Tuesday, May 25, 2010

Confessioni: stregato dall’indagine sociale

Non sono mai stato un bravo studente. Ma quando ero al liceo amavo le lezioni di storia, geografia, filosofia, letteratura. E soprattutto l’ora di religione. Sono un apostata anticlericale magnapreti di vecchia data, ma a mio vedere l’ora di religione era la più interessante. Forse perché avevo come professori dei giovani in gamba che, seppure cattolici praticanti, conoscevano bene la differenza tra dottrina e insegnamento delle religioni. Le loro lezioni trattavano temi super interessanti: l’aborto, l’eutanasia, l’eguaglianza, la spiritualità, le filosofie di paesi lontani. Peccato tutti i miei compagni se ne sbattessero e preferivano fare i compiti di altri materie o giocare a carte e al fantacalcio. Beh, in realtà anche io giocavo a carte e al fantacalcio, ma con l’orecchio teso al professore. I temi trattati mi ricordavano quelli di una strana materia studiata alle elementari e che andava sotto il nome di “studi sociali”.

Quando mi sono iscritto all’università (sinologia alla facoltà di Studi Orientali) non conoscevo l’esistenza di antropologia o sociologia. Ma una volta messo piede in Cina ho cercato di dedicarmi allo studio della società, degli individui che la compongono e dei legami tra questi che tengono in piedi il tutto. E ora mi ritrovo alla facoltà di Sociologia a fare un dottorato di ricerca sulle migranti di Pechino.

Mi muovo improvvisandomi reporter e accademico (che sono un po’ i due binari della mia passione, quelli della ricerca scientifica da una parte e del giornalismo di strada dall’altra) non essendo nessuno dei due. Ma devo proprio dire che l’indagine sociale è la cosa più stimolante che abbia mai fatto in vita mia. Molto di più della musica punk o dei viaggi in autostop, per intenderci. Leggere, osservare, domandare, riportare. Privo di qualsiasi base formativa (non si diventa etnografi o giornalisti dalla sera alla mattina) cerco semplicemente di prendere l’indagine sociale per quello che per me è: un interesse, una passione.

Mi sono però ben presto accorto di quanto anche il campo dell’indagine sociale sia tutt’altro che facile. Anche qui c’è un bel po’ da sputare sangue insomma. Ma le frustrazioni e le difficoltà fanno parte della vita, che altrimenti sarebbe un noioso strascicarsi avanti in attesa della morte. Un suicidio lento e privo di stimoli. Uscire a fare interviste, ad esempio, è tutto tranne che facile e il più delle volte torno a casa depresso. Sia che siano interviste alle migranti per la mia tesi di dottorato, sia che siano interviste a chicchessia per un articolo da proporre alla stampa italiana. La verità è che spesso (specie in Cina) si è visti come una persona che di mestiere si fa i cazzi degli altri, un ficcanaso, un piantagrane. Non tutti sono così ben disposti a darti o condividere il loro tempo e le loro esperienze. Non tutti hanno da raccontare né lo fanno volentieri col primo stronzo che passa. E a questo un ricercatore nel campo sociale si deve abituare in fretta.
A me scoccia terribilmente rompere i coglioni alla gente. Sono pronto a sentire e registrare le parole di chiunque, purché queste parole vengano fuori volontariamente e con una certa allegria nel farlo. Non per imposizione o per carità cristiana. Sono stato probabilmente un coglione a pensare che i cinesi mi stessero aspettando a braccia aperte. Come a dire “ecco la stampa straniera!” o “vieni giovane ricercatore straniero, vieni a sentire le nostre storie!”. È innanzitutto una questione di ordine metodologico e una grana del rapporto che si instaura, cioè quello di intervistato/intervistatore, studiato/studente. Un’altra forma di relazioni di potere. E ovviamente non sempre né tutti sono così disposti e felici di aiutarti a capire o conoscere il tema di cui ti stai occupando.

Altre volte invece senti e sai che “stai entrando”. Ovvero becchi la persona giusta. Quella che ti parla volentieri e apertamente, che quasi ti stava aspettando. Indipendentemente dal perché lo faccia, è inspiegabilmente gradevole il sentimento di trovarsi di fronte ad una persona che ti scarrella a rotta di collo tutta la sua vita o gli aspetti che stai trattando. Entrare nelle sue storie, nelle sue esperienze, nella sua vita che in fin dei conti non è molto diversa dalla tua. Evitando di essere un freddo e cinico ascoltatore ma identificandoti in un modo o nell’altro in quello che ascolti, condividendo emotivamente i vari racconti di vita.

Ma la parte indubbiamente più fica dell’indagine sociale è questa: conosci un miliardo di luoghi e persone. E con molti di questi resterai in contatto e comincerai un rapporto di stima e amicizia. Purtroppo le mie giornate, come quelle di tutti gli altri, sono fatte solo di ventiquattro ore. E più fai amicizia con nuova e disparata gente meno tempo avrai per loro e gli altri amici. Ma questa è un’altra storia.

Se mi chiedessero se voglio fare questo per tutto il resto della vita, ora come ora probabilmente risponderei di sì. Peccato però che la borsa di studio prima o poi finisce e non si campa di chiacchiere e interviste. Aveva ragione quel mio amico che alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” rispondeva serio e sicuro “da grande voglio fare la borsa di studio”.

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