe". Qui non ho avuto la stessa sensazione. Pechino non ha il numero di ladruncoli, barboni, tossici, zingari e romeni ubriachi che ci sono, per esempio, a Roma; ma anche a Pechino capita di vedere furti e risse. Qui in India ho solo incontrato persone pronte a giurare che queste cose in India accadono molto raramente. Credo sia qualcosa che va al di la' dei luoghi comuni occidentali, che disegnano l'India come un enorme paese di guru e santoni, gente pacifica, vegetariana, consumatori di droghe e filosofie antiche come il cielo. Al di la' dei discorsi su tolleranza e non violenza, ho trovato un paese sicuramente ospitale, coloratissimo, quasi privo di tensione, arrivismo, fretta. Ho notato (come mi aveva detto Marchetto) che qui un sorriso aggiusta diverse cose.
Difficile parlare delle caste. Credo esistano e credo la gente le osservi, ma non lo vedi per strada, non lo capisci dalle persone, lo sai perche' lo hai letto nei libri. Qui ho visto invece una forte divisione fra uomo e donna. Le donne hanno posti a parte nei treni e negli autobus, file e posti per pregare separatamente. Il tutto per loro comodita' credo, ma non e' questo quello che io intendo per "emancipazione femminile". Le donne indiane sono davvero bellissime, perche' si ornano (tutte, dalla mendicante alla star di Bollywood) con fiori, bracciali, anelli, orecchini, catenine, tatuaggi all'henne' e il loro (super sexy direi) sari, questa veste colorata che le fa assomigliare a quelle che da noi bolliamo come "zingare". Un po' troppo panciute forse, ma molto sexy ripeto.
A Pechino, come in ogni altro paese sviluppato o in dirittura di arrivo quanto a sviluppo, noti le differenze di "classe", l'operaio e il padrone, il contadino ed il borghese, l'uomo d'affari e il camionista, il ricco e il povero. Lo noti da tante cose, odore, pulizia, vestiti, proprieta', luoghi che frequenta, modi di atteggiarsi. In India sono diversi anche su questo. Agli occhi di un occidentale sono tutti "piu' uguali". Un po' come in Laos e Cambogia, ma Laos e Cambogia non sono paragonati alla Cina, non sono chiamate "giganti dell'Asia", non hanno una crescita economica annua del 9%. In India non sai bene chi sia ricco e chi povero, vestono simili, vanno entrambi scalzi per strada, hanno entrambi il cellulare e catenine varie. Non girano auto di lusso, non ci sono templi del capitalismo, mancano discoteche, hotel e ristoranti di lusso. Sembra che sia tutto uguale per tutti, anche se poi le donne hanno sedili a parte nei bus e i treni hanno prima, seconda e terza classe. Ammesso che ci siano differenze economiche e di classe tra i cittadini, queste non le vedi, non le noti. Diverso da Europa, Usa, Russia, Corea e Giappone, dove la ricchezza e' motivo di vanto e va ostentata (eccezion fatta per l'Italia, dove i ricchi stanno bene attenti ad ostentare la loro ricchezza, per paura dei ladri e della Guardia di Finanza).
Pechino e' ogni giorno piu' triste, perche' vedi come ragazzi della tua eta' ma con una storia e una cultura estremamente diversa dalla tua cambino giorno dopo giorno, conformandosi sempre piu' agli stili di vita occidentale: stessi vestiti e brand (Nike, Adidas, Gucci, Armani, ...), stesso cibo e fast food (KFC, McDonald's, Pizza Hut, Starbucks, ...), stessi hobby, sport, follie e depravazioni. Ma, grazie a un dio che tuttora dubito esista, in India cosi' non e'! Evviva il libero popolo indiano! I giovani indiani in gran parte non fumano e non fanno uso di alcolici, non mangiano carne (quindi non ho visto KFC in giro e un solo McDonald's, alla stazione di Mumbai), non vestono all'occidentale (no gel, no piercing, no tattoo, no jeans firmati, no magliettine attillate, no lampade, no discoteche), insomma non comprano da noi e non danno via il culo per un pacchetto di patatine fritte con ketchup sopra. Mi chiedo: se gli uomini e donne vestono tutti uguali (pantaloni lunghi o un telo girato e camicie a maniche corte i primi, sari le seconde) che cosa comprano dall'occidente a livello di abbigliamento? Azzardo una risposta: un cazzo. E torna la domanda: dove nascondono modernizzazione, sviluppo, globalizzazione, omologazione? Forse che semplicemente non le hanno? Il secondo gigante asiatico, crescita Pil 9% annuo, un miliardo e cento milioni di persone che non seguono gli stili di vita occidentali ma seguono ancora propri valori, pregano ancora un vastissimo pantheon di divinita' diverse dal dio occidentale del denaro e del consumo, che fanno decidere ai genitori con chi sposarsi, che aiutano i ciechi per le strada, lasciano elemosine ai mendicanti, fanno sedere gli anziani nel bus, sono cordiali e ti aiutano se hai perso la strada, che semplicemente si fermano se chiedi loro "mi scusi, avrai bisogno del suo aiuto un momento per favore", tutto cio' mi fa ben sperare per il futuro. Pensavo che tutto il mondo seguisse la via cinese, il peggio di cio' che di peggio c'e' in occidente, invece no, gli indiani camminano da soli, mantengono strette tradizioni e usi (assurdi e incondivisibili anche per me), insomma se si stanno sviluppando, non lo stanno facendo "a modo nostro".
L'India del "chai" ("cha" in cinese, "ochai" in giapponese) ovvero del "te' " che assomiglia ad un latte e caffe' zuccherato e speziato. L'India dei mangiatori di tabacco, dolcetti particolarissimi e foglie vari. Masala dosa, puttu, chapati, porrotta e mille altri nomi che indicano tutti tipi di pane e focacce diverse con le solite zuppine piccanti e speziate. Le donne che vanno con le donne e gli uomini con gli uomini, non incontri teneri amanti per strada, mai un bacio o una carezza tra giovani. Gli indiani che gesticolano come (e forse anche piu') noi italiani, ma hanno una cosa in piu': l'uso unico nel mondo, credo, di oscillare la testa con un mezzo sorriso, don don, gesto che significa non ho ancora capito bene cosa... a volte per un "grazie", a volte per un "prego", "si'!", "no", "ok" e chissa' cos'altro ancora. L'India del cricket (una sorta di softball), unico sport che vedi praticato dai giovani (quasi solo maschi) in ogni spazio pubblico. L'India che usa ancora il suffisso colonialista inglese "Sir" per rivolgersi al turista bianco. L'India delle baraccopoli, due lamiere, una porta, una gomma d'auto come finestra e un tetto. L'India di chi lava vestiti, denti e figli nei fiumi nero carbone. L'India del sorriso perenne, dei colori sgargianti, dell'avviso "No, non siamo in vendita... provi in Cina".
Questa e' l'India che ho visto. Trenta giorni, da Mumbai in giu'. Forse ho frainteso tutto e ho solo detto un mare di cavolate. So che in India non vivrei, perche' i miei studi sono radicati in Cina e ho ancora un appartamento in affitto sui cinque continenti, nessuno escluso. Ma e' stato infinitamente piacevole trovare un paese cosi' diverso, che strappa applausi quanto a dignita', nonostante le mucche, gli slums, l'immondizia, le caste e i mendicanti. Ed ora ritorno a Pechino (come mi ha detto Gabriele, che e' stato in India e vive in Cina, "Pechino non ti sara' mai sembrata cosi' pulita"), ma non prima di una giornata spesa nella capitale dello Sri Lanka, dove l'ultimo attentato delle tigri del Tamil risale a meno di un mese e mezzo fa. Male che vada, mi lascio rapire dai ribelli e sposero' la loro causa, fino alla vittoria del maoismo nel sud-est asiatico. Gandhi diceva che la civilta' di un paese si misura in base al rispetto che hanno per gli animali. Sono in gran parte d'accordo, e sono fiero di questi passati trenta giorni totalmente vegetariani.
Ciao India, stammi bene... e alla Cina non credere mai.


Sunday, February 17, 2008

Diario indiano (XVII): foto, Kochi (ex Cochin)






















Diario indiano (XVI): belle le brutte notizie

Negli ultimi mesi ho fatto domanda per tre diverse borse di studio per un dottorato all'estero in tre universita', Cambridge, Nottingham e Tokyo. Cambridge fa sapere che non han ricevuto il materiale che ho inviato, Nottingham che manca un documento e Tokyo che proprio non potevo partecipare alla borsa. Brutti colpi. Quanto tempo e soldi buttati nel cesso! Almeno venir eliminati per merito fa piacere, spinge a far di piu', battersi con piu' ferocia... Eliminati per mancato arrivo di materiali dispiace davvero. Mi sento piu' disoccupato di prima. Ma questo con l'India non c'entra...
L'arrivo a Kollam, cittadina del Kerala meridionale, e' stato piu' che piacevole, atmosfera di festa (quella del Partito Comunista Indiano del Kerala), bandiere rosse, falci e martello, ritratti di Lenin, Marx, Mao, Che Guevara e tizi vari. Da Kollam partono numerosi traghetti e barche per il lungo viaggio di 8 ore verso Alappuzha via Backwaters, lunghi canali d'acqua che costeggiano il mare perdendosi tra giungle di palme e abitazioni di pescatori. Paesaggio incantevole ed extra rilassante. Siamo partiti la mattina alle 10 e mezza, 5 euro a capoccia il prezzo del viaggio in barca, i nostri compagni di tour erano tutti occidentali over trenta, soprattutto inglesi, olandesi, spagnoli. A meta' strada alcuni di loro sono scesi a terra, per fermarsi qualche giorno in un grande ashram, una sorta di comunita' dove si vive in meditazione e ci sono guru che vomitano uova d'oro e statue che sudano miele. Scherzo. O meglio, questo e' quello che mi ha raccontato un tizio per nulla giovane che ha vissuto in un ashram a Bangalore. Miele o meno, gli ashram sono comunita' di fedeli. Moltissimi occidentali, alla ricerca di non so bene cosa. A me la cosa puzza un po', ma prima sarebbe da visitarlo e viverlo un ashram. Forse ci fermeremo una notte a Chennai, se riusciamo a trovarne qualcuno. Pensavo fossero solo le madonne a piangere sangue. Qui invece le statue sudano miele. Altrove magari cagano vino. Io mi converto anche subito, ma solo a quelle che cagano vino. Fantasie a parte, il nostro viaggio e' terminato al tramonto (colori impressionanti) nella citta' di Alappuzha, cittadina piena di canali e lagune, che ridanno ad una piccola e modesta Venezia (o Amsterdam, o Hangzhou, se preferite). Ad Alappuzha abbiamo scovato un "Bar", ovvero l'unico posto dove gli indiani (quasi di nascosto) bevono alcool: sono una sorta di bettolaccia, una cantina con quattro mura sporche, un bancone e uomini piegati sui loro bicchieri a bere birra (marchio Kingfisher), rhum o wisky. Il rhum e il whisky non se lo bevono liscio, ma allungato con acqua o soda. Vigliacchi. "Buonasera... cosa beve il signore al mio fianco?". "Rhum, sir". "Un bicchiere, grazie". Mi porta anche noccioline e soda, ma spiego al garzoncello che non sono venuto per mangiare ne' tanto meno per lavarmi i denti. Assaggio questa brodaglia fulvo scuro. Buono. Anestetizza il labbro superiore. "Un altro grazie". "Ancora uno". "L'ultimo, grazie". Il garzone mi guarda e sorride mentre annullo i quattro bicchieri di rhum. Liscio. Un paio di ubriaconi si accendono una sigaretta, mi mostrano un sorriso privo di denti se non quelli neri vicino all'ugola, sbiascicano qualcosa in tartaro antico, annuisco, un paio di pacche sulle spalle, pago e vado a prendere Yu che era andata a far cena da qualche parte. La porto nel "Bar" (in India ce ne sono pochi, niente a che vedere con l'Italia, ma ne ho trovato almeno uno per ogni villaggio o citta' che ho visitato), si girano tutti gli ubriaconi a fissare l'unica donna nella bettola, ordino altri due rhum, Yu assaggia e rovescia subito il contenuto nel mio bicchiere. Amo bere con le donne, specie quelle schizzinose.
Il giorno dopo prendiamo un bus per Kochi (ex Cochin), citta' a 70 km direzione nord da Alappuzha. E' una grande citta', ricca di storia: colonizzata prima dai portoghesi, poi dagli olandesi e infine dagli inglesi, e' un porto attivo e la forma bizzarra. Diverse le isolette e penisole, mentre la citta' moderna di trova nella terra ferma e si chiama Ernakulam. Moltissimi i turisti, anche se non capisco bene cosa vengano a fare qui... forse e' perche' anche da qui partono barche per romantici viaggi nelle backwaters, o forse per Fort Cochin e le numerosissime casette, costruzioni, chiesette e cimiteri in stile europeo. Ci sono chiese per tutte le religioni, ne ho trovata una ortodossa siriana. Poi mi sono fermato a meditare (senza statue nei dintorni che sudassero miele, nb) sul retro del cimitero olandese, mentre alle mie spalle alcune ragazze indiane facevano il bagno in oceano vestite e il sole tramontava silenzioso... fissavo la tomba di un certo "Peter Wicklers and Family, 1842" e ragionavo sul fatto che e' sublime viaggiare e girare il mondo, ma ancora piu' sublime dovrebbe essere il viaggio temporale. Viaggiare nel tempo. Prova a ripeterlo sottovoce chiudendo gli occhi e gia' ti becchi il primo orgasmo. Nel tempo. Dinosauri, Homo Sapiens, Giulio Cesare, Tamerlano, James Cook, Ho Chi Minh... Se mi venisse chiesto di esprimere un desiderio risponderei a colpo sicuro (tanto desideri come "la pace nel mondo" o "la fine della poverta' fra i popoli della terra" li hanno gia' espressi altri prima di me e non sono mai stati realizzati, un motivo ci sara'...): vorrei poter viaggiar nel tempo. Nella storia dell'uomo. Nei secoli. Amen.
A Cochin mi sono fermato inoltre a parlare con i numerosissimi portatori di rikscio'. Mi han spiegato che ora nel Kerala governa il partito comunista, ma le cose non vanno molto bene, poco lavoro e aumento dei prezzi. Il costo della benzinza e' cresciuto di 5 rupie per litro, per questo oggi e domani sciopero dei trasportatori privati. E mi hanno anche spiegato che qua va al governo per 5 anni il partito comunista, poi 5 anni va su il partito del Congresso, poi i comunisti di nuovo e cosi' via. E io ho spiegato che invece la democrazia all'italiana funziona che prima va su Berlusconi, poi Prodi, poi Berlusconi di nuovo, poi il figlio di Prodi, ancora Berlusconi, il nipote di Prodi, Berlusconi di nuovo e cosi' via. Siamo troppo piu' avanti. In Italia. Ma anche qui ho trovato il trasportatore di rikscio' napoletano in versione indiana (con tutto il rispetto per gli amici napoletani). Praticamente qui molti tassisti e guidatori di rikscio' si guadagnano da vivere non tanto scarrozzando i turisti ma facendosi pagare da proprietari di negozi di alta classe per portare in visita i turisti (cioe' potenziali acquirenti, clienti... portafogli con le gambe). Parlando del piu' e del meno con alcuni di questi del rikscio' in siesta pomeridiana, uno con la faccia piu' mafiosa mi propone di andare (gratis) in rikscio' con lui a visitare 5 negozi di gioielli, mobili e merdate varie, "solo vedere, no comprare", una mezzoretta e siamo di ritorno. Cosa ci guadagno io? 200 rupie, nette e in contanti. 200 rupie sono poco piu' di 3 euro, il prezzo di una notte in stanza doppia. Accetto, non vedo dove sia l'inculata (al massimo non mi paga, ma mi faccio un giro gratis per la citta'). Salto sul rikscio' nonostante Yu mi preghi di non accettare, mi faccio scarrozzare in 5 negozi dove altrimenti non sarei MAI entrato, mi fingo uomo bianco d'affari che vive in Cina, interessato in antiquariato, chiedo i prezzi, il materiale, il mercato, poi esco senza comprare. Ovviamente nessun commerciante ha creduto che io fossi un uomo d'affari (barba lunga e incolta, puzzo tremendo di sudore, t-shirt di Che Guevara con vari buchi sotto le ascelle), ma tutti mi hanno dato del "Sir" e alla fine il tizio del rikscio' mi ha dato sulle mani 200 rupie. E' stato di parola. Mi ha ringraziato e se ne e' andato via, lasciandomi pensare a quanti soldi abbia invece fatto lui. Paese che vai, affare che trovi.
Oggi domenica, sciopero dei rikscio', caldo insopportabile e citta' diserta. Per fortuna esistono gli internet point e Yu riesce ad addormentarsi sul mouse mentre io batto al computer. Stasera treno per Chennai, solo 13 ore per fortuna.
Quod non fecerunt barbari fecerunt Danie' e Yu

Saturday, February 16, 2008

Diario indiano (XV): foto, Kollam e Backwaters





































Wednesday, February 13, 2008

Diario indiano (XIV): dove eravamo rimasti?

Lasciate Auroville e Pondicherry, nove ore di pullman seconda guerra punica destinazione Madurai, antichissima citta' del Tamil Nadu, un milione e trecento mila capocce. Metropoli anche qui viva e colorata, strade di fango, mucche e rikscio'. Madurai e' famosa per il grande tempio Meenakshi (di cui avete le foto in qualche post sotto). Atmosfera a dir poco stupefacente per un europeo come me. Il tempio e' sito nel cuore della citta', ha pianta quadrangolare e quattro ingressi principali, sovrastati da questi alti muri trapezioidali riempiti di coloratissime statuite di uomini, divinita' e animali. Si entra scalzi e al suo interno trovi diverse stanze piu' o meno grandi, l'ingresso ad alcune delle quali e' permesso solo agli indu'. Qui i fedeli si ritrovano per le visite al numeroso pantheon di divinita' della tradizione indiana, preghiere ed offerte. I riti non sono particolarmente "assurdi" se paragonati a quelli gia' visti in altre zone del sud-est asiatico, Tibet, Cina. Colpisce senz'altro l'atmosfera di religiosita', la "fede" delle persone raccolte a sfilare, pregare, cantare, versare acqua, mangiare, fare elemosine, tingersi la fronte con strane tempere e polveri, adorare statue di capre, elefanti, antropomorfe. Molto scuro, molto fumo, troppi odori, elefanti che gironzolano per raccogliere offerte, mercatini dentro e fuori il luogo sacro. Yu che scuote la testa e mi fa notare come in Asia tutte le religioni hanno (secondo lei) il solo scopo di lucro, come le funzioni buddhiste che le hai visto (e in cui ha dovuto partecipare) nel suo lontano Giappone. Io la rassicuro "Tranquilla Yu... un giorno ti portero' in piazza San Pietro". Per il resto il tempio e' una meraviglia di architetture, sculture, pitture e colori. Ingresso gratuito.
Seconda tappa di Madurai e' un ospedale e la scuola fondate da una suora italiana, Noemi, una di quelle persone che ha speso quasi tutta la vita al servizio del prossimo tuo, quello debole, povero, brutto, emarginato. Su indicazione di persone che a Macerata la conoscono ho raggiunto il posto, estrema periferia, fango e polvere. Le strutture sono notevoli, regna pace e serenita', vasto numero di suore indiane che han studiato in Italia, infermieri e insegnanti. Migliaia di bambini in uniforme per gli esami scolastici. Noemi mi ha offerto un caffe' e parlato di quando, trent'anni fa, qui c'era solo gente che moriva ai bordi della strada. In effetti ora la situazione e' sicuramente buona, imparagonabile al caos e alla miseria che ho visto (e vissuto, ma solo per trenta giorni) in un villaggio del Kenya presso un'altra missione salesiana. Proprio del Kenya ho parlato con Noemi, e poi della Cina, di cinesi, di internet e dei miei viaggi. Curiosa Noemi. Persona con i cosiddetti.
La sera niente ostello, ma altre nove ore di pullman seconda guerra punica per Trivandrum, capitale dello stato del Kerala, meravigliosa oasi di spiagge, fiumi e foreste di palme; uno dei siti piu' belli al mondo (provate ad andare su google e scrivere "kerala backwaters" dal menu' Immagini).
Ore cinque di mattina, neanche albeggia, distrutti io e Yu ci ritroviamo scaricati (ancora con gli occhi chiusi) di fronte alla stazione di Trivandrum (estrema punta sud-ovest dell'India), posiamo gli zaini tra un mucca e un mendicante e dico a Yu "scegli il nome di una spiaggia", lei apre la sua guida in giapponese e fa "Varkala". Compro due biglietti del treno (terza classe, cioe' seconda senza prenotazione... fedelissimo!) e mezz'ora dopo partiamo per questo piccolo villaggio (ricco, straricco per i fedeli in visita ad un tempietto e le migliaia di turisti occidentali che vengono per le vacanze) con delle spiagge bellissime e foreste di palme e banani che ricoprono colline rocciose di terra rossa a picco sull'oceano. Finalmente (di nuovo) l'oceano. E poi tre giorni di relax in spiaggia, bagni contro le onde (e contusioni varie), passeggiate e letture in questa atmosfera forse troppo pesante di "post-freakketonismo", turisti italiani, spagnoli, francesi, tedeschi, canadesi, australiani di tutte le eta', abbigliamento come quello dei giovani italiani alle manifestazioni di sinistra, spinello libero, tatuaggi e yoga al tramonto. Non capisco molto, non mi ci ritrovo, passeggio perplesso massaggiandomi la barba tra vegetariani che mangiano fette di pesce spada e negozietti di oggettistica tibetana. La maggior parte dei ristoranti, hotel e negozi tengono aperto da dicembre a febbraio, quasi solo per l'uomo bianco. Poi chiudono la stagione e si godono i soldi, molti fanno affari (e viaggi) anche in Europa e America. Lo Tsunami? Mai visto da queste parti. La spiaggia e' vigilata da guardie munite di bandierine rosse e fischietto per impedire agli occidentali di nuotare troppo a largo col rischio (leggi "certezza") di venire risucchiati dall'oceano e scomparire in acqua. Vietata la balneazione in alcune zone e di notte. Impressionante la furia del mare, fantastico venire scaraventati a terra dalle onde e poi in alto e a terra di nuovo come sorretti da decine di braccia diverse...
Salutata Varkala, treno delle dieci di mattina (terza classe, nb) per Kollam. Siamo arrivati poche ore fa, trovata una bettolina con bagno e topi e camera, domani partiamo per un tour di otto ore in barca tra questi meravigliosi paesaggi di fiumi, palme e pescatori fino al tramonto e alla citta' di Alappuzha. O qualcosa del genere...

Tuesday, February 12, 2008

Diario indiano (XIII): foto, spiagge del Kerala







Monday, February 11, 2008

Diario indiano (XII): foto, Madurai





Thursday, February 07, 2008

Diario indiano (XI): foto, Auroville
























































Diario indiano (X): Auroville

Una trentina di mesi fa, un carissimo amico romano, Marchetto, studente di antropologia a "La Sapienza" di Roma, mi parla di un posto particolare, una grande comune nelle foreste dell'India meridionale, Auroville, sulla quale vuole scrivere la sua tesi di laurea. Tempo dopo partira' e restera' ad Auroville per diversi mesi, lavorando e intervistando, per scrivere la sua tesi sugli italiani che vivono li'. Ho letto questa tesi e un articolo che ha pubblicato su una rivista, me ne ha parlato molto, mi ha messo insomma la pulce nell'orecchio, ed ora che mi trovavo a zonzo da queste parti mi sono fermato per qualche giorno a visitare questa poco famosa Auroville. Provo, molto umilmente, a parlarvene un po'. Perdonate errori e/o balle eventuali.
Credo siano "esperimento sociale" le due migliori parole per descrivere questo posto. Si trova a 12 km in direzione nord-ovest rispetto a Pondicherry, distretto autonomo ed ex colonia francese nell'India sud-orientale. La prima cosa che mi ha colpito e' che questa citta' di Auroville (creata nel 1968 da Mirra Alfassa e altri numerosi volontari, sulle indicazioni del poeta e mistico Sri Auobindo) e' immersa nella foresta. Gli alberi (tutti piantati dai suoi abitanti negli ultimi quaranta anni) sono a volte talmente fitti che non e' possibile vedere il cielo. Al massimo il cielo lo intuisci. Ma non lo vedi. Non ci sono pressoche' strade asfaltate, solo stradine di terra rossa, dove perdersi non e' un caso, e' un diritto e un dovere del viaggiatore. Esperimento umano. Qui risiedono 1900 persone circa, meta' indiani di etnia Tamil, il resto stranieri, per lo piu' occidentali (francesi, tedeschi ed italiani in primis) ma anche coreani e giapponesi. Insomma persone da ogni angolo della terra con culture e back ground diversissimi tra loro. La multiculturita' e' la caratteistica prima di questa citta'. Si parlano moltissime lingue, ma principalmente inglese, francese e tamil. Sembra incredibile come all'interno di una foresta possa vivere una citta'. Ma di fatti e' cosi'. Non esistono sindaci, preti, papi, re, polizia, esercito. Esistono leggi e soldi ma hanno un uso marginale e un'importanza ancora piu' relativa. Tutti vivono in uno spirito di unione e solidarieta' con il prossimo, tolleranza e rispetto. Non esiste il concetto di lavoro, salario, competizione, diploma. Il lavoro e' solo volontario e i cittadini di Auroville ricevono un sussidio minimo mensile, mentre hanno libero accesso a mense, infrastrutture, internet point, scuole, cinema, corsi di ogni genere, meeting, giochi, riunioni, incontri. La casa appartiene ad Auroville, non a chi la abita. Non si "ha" una cosa, ma si "usa" una cosa. Non c'e' una religione, molti professano le proprie fedi ma in generale tutti sono molto "spirituali", sopra al concetto di religioni instituzionalizzate, dogmatiche, pre-confezionate. E molti seguono semplicemente gli insegnamenti dell'idealizzatore di Auroville, Sri Aurobindo, e della sua creatrice, Mirra Alfassa. Esiste una sorta di consiglio dei piu' anziani che si riunisce per discutere problemi e prendere decisioni sui temi piu' importanti per la comunita'.
Questa e', per grandi somme e con qualche imperfezione, la presentazione di Auroville.
Per quando non molto famosa, questa citta' (che non e' autosufficiente, ma si aiuta con i fondi di Unesco e governo indiano) e' piena di turisti. Specie da dicembre a marzo, quando cioe' e' meno caldo e piu' ricca di feste e attivita'. Appena arrivato non ho trovato posto in nessuna delle molte guest-house nel centro di Auroville, ma solo montagne di turisti indiani in pullman e turisti occidentali presissimi dall'esperimento umano Auroville. File di persone nel centro informazioni, per vedere i video sulla storia della citta' e prendere i biglietti gratuiti per visitare il Matrimandir. Caricati in autostop da tre motociclisti canadesi io e Yu abbiamo raggiunto una guest-house in un villaggio tamil appena fuori la folta vegetazione della citta'. Posto economico e confortevole, una sorta di grande giardino botanico con capanne dove risiedono gli ospiti (tutti occidentali over 40 con bambini), insomma anche questa una piccola comunita' di tolleranza e spiritualita', vecchiette scalze che bevono te' all'ombra di grandi alberi e folgorati cinquantenni tedeschi che mi parlano di notte di guru che vomitano uova d'oro e statue che sudano miele mentre mastico nervosamente una mela offerta dal tipo e vengo divorato dalle zanzare. Banani, palme, piante di papaya. Serpenti, scoiattoli e insetti vari nel bagno all'aperto. Terra rossa, fango e vacche ovunque. Porca vacca troia. Affittiamo per 1,2 euro al giorno una vecchia moto Honda. Un vero affare. Non carbura, si ferma in salita, consuma un casino, non ha frecce, fari o clacson ma almeno frena. Da domenica a giovedi' siamo vissuti in questo piccolo paradiso naturale, mentre dall'alba al tramonto eravamo a zonzo a meta' tra avanscoperta e ricerca di se' stessi in questa posto che definirlo "particolare" non rende minimanente l'idea che e' Auroville. Seguendo le istruzioni lasciate da Marchetto mi sono messo alla ricerca di luoghi e persone da lui indicati. Trovato i posti, non le persone, che erano a lavoro o tornate in patria. Auroville non e' un posto da turisti. Auroville non si visita. Si vive. Magari ci si prova soltanto, per poche settimane, ma non e' proprio posto da turista frettoloso "due foto e tutti in pullman". Credo lo sappiano benissimo anche gli aurovilliani, che pero' beneficiano molto degli introiti del turismo tramite guest-house, negozietti di vestiti, libri e artigianato, bar e ristorante. Auroville e' da vivere. O da provarci. Un po' come ha fatto Marchetto. Impressionante il numero delle cose che si possono fare: decine di corsi di lingua per tutte le eta' e livelli, corsi di yoga, meditazione, respirazione, arti marziali, Tai Qi, pittura, calligrafia, computer, fotografia. Diverse mostre, incontri, attivita'. Moltissimi tipi di lavoro (teoricamente volontario), quali semplici muratore, cameriere, impiegato nei pochi uffici, architetto, giornalista, contadino, radiofonista, curatore di piante e foreste. Zero grattacieli e asfalto, pochissime costruzioni in mattoni nascoste per lo piu' nella foresta, zero macchine, solo persone che girano a piedi (sebbene le distanze siano notevoli!), bicicletta o moto. Tutto gira armoniosamente intorno al Matrimandir, una costruzione imponente effettuata nel 1971, una enorme sfera color oro, che simboleggia il principio creatore dell'umanita' e attira tutti i turisti, con i suoi bei giardini e un anfiteatro esterno per incontri e "riti". Dal Matrimandir Auroville si sviluppa in quattro zone, quella residenziale, quella industriale, quella internazionale e quella culturale. Altre tre sono le costuzioni principali: la Solar Kitchen, mensa per gli aurovilliani e punto di informazioni, incontro e internet per gli altri; la Town Hall, cioe' il municipio, con uffici e radio; il centro informazioni che e' anche entrata principale della citta', mostra fotografica e video, ristorante e negozio. Per il resto la citta' "si nasconde" nella foresta, calma e silenziosa. Noti qua e la' gruppi di persone impegnate a curare il bosco o erigere una casetta. Vietati alcool e droghe, sgradite sigarette e mezzi che inquinano o fanno rumore; chiaro pero' che in assenza di autorita' e polizia ognuno si sente abbastanza libero di far il cazzo che gli pare, specie i turisti. Appena arrivati Yu mi ha chiesto cosa ci facessero cosi' tante signore anziane occidentali in un posto cosi' selvaggio come questo. Bella domanda. In effetti l'eta' media non e' proprio bassina. Molti anche i bambini, soprattutto tamil, che giocano e vivono insieme a bambini di razza, colore e provenienza diversa, in un ambiente totalmente naturale e alla larga dai "mali" che altrove affliggono il mondo (razzismo, guerra, poverta', discriminazione, ...). A mio vedere sono i bambini la scommessa piu' grande e il vero "esperimento sociale" di Auroville. Se io o Marchetto decidessimo di vivere ad Auroville, non sarebbe una gran cosa, per tutto il bagaglio culturale e le esperienze di vita che ti porti dietro. Sarebbe una scelta di vita, una fuga dalla nostra realta', quella vecchia, marcia, opulenta e consumista occidentale. Nascere in un posto del genere invece e' tutt'altra cosa: i bambini crescono senza la concezione di differenza (e superiorita') di sesso, razza, nazionalita' o religione. Crescono senza i ritmi e le pressioni del mondo moderno. Senza inquinamento e veleni vari. Senza il concetto di esame e competizione. Senza l'idea di dover crescere per apparire, scopare, arricchirsi e diventare famosi, possibilmente in televisione. Insomma con un ritmo e dei valori/obiettivi molto piu' naturali e molto meno imposti da dogmi e tradizioni che in un posto come Auroville sono impossibili (in primis per scelta proprio dei suoi abitanti) da imporre/tramandare. O almeno cosi' dovrebbe essere.
Immaginate poi le problematiche, contraddizioni e "sbrocchi" che una citta' come questa puo' creare e che si creano in essa fra gli abitanti. In effetti non ho notato molto unita' e comunita' fra i suoi cittadini, se non nei luoghi di lavoro. Dispiace dirlo ma l'uomo bianco resta sempre bianco e il nero sempre nero. Ma forse mi sbaglio e sono solo mie impressioni incorrette. Non ho poi capito la presenza di "uomini in divisa": alcuni sembravano operai, altri guardie... non proprio lavoratori volontari e nemmeno aurovilliani credo. Altra assurdita': il primo giorno il Matrimandir era stato chiuso perche' domencia pomeriggio; il secondo giorno non si trovavano biglietti perche' troppo pieno di gente; il terzo giorno chiuso per sciopero operai. Sciopero?! Ma se il lavoro e' volontario perche' si sciopera? Evidentemente non tutti sono cittadini, molti sono poveri operai tamil che con Auroville non hanno niente a che vedere. Il quarto giorno finalmente entro nel Matrimandir, ma solo per osservarlo da fuori e vedere i giardini, perche' la grossa palla dorata e' sotto lavori di manutenzione, vietato l'ingresso ai turisti. La cosa piu' bella per un turista credo sia quella di girarsi Auroville a piedi, perdendosi nella fitta boscaglia tra fango, cacche di mucca, casette nascoste, scuole di bambini e giardini botanici, con la sola compagnia di un libro, aprendo la mente e avere finalmente il tempo e il relax per un po' di meditazione, togliere il guinzaglio al cervello e lasciarlo libero di correre nei prati, il tempo per dialogare con se' stessi. Questo ho fatto soprattutto ad Auroville, e devo dire che sono stati cinque giorni sicuramente ben spesi.
Maggiori informazioni su Auroville le trovate qui, qui, qui e qui.
La tesi di Marchetto si trova sul sito di Auroville, ma potete anche chiederla direttamente a me.
Evviva la Comune di Parigi, evviva la Comune di Shanghai, evviva la Comune di Auroville!!

Tuesday, February 05, 2008

Diario indiano (IX): foto, voi italiani sempre mangiare