Friday, November 06, 2009

Sinologi e contemporaneisti: alcune considerazioni


Ci pensavo oggi: che peccato! Sfogliando riviste internazionali di orientalistica e sinologia mi è preso un magone. Un magone di malinconia. Perché, da “studioso” (diciamo più “studente”) contemporaneista sento di aver perso qualcosa, manca qualcosa all’appello…

Ricordo l’atmosfera del dipartimento della facoltà di Studi Orientali del La Sapienza a Roma (ateneo di Lettere, secondo piano a sinistra, bagno subito a destra): giovani e giovane studentesse tra vecchi studiosi di archeologia egizia e persiana, filologi cinesi, islamismi e esperti di religione copta o scintoista. Il tutto nell’arco di un lungo corridoio stretto tra due file di scaffali e libri ammassati. In fondo, la biblioteca. Sembrava quasi di stare in un film di Indiana Jones, giovani scoppiati alla ricerca di arché orientali e civiltà (ai più) sconosciute. Libri impolverati scritti in lingue indecifrabili, pagine gialle di vecchio e il tempo che sembra non passare mai.

Il tutto per avere “le basi” per prendere ed andarsene con le proprie gambe, andarsene in Oriente a fare gli studiosi a nostra volta. Contemporaneisti, per lo più. Ovvero osservatori e analisti della Cina contemporanea, con prospettive ovviamente diverse, economiche, sociologiche, antropologiche, linguistiche, letterararie, etc…

Ma volete mettere prendere un libro di Giuliano Bertuccioli, di Giuseppe Tucci, di Luciano Petech o di Ernesto De Martino (che sinologo non era, ma va bene lo stesso), sfogliarlo tra le mani e partire per viaggi inimmaginabili, libri accademici dal notevole contributo scientifico che sono al tempo stesso fantasiosi romanzi che sfociano nella mitologia. Sono meglio di un film di Indiana Jones. Sapevano rapirti da dentro. Narravano i risultati delle loro ricerche linguistiche, storiche o antropologiche per poi riportarti indietro nel tempo, a prendere un tè durante la dinastia Ming o nel Tibet del XVI secolo o nel Giappone dei samurai.

Ma volete mettere?! Chiudersi ore in biblioteche a leggere e viaggiare con la mente. L’Oriente e tutto il suo fascino (costruito o meno, non è questo che ci importa). Imparagonabile allo studio della Cina contemporanea, ad esempio: sotto il cielo sempre grigio (o falsamente pitturato di azzurro, come le rose rosse di “Alice nel paese delle meraviglie”) di Pechino andarsene a intervistare lavoratori e migranti, seguire noiose lezioni di economia o relazioni internazionali. Tornerei volentieri a leggere romanzi e cose scritte non prima di cent’anni fa.

Conosco dei ragazzi poco più grandi di me che a Roma, alla facoltà di Studi Orientali o altrove, portano avanti gli studi classici in materia di orientalismo. E a volte mi fanno “Beato te che studi cose contemporanee”. Sì. Ma a che prezzo! Non credo di sentirmi più un sinologo. E forse non ho avuto mai il diritto di sentirmici. Ma mi piacerebbe tornare e dibattere, come una volta facevamo tra un esame e l’altro, di leggendari eroi cinesi ottocenteschi, filosofi indiani e guerrieri coreani!

Un’ultima considerazione. Credo che la sinologia come scienza che studia “il mondo cinese” si riduca in ultima analisi ad una scienza letteraria, nel senso che quello che fa è semplicemente andarsi a leggere libri scritti in lingua (o nelle lingue) cinese(/i) negli ultimi tremila anni. Lettura e interpretazione, rilettura e interpretazione senza fine, continua, come la rivoluzione. Prendere e riprendere in mano libri antichi e meno antichi per scrivere nuove storie, dare nuove interpretazioni antropologiche e archeologiche, “parlare” di Cina (e di Cine). La storia, la sociologia, la letteratura, l’arte, la filosofia vengono dopo. Vengono costruire, distrutte e ricostruite dopo.

C’è poco da dire: notevole, il lavoro del sinologo!

Malinconicamente

Un contemporaneista

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