Wednesday, June 30, 2010

Cina: costo delle case e prezzo della vita

《卖》中歌词犀利,直接影射社会现实及房价,所以MV里黄征会以社会各阶层的造型出现,大胆突破以往MV中酷帅形象。
作词:金放 作曲:黄征 冯磊

想活出个人样 却被掏空了心脏
感觉梦太远了 有人卖掉了翅膀
别人不懂的伤 昂着头我不去讲
欲望那么嚣张 有谁还愿意(再)逞强
我宁愿流血不流泪 我宁愿看自己受罪
出卖自己的疯狂 何必伪装
我宁愿流血不流泪 我宁愿去笑着受罪
出卖自己的信仰 多么荒唐
不在乎 不在乎伤痕累累
无所谓 无所谓面目全非
别人不懂的伤 昂着头我不去讲
你有你的天堂 我有我翅

Video from Youtube

Saturday, June 26, 2010

L'ultimo post (di questo anno accademico)

Ho appena regalato un frigorifero (mai usato peraltro) ad una studentessa russa e ho chiuso le ultime valigie. Sono pronto. Pronto per togliermi dalle scatole, allontanarmi da Pechino e dalla Cina per un po’, che sinceramente non ne posso più!

L’anno accademico è terminato e oggi mi masturbo il cervello per tirare le somme e analizzarle. È stato un anno densissimo, tra i più pesanti della mia vita. Carico di esperienze emotive, frustrazioni, malessere, disquisizioni filosofiche, masochismo intellettuale e senso di disadattamento. Nulla di nuovo, ma record per quantità e frequenza. Ma ne sono uscito vivo e soprattutto credo di aver imparato molto anche stavolta.

Da libertario, sogno una vita libera, autonoma e indipendente da quando a 14 anni sfogliavo atlanti e libri di geografia fantasticando di viaggiare. A 27 anni ho raggiunto il mio obiettivo: un anno di totale e completa autonomia, vivere libero a Pechino con il sostegno di una borsa di studio cinese e un tesserino da studente di dottorato in una delle università più prestigiose della Cina. Né classi né esami, né dio né famiglia, né fidanzate né figli da mantenere, né lavoro né cartellini da timbrare: libero! Completamente libero di organizzare la giornata come meglio credo, dormire il giorno e vivere di notte, libero di amministrare tutto e fare un po’ il cavolo che voglio.

Mai però mi sarei aspettato che tutta questa libertà ed autonomia mi complicasse così tanto la vita. In realtà c’è una cosa che dovrei fare (e motivo per il quale ho una borsa di studio): ricerca nel campo sociale. Penso di avercela messa tutta. Ma non sapevo fosse così difficile, piena di difficoltà e problemi. Soprattutto nei rapporti sociali. Certo, farsi i cazzi degli altri per mestiere (come gli scienziati sociali e i giornalisti fanno) non è ben visto dalla gente. E poi la fottuta METODOLOGIA, la stratificazione sociale, Marx, l’etica, le relazioni di potere… Un incubo!!

Mettici poi l’inverno pechinese. L’inverno pechinese non lo spieghi. O lo vivi o non puoi capire di cosa stiamo parlando. Quello di quest’anno poi, rigido come non mai. Sei mesi chiusi in casa a quindici gradi sotto zero. Non solleva l’umore. Il mondo fuori a lavorare, per te la giornata comincia alle tre di pomeriggio e sai che passerai le prossime dodici ore a guardare film impegnati di registi cinesi alcolizzati morti suicidi. E fumare. Poi arriva la primavera, dura una settimana e il caldo afoso estivo annichilisce le tue giornate. Tempo di tirare le somme: quante interviste ho fatto? Quanti libri collezionato? Che cosa ho trovato? Quali i miei contributi alla scienza?

Col senno di poi però, di quest’anno sottolineo almeno due cose positive, talmente positive che riportano il bilancio in attivo. La prima: a conti fatti, ho speso la maggior parte del tempo a conoscere gente e parlare e ascoltare. Gente di ogni tipo, dagli accademici agli altri dottorandi, dai lavoratori alle prostitute, dai giornalisti agli architetti, dalle cameriere ai registi, dai viaggiatori ai rivoluzionari di professione. Questo sì è grandioso! Ascoltare storie e raccontare le tue, scambiare e condividere idee, esperienze, opinioni. Non ho mai parlato e ascoltato così tanto come in questo anno. Non credo questo abbia proprio a che vedere con la mia ricerca: ma chissenefrega!
La seconda cosa: tra le tante persone che ho conosciuto e le tante amicizie che ho a Pechino, l’incontro con una ragazza lo scorso novembre è stata forse la cosa più bella ed esplosiva. Una persona alla quale devo molto, è stata (ed è) per me una sorella maggiore ed una professoressa, nonché compagna di sbronze e di periodi di malessere più intensi del solito. Abbiamo spesso toccato il fondo insieme, provando ogni volta a risalire insieme. E ci siamo spesso salvati il culo a vicenda.

Nonostante tutto, a questo settembre 2009-giugno 2010 pechinese do un bel 7! E non rimpiango nulla, anzi, come insegna la professoressa: “Ripeterei!”. Che è poi quello che credo scriveremo sulle nostre lapidi. Se mai ne avremo.

Ma ora è tempo di cambiare aria. Torno in Italia a rivedere la gente che porto sempre nel cuore e non solo, sfondarmi di panini al prosciutto e vino della casa, cominciare a scrivere la tesi e passare ore e ore a parlare con le tante persone che ho perso un po’ per strada. E spero di tornare a settembre a Pechino con la stessa energia con la quale sto partendo ora.

Buona estate gente, espero que lo pasais bien!

p.s. Per i lettori/trici “pechinesi” domenica sera dalle 8 in poi invito tutti/e per l’ultimo bicchiere in compagnia. Renmin University, di fronte al dormitorio per studenti stranieri. Portate chi volete, non bado a spese e ho già preso in affitto due ambulanze ed una eliambulanza :)

Libertà sessuali: come fingere la propria verginità

In queste serate universitarie di fine semestre, quando gli studenti stranieri si ritrovano di fronte al dormitorio a scambiare quattro chiacchiere e venti birre prima di andare a letto per l’esame del giorno dopo, ci siamo spesso confrontati in tema di sessualità: sesso, identità sessuale, controllo sessuale, business del sesso, libertà sessuale, prostituzione.

Tutto estremamente interessante, specie considerando il fatto che siamo tutti ragazzi e ragazze da paesi diversi, con valori, culture, religioni e percorsi di educazione differenti. Poche sere fa abbiamo discusso per ore il tema della prostituzione, mentre un paio di sere fa uno studente indiano di scienze politiche e una dottoranda in sociologia dal Bangladesh hanno dato una vera e propria lezione sul sistema delle caste e la sessualità nei rispettivi paesi. Roba da leccarsi i baffi.

Centrale in tutti i discorsi è la posizione della donna nei vari paesi in rapporto alla sessualità. A sentirli viene solo da star tristi e delusi. Da una parte ascolti le grandi rivendicazioni delle femministe di scuola occidentale, ma dall’altra ti scontri con la dura realtà della condizione della donna in molti paesi asiatici ed africani.

Essendo la sessualità una cosa che riguarda tutti da molti vicino (anche gli studenti scopano, indipendentemente dal paese d’origine), il tema viene trattato non solo da punti di vista intellettuali, filosofici, sociali, giuridici o economici, ma anche e soprattutto empirici, ovvero basati sulle nostre dirette esperienze e su come ci rapportiamo ad esse.

Generalmente ai maschietti viene un po’ più facile tirare fuori le loro storie. Molti non si vergognano affatto di ammettere che a volte pagano per avere prestazioni sessuali. E alcune ragazze restano per questo scandalizzate, ma altre no: “Non c’è niente di male ad andare a puttane. Sappiamo tutti che siete dei perversi voi maschi” ha commentato una ragazza di un paese africano. Io sono rimasto invece scandalizzato a sentire come il sesso per le donne non sposate sia tabù (se non in pratica vietato) in alcuni paesi del Caucaso. E non per ragioni di religione, ma per l’alto valore che si attribuisce (dove più, dove meno) alla verginità. Al punto che le prostitute le importano dai paesi limitrofi. Del tipo:

“Che mestiere fa lei?”
“Business”
“Ah, interessante. E di cosa si occupa?”
“Vagine. Importo vagine dall’estero per la domanda interna di sesso frugale”

E qui si passa allora a come fingere la verginità o nascondere la non verginità. Dal sesso orale a quello anale, dalla ricostruzione chirurgica dell’imene al fegato di gallina.

Avete capito bene. Fegato di gallina. Consiste nel comprare una gallina dal macellaio il primo giorno dopo le nozze e la sera infilarsi furtivamente il fegato nella vagina. Il fegato è pieno di sangue e sotto gli urti del pene durante l’amplesso sessuale rilascia sangue a volontà. Il neo marito sarà così sicuro della verginità della propria donna.

Pare sia una di quelle cose che solo le donne sanno e si tramandano di madre in figlia o di sorella maggiore in sorella minore. Ma questa tipa dell’est Europa ha voluto condividere il segreto anche con noi della popolazione maschile. Decisamente interessante. E non sapevo se ridere o piangere.

Sunday, June 20, 2010

Classe di lotta



In tema di lotta di classe, scioperi e occupazioni, vi segnalo tre link:

"Gli ho detto che con il capitalismo, a proposito degli scioperi, è naturale ci sia anche la lotta di classe. Mi hanno risposto che non si tratta proprio di capitalismo, quanto piuttosto di socialismo con caratteristiche cinesi".

Da un'intervista a D'Alema, in questi giorni a Pechino
http://www.china-files.com/it/link/7681/dalema-a-pechino-la-cina-e-gia-cambiata

"A free university in the midst of a capitalist society is like a reading room in a prison; it serves only as a distraction from the misery of daily life."

Da un pdf dei ragazzi del Communiqués from Occupied California
http://afterthefallcommuniques.info/

"Che dire? Che i lavoratori cinesi si siano improvvisamente “svegliati”, come ha sostenuto più di un commentatore? Che si stia avvicinando una nuova primavera per la classe operaia cinese? Personalmente, sento puzza di bruciato."

Da un'interessante articolo di Ivan Franceschini, dal sito Cineresie
http://www.cineresie.info/risveglio-lavoratori-cinesi-scioperi/

鸡蛋与香蕉 Uova e banane

Da tempo in Cina si usano le espressioni 鸡蛋 e 香蕉 (rispettivamente JIDAN “uovo” e XIANGJIAO “banana”) per riferirsi a persone di ambigua identità. E con un tono pacatamente razzista. Chiamano “banana” i cinesi che hanno vissuto all’estero (in occidente nella fattispecie) e che usano modi di fare e stili di vita simili agli occidentali. Dunque “gialli” fuori ma “bianchi” dentro, come le banane. “Uovo”, al contrario, è usato invece per riferirsi ad uno straniero (occidentale) che vive in Cina da anni e si comporta come i cinesi: “bianco” fuori, ma “giallo” dentro.
Sicuro che una volta finiti i mondiali di calcio in Sudafrica si inventeranno qualcosa anche per le comunità africane, arabe e indiane in Cina. Razzismo con caratteristiche cinesi.

Incubo relazioni di potere

La fascia di età che va tra i venticinque e i trentacinque anni è per molti aspetti una delle più piacevoli della vita. In primis, dal punto di vista professionale.
Anche e soprattutto grazie al fatto che vivo a Pechino e che porto avanti un dottorato in un’università cinese, negli ultimi due tre anni ho conosciuto una quantità pazzesca di giovani sui trent’anni da svariati paesi con progetti, lavori e passioni davvero interessanti. Credo sia l’età dell’attivismo: hai finito di studiare e ti attivi per “crearti” un mestiere che ti piaccia e che sia in linea con i tuoi hobby e i tuoi valori.

È l’età per creare organizzazioni, circoli politici, società letterarie, progetti di cooperazione e sviluppo, NGO, agenzie stampa, case editrici e via dicendo. E poi inventarsi un modo per finanziare e autofinanziare il tutto. Nonostante le mille difficoltà e frustrazioni, il tutto è estremamente dinamico e appassionante: impari molto e vedi messi a frutto anni di studio ed esperienze in qualcosa che è anche e soprattutto tuo, perché sei tu (con gli altri) ad aver ideato e realizzato il progetto. Indipendentemente da se e quanto il progetto in questione duri.

Ma in questo clima idillico e di inutili trionfalismi, noto purtroppo direttamente con la mia esperienza quel qualcosa che stona tutto il resto: il crearsi (naturalmente, ma non troppo) tutta una serie di gerarchie e relazioni di potere che rovinano il progetto. O semplicemente lo trasforma in qualcosaltro di simile a tutte le S.p.a., S.r.l e compagnie con fini di lucro che circondano le nostre vite.

È bello trovarsi tra giovani e amici da paesi diversi e con esperienze diverse, identificarsi in determinate idee e cercare di costruire insieme, in un’atmosfera di egualitarismo idealista e sciolti da ottiche di profitto, progetti mirati a rendere il mondo un po’ meglio di come l’abbiamo trovato. Che sia in campo economico, dell’informazione, del sapere. Si parte con grande entusiasmo, il classico entusiasmo che i giovani con voglia di fare hanno. E si inizia a lavorare. Ognuno secondo possibilità e capacità. E a volte i frutti (magari prima insperati) vengono fuori sul serio. È a questo punto però che quel tanto desiderato egualitarismo, rispetto, riconoscenza e relazioni personali che c’erano prima vanno un po’ a farsi fottere e per diversi motivi, quali il lato economico, le conoscenze (i “guanxi”. Che in Cina credo di aver capito siano davvero TUTTO), il titolo di studio, le competenze linguistiche o (incredibile ma vero) il genere e la “razza”, si creano e strutturano relazioni di potere e gerarchie.
Non siamo tutti uguali, per questo l’egualitarismo e l’assenza di strutture gerarchiche sono una sorta di goal, un fine che il gruppo dovrebbe avere. Se non c’è questa volontà (o questa coscienza) o se si perde per strada, i singoli nel gruppo perdono quel rapporto di reciproco rispetto ed egualitarismo che c’era prima. E allora si diventa come una qualsiasi Società per Azioni, si diventa come un qualsiasi ufficio dove c’è un dirigente che comanda e dei servi che obbediscono.

Purtroppo questo succede spesso. Per non dire sempre.

“Ci saranno un sacco di personalità. Vuoi che ti presenti qualcuno?” mi fa a bassa voce.
“Sì. Il barista. E vediamo se mi allunga qualche birra gratis”.

Un po’ come quel Diogene cinico che alla domanda di Alessandro Magno “posso fare qualcosa per te?” rispose “Sì, togliti dalle balle che mi copri il sole”. O alla tipa che gli diceva “Se imparassi a servire un re non saresti costretto a mangiare lenticchie!” rispose “Se tu imparassi a mangiare lenticchie non saresti costretta a servire un re!”.

Mi chiedo come mai se fino a pochi anni fa gridavamo “né servi né padroni” oggi siam tutti diventati servi e padroni. Forse sono io che mi ostino a non crescere. O forse è la giovinezza ad essere un piacevole carnevale della vita, un’anticamera del sistema comanda e obbedisci. Parafrasando Tom Waits, “when I see your power relations I don’t wanna grow up”.

Friday, June 18, 2010

Chinese Post-00s Generation Imitating Japanese Porn



Source: ChinaSmack

www.chinasmack.com/2010/pictures/post-00s-generation-imitating-japanese-porn-reactions.html

Wednesday, June 16, 2010

Okkupare!!



Squatting Europe 2010 Gathering June 24-28 London
June 24 - June 28, 2010
London Action Resource Centre
62 Fieldgate St. Whitechapel, London E1 1ES
http://www.londonarc.org

Squatting Europe is a research network focusing on the squatters´ movement. Our aim is to produce reliable and fine-grained knowledge about this movement not only as an end in itself, but also as a public resource, especially for squatters and activists. Critical engagement, transdisciplinarity and comparative approaches are the bases of our project. The group is an open transnational collective (Squatting Europe Kollective, SQEK) whose members represent a diversity of disciplines and fields of interest seeking to understand the issues associated with squats and social centres across the European Union.


SCHEDULE
Thursday June 24th
4-7pm: SQUATTING, CITIES & MEDIA. Lynn Owens (Spatial politics) Galvao Santos (Mass Media) Alan W. Moore (Artivism)
Friday June 25th
1-7pm: SQUATTING AS A SOCIAL-URBAN MOVEMENT Baptiste Colin (Reformists/Libertarian) Hans Pruijt (Social Movements´ Theories) César Guzmán (European Urban Movement) Miguel Martínez (Institutionalisation) Ely Lorenzi (Critical Mass and Squatting)
Saturday June 26th
9am-12pm: Pierpaolo Mudu (On Self-funded research principles)
SQUATTING, CITIES & MEDIA Peter Birke (Gentrification and economic
crisis) Discussion
1-4pm: SQUATTING AS A SOCIAL-URBAN MOVEMENT Discussion
4-7pm: Public talk
Sunday June 27th
1-4pm: SQUATTING AS A SOCIAL-URBAN MOVEMENT Discussion
Monday June 28th
9am-12pm: SQEK & ACTION-RESEARCH AGENDA Discussion
Contact: email to squattingeurope@listas.nodo50.org or email Miguel
Angel Martinez Lopez (miguelam@cps.ucm.es)

Film hollywoodiani a Pechino





Articolo del New York Times su un film che stanno girando alle porte di Pechino, una vera cagata in stile hollywoodiano. Ma non perdetevelo: tra le tante comparse occidentali un sacco di noi studenti stranieri squattrinati.

Qui l'articolo:
www.nytimes.com/2010/06/16/movies/16empires.html

E le foto, da un giorno di riprese lo scorso dicembre.

Whisky in Taiwan

"Laboring against climactic conditions and established Western competitors, Mr. Lee, a beverage magnate, has built Kavalan, the first whisky distillery in Taiwan."

Read all the article:
www.nytimes.com/2010/06/15/business/global/15iht-whiskey.html

Migrazione, PIL e felicità

Leggendo Internazionale l'occhio mi è oggi caduto su un articolo riguardante il PIL e la necessità di studiare nuovi sistemi per analizzare lo stato di benessere di un paese. Tra gli indici c'è in ballo anche quello sulla felicità.

L'indice di felicità. Mi capita spesso quando intervisto giovani migranti a Pechino, di trovare ragazzine con un'acutezza di pensiero e una sensibilità che non ti aspetteresti. Sono quasi tutte giovanissime con scarsa istruzione, cresciute in campagna e buttate nel mondo del lavoro salariato. Mai avuto tempo per leggere. Ancora meno per pensare. Ma molte tra loro a volte mi lasciano spiazzato per la profondità non tanto delle loro risposte, quanto delle loro domande.

Qualche giorno fa ho incontrato e intervistato una ventenne del Sichuan che lavora a Pechino. Uscita di casa a 14 anni, ha fatto quattro anni nelle catene di montaggio delle multinazionali del Guangdong. Poi se ne è venuta a Pechino. Persona di notevole acutezza e cultura generale non indifferente, considerando l'età. Terminata l'intervista, ha (magari fosse sempre così!) cominciato lei a farmi delle domande relative alla mia ricerca: cosa esce fuori dalle mie interviste? Quali sono le principali "scoperte" della mia indagine? In cosa cozzano con le teorie sulla migrazione femminile in Cina? E così via. Ho risposto con molto piacere ma anche non poca insicurezza alle sue curiosità. Prima di andarmene mi fa: "Un'ultima cosa: sono felici le ragazze che intervisti?". La domanda mi ha spiazzato del tutto. Solitamente non chiedo se una persona sia felice o meno. Chiedo se è generalmente soddisfatta con la vita da lavoratrice a Pechino che fa, se corrisponde ad un modello ideale che aveva prima di partire (ammesso che ne avesse uno) e via dicendo. Non chiedo se una persona è felice perché non saprei come si misura la felicità, non credo esista un indice. Personalmente credo che la felicità esista solo (e necessariamente) a momenti. E che in generale siamo sempre un po' tutti tristi e depressi con le ansie della vita, ma anche in questo stato di malessere perpetuo esistono dei momenti e delle forme di felicità. Immagino però che la sua domanda andasse molto oltre.

Avrei voluto chiederle se lei fosse felice. Ma ho fatto l'errore di temere di conoscere già la risposta.

Monday, June 14, 2010

Stadio e tifo: una volta seguivo il calcio



Da anni me ne sbatto, ma da piccolo seguivo con passione il calcio. Ne parlavo con gli amici e i compagni scuola, compravo le figurine Panini, avevo i miei idoli del pallone, giocavo senza sosta, seguivo le partite in TV. E soprattutto andavo allo stadio.

Da un punto di vista sociologico lo “stadio” è una gran figata. Io ho perso la passione calcistica per motivi politici e ideologici intorno ai vent’anni. Le ragioni sono molteplici. Per citarne alcune, ho cominciato a vedere il tifoso come uno che osserva ventidue coglioni correre dietro ad una palla. Reputo da idioti e frustrati fare violenza e scontrarsi con la polizia per motivi di calcio. Il business ha rovinato il calcio. Generalmente parlando non provo simpatia per chi in un giorno guadagna quanto mio padre in un mese e quanto un operaio cinese in un anno. E così via.

Ma alle scuole medie e superiori la passione calcistica era enorme. Non solo a livello di calcio di serie A, ma della squadra della propria città. Nel mio caso, la Maceratese, chiamata dai tifosi la “Rata”. La Rata quando ero piccolo era molto più che una passione: era un credo. Potevi uccidere per la Rata. La domenica sapevi già cosa avevi da fare: andare allo stadio a tifare Rata e urlare contro tifoseria avversaria e polizia. A diventare un fiero supporter della Rata lo imparavi a scuola. I ragazzi più grandi ti prendevano a calci nel culo e ti rubavano la merenda se non ti vedevano la domenica allo stadio. Allo stadio si andava armati di slogan, monetine, bulloni, petardi e accendini. Noi ragazzini più piccoli avevamo il compito di nascondere bulloni tra le mutande, visto che la polizia ci risparmiava (per la tenera età) la perquisizione. E allo stadio si beveva, cantava, ballava. Ricordo i cori. Cori schifosamente violenti, razzisti, maschilisti. Ma questo l’ho capito solo dopo. A quindici anni cantavo con quanto fiato avevo in corpo. Il derby (e odio cittadino) la Rata biancorossa lo gioca storicamente con la Civitanovese. I civitanovesi chiamano i tifosi della Rata “pistacoppi” perché Macerata è piena di piccioni e cacca di piccioni, mentre i maceratesi chiamano i civitanovesi “pesciaroli”, perché Civitanova è sul mare e molti fanno il pescatore di professione. Tutto questo per aiutarvi a capire i cori carichi di odio e maschilismo di cui parlavo sopra:

“Pesciarolo / vuoi sapere perché / tua sorella viene a studiare da me / con la scusa dell’università / tua sorella sai che fa / perde la verginità”

“Oh pescià pescià / tu madre la troia fa / tu padre in galera sta / oh pescià oh pescià”

“Oh pesciarola / apri le cosce / fatti montare dalle furie biancorosse / quando saremo sopra di te / noi grideremo forza Rata alè alè”

“E chi non canta è un figlio di puttana / e chi non canta è un bastardo pesciarolo / e chi non canta resti a casa / che cazzo vieni a fare qua”

E via dicendo. Politica poca. In curva trovavi fascisti, comunisti e menefreghisti vari, accomunati dalla passione per la sbronza domenicale e la Rata. E poi ricordo i tentativi di entrare gratis scavalcando i cancelli. I fumogeni e gli affronti alla polizia. Lanci di bottiglie, manganellate, macchina prese a sassate. Insomma guerriglia urbana. Ma in nome del calcio. Ovvero di un cazzo. Calciatori e presidenti si godono fama e miliardi e noi idioti là fuori a prenderci a botte per nulla. Ma queste cose a quindici anni non le capisci. Mi auguro però che prima o poi la gente apra gli occhi e invece di andare allo stadio vada negli spogliatoi a gridare “A lavorare! Andate a lavorare!”.

Matematica e sinologia

Se per caso tra voi lettori ci fosse uno storico della matematica comparata o un sinologo appassionato di storia della scienza, mi piacerebbe capire le origini storiche del perché latini e cinesi utilizzavano il “segno” “X” e “十” rispettivamente per indicare il numero dieci, mentre a numeri arabi (usati oramai ovunque) il dieci è composto da due “segni”, ovvero “1” e “0”. Soprattutto mi piacerebbe capire cosa questo ha portato nella gente a livello di sistema di pensiero e come possa influenzare l’economia e la filosofia dei paesi in questione.

Grazie.

Sunday, June 13, 2010

Tianjin Italiana

中国研究专题系列讲座之:
从天津意租界到天津意式风情区
主讲人:朱利奥•马凯蒂(Giulio Machetti)教授
日 期:2010年6月 22日(周二)14:00——16:00
地 点:中国国家图书馆总馆南区东417

讲座提要
天津海河意式风情区坐落在天津市河北区,占地约42公顷,是目前亚洲最大、保存最好的意大利风貌建筑群。这片昔日的租界在中意两国政府努力下被修缮一新,以其特殊的西洋风格建筑和深厚的历史人文内涵,成为国 内外近现代史学家、建筑史家和建筑设计师们研究的主要课题。
讲座将向听众介绍昔日的建造过程和生活在其中的人们,今日天津市和意大利坎帕尼亚大区在建筑修 复方面的合作,以及一个多世纪以来国际学术界对其进行的研究和取得的成果。

Saturday, June 12, 2010

Molto più che poesia

Molto più che poesia, è forse la canzone che preferisco tra tutte. Almeno tra quelle firmate Ramones. Sarà perché è estate e a giugno solo feste e caos, ma questa canzone rimbalza ogni santo giorno, specie la sera e gli amici russi “dove cazzo l’hai sentita questa?!” e tu “è dei Ramones!” e loro “Ah, sì, Ramones!!” e li vedi schizzare sui divani e saltare senza sosta aspettando il buttafuori fare il suo mestiere. La voglio condividere qui, leggetela bene attenti di avere una bottiglia di infiammabile a portata di mano e quando si arriva al “When I see that price that you pay” pronti a scagliarla sul muro. E se arriva il capo e vi dice che siete licenziati tagliategli la cravatta. E non solo quella. Buona anarchia.

While I'm lying in my bed at night I don't wanna grow up
Nothing ever seems to turn out right I don't wanna grow up
How do you move in a world of fog that's always changing things
Makes me wish that I could be a dog
When I see that price that you pay I don't want to grow up
I don't ever wanna be that way I don't wanna grow up
Seems that folks turn into things they never want
The only thing to live for is today
I'm gonna put a hole in my TV set I don't wanna grow up
Open up the medicine chest I don't wanna grow up
I don't wanna have to shout it out I don`t want my hair to fall out
I don't wanna be filled with doubt I don't wanna be a good boy scout
I don't wanna have to learn to count I don't want the biggest amount
No I don't want to grow up
When I see my parents fight I don't want to grow up
They all go out and drinking all night I don't wanna grow up
I'd rather stay here in my room Nothing out there but sad and gloom
I don't wanna live in a big old tomb on Grand St.
When I see the 5.00 clock news I don't wanna grow up
Comb their hair and shine their shoes I don't wanna grow up
Stay around in my old hometown I don't wanna put no money down
I don't wanna get a big old loan Work them fingers to the bone
I dont' wanna float on a broom Fall in love get married then boom
How the hell did it get here so soon
No I don't want to grow up

Università come anticamera del mondo del lavoro

Torno ora fresco fresco da una conferenza internazionale sul lavoro, organizzata dal dipartimento di risorse umane della Renmin University. Solita sfilata di cervelloni americani, europei ed asiatici in giacca e cravatta, professori cinesi agitati e solitamente soddisfatti del “successo” dell’incontro e una massa di studenti cinesi usati per servire gli ospiti stranieri. Il solito spettacolo a cui assisti, da straniero, durante le conferenze internazionali. Più forma che contenuto, a volte sembra quasi di assistere un rito e ti chiedi dove sia la scienza. Egemone è sempre questo modello yankee style e politically correct in ambito accademico al quale credo un po’ tutti gli studiosi del mondo (e i cinesi in particolare) vogliono rifarsi e dal quale cercano di imparare.

Tematiche interessanti, anche se c’è sempre quel taglio da scuola economica e sociologica di trattare gli essere umani come numeri e pensare la forza lavoro come bestie da spostare da un posto all’altro per soddisfare i bisogni della gente. Boh. Stretto fa utopia capitalista e utopia comunista, sbarellato tra Smith e Marx, da anarchico punto l’attenzione sull’uomo come individuo e non elemento della società massificata e vedo il lavoro come alienazione e sfruttamento finalizzato al profitto dei pochi sui più.

In particolare il tema della sessione alla quale ho assistito riguardava il rapporto tra le università e il mondo del lavoro, ovvero come i docenti devono preparare gli studenti per inserirli un domani nel lavoro.

Vivendo e studiando in Cina (dovrei forse dire letteralmente “nelle università cinesi”) da anni mi sono sempre meravigliato come qui si studi solo ed esclusivamente per trovare un lavoro. Non importa cosa si studia o che lavoro si voglia fare, si entra all’università per potersi assicurare un lavoro. Almeno teoricamente. E lo stesso accade, ai miei occhi, soprattutto nei paesi comunisti o ex comunisti asiatici (Cina, Laos, Vietnam, Mongolia, Corea del Nord). Non si studia per passione o emancipazione personale, ma si studia per lavorare. Non che questo non accada in Italia, ma di certo non accade nel 100% degli studenti italiani e neanche nell’ 80% credo. Mi chiedo come i governi e la classe intellettuale pensino e strutturino le università. Spero non solo col fine di produrre individui che rispondano alle esigenze tecniche del mercato. Ma se penso ai miei colleghi di dottorato cinesi, so per certo che quasi tutti stanno facendo il dottorato solo per ottenere il pezzo di carta col quale fare carriera. Molti infatti già lavorano. E non li vedo (se mi posso permettere) molto interessati ai loro studi. Forse non sanno bene neanche di che cosa si stanno occupando e sono al dipartimento di sociologia così come potrebbe stare a linguistica o legge. Tutto questo mette un po’ di tristezza.

Mette tristezza questa funzionalità decisa a priori dello studio universitario. Me ne rendo conto anche parlando con amici e studenti di Tailandia, Laos, Vietnam, Corea, Cina. Sanno che dovranno stare in università 3-4 anni, si sentono fortunati e privilegiati (e questo lo capisco) nell’essere studenti e sanno già cosa li aspetto dopo. Lo trovo quasi immorale. Sacrificare gli anni più belli della tua vita all’interno di un disegno quasi “divino” che sa dove sei e sa dove andrai. Magari molti disoccupati o precari italiani darebbero un occhio per questo. Ma io, da fottuto borghese privilegiato pagato dal governo cinese, no. Anzi. Mi sembra quello che in una canzone viene definito il “futuro congelato”. Non si vive la giornata, si obbedisce ad un progetto. Non molto diverso dal produci-consuma-crepa o dal mangia-cresci-prendi moglie-fai figli-crepa. Che fine ha fatto l’uomo?! Dove è l’individuo?!

Io studio per passione, per conoscere, per essere libero. E mi rendo conto di essere un privilegiato in questo. Ma sentire questi docenti stranieri parlare di progettazione delle risorse umane anche nello schema università-lavoro mi deprime tremendamente. Vado un attimo a studiarmi questo “Lewis turning point” col quale spiegano l’aumento del prezzo della forza lavoro cinese e i casi di sciopero e suicidio tra gli operai. Poi ne riparliamo.

Problemi di lingua e teoria del linguaggio: lo straniero in Cina

Ricollegandomi al post di cui sotto, penso che sia davvero triste ed incredibile quello che è successo a J. Cazzo, era mio amico, abbiamo passato del bel tempo assieme e ora mi dicono che è impazzito ed è stato rimandato a casa. Impazzito per la tesi di dottorato. Tutto questo mi rende triste. E ovviamente mi manda in paranoia. Nello specifico impazzito per una delusione in ambito accademico, un problema di lingua. La lingua. È la prima e più importante “cosa” che affronti da straniero quando metti piede in Cina. Non importa che tu sia studente, turista o uomo d’affari, la lingua è il più grande problema che hai e che avrai. E non è molto diverso per un cinese all’estero. Anche una lingua banale come l’inglese è sempre un problema di comunicazione per un cinese all’estero.

Pensate alle conferenze internazionali, quando si incontrano studenti e ricercatori da ogni parte del mondo. Solitamente si discute in inglese. Conosci quel o questo professore tal dei tali per la sua fama come esperto in un benedetto campo, hai letto suoi libri e articoli e ne apprezzi la professionalità e competenza accademica. Ma appena apre bocca e senti il suo inglese povero e sgangherato resti te a bocca aperta. E ti chiedi come possa un elemento del genere comunicare con altri studiosi stranieri. Cosa capisca o cosa riesca a far capire.

In Cina noi “sinologi” italiani siamo poi quelli messi peggio: la gente si aspetta da te un cinese fluido e in grado di sopravvivere in ogni tema e situazione. Ma da “sinologi” non siamo né interpeti né traduttori. Dunque problemi di comunicazione con i cinesi ne abbiamo sempre, anche solo a livello linguistico. Se poi ti imbatti con uno studioso straniero e usi l’inglese per parlare di Cina è ancora peggio: in Europa gli italiani credo siano i peggiori nel parlare l’inglese. O forse ci fregano gli spagnoli e la maglia nera spetta a loro.

Tornando a livello accademico, uno studente straniero che arriva in Cina per un corso di laurea o master o dottorato che sia, è solitamente chiamato ad imparare il cinese in uno o due anni. Non solo il parlato ma anche e soprattutto lo scritto. Cosa ridicola, impossibile. Io dovrò scrivere la mia tesi di dottorato in cinese. Vi sembra possibile? Ovviamente non lo è, quindi o la scrivo in italiano/inglese e poi me la faccio tradurre o la scrivo direttamente in cinese così come uno studente italiano delle scuole medie può scrivere un saggio accademico in lingua italiana. Insomma, frustrante in entrambi i casi. Brutta storia questa delle lingue. Quello che puoi fare è semplicemente sperare che il tuo professore sia dotato di buon senso e non abbia grandi aspettative dal tuo cinese né che ti metta i bastoni tra le ruote del tuo percorso di ricerca solo perché il tuo cinese non è all’altezza. Ma a volte va male, male come è andata a J. e male come va ad altri ricercatori stranieri in Cina di mia conoscenza.

Mi chiedo come possano studiosi di paesi diversi potersi incontrare e comunicare su temi che vanno dalle scienze umanistiche al diritto internazionale parlando degli inglesi molto meno che mediocri. Evidentemente esiste un linguaggio specifico di ogni disciplina che ti aiuta a superare il problema strettamente linguistico. Funziona ad esempio tra matematici e fisici, dove il linguaggio di cui parlo sarà quello dei numeri e delle formule.

Ricordo (e chiudo) che da piccolo mio padre (da chimico) mi aiutava con i compiti di matematica e mi faceva notare come le formule siano un linguaggio internazionale: “Guarda questa formula. È uguale in tutte le parti del mondo. Un americano, un russo e un cinese sanno quello che significa anche senza parlare una lingua comune”. E io pensavo “cazzo, che figata!”. Sfortunatamente poi non sono diventano un matematico ma… cosa dovrei dire… un mediocre “sinologo” che si occupa di società cinese contemporanea?! Ha ragione chi dice che bisognerebbe vivere due volte: la prima per capire come vivere, la seconda per vivere.

Friday, June 11, 2010

Tanto per evitare di fare qualcosa

Una delle peggiori cose che possa capitarti è quella di perdere la voglia di scrivere. O di non aver più nulla da dire. E fregartene. Bruttissimo. Pare Hemingway sia morto di questo. O forse è semplicemente arrivata l’estate e la voglia di stare in strada a tirar duro fino all’alba è di gran lunga preferibile che perdere le giornate di fronte ad un computer.

Giugno è il più maledetto tra i mesi. C’è aria di vacanza, la gente è in partenza, gli studenti finiscono gli esami e se ne tornano ai relativi paesi di origine. La voglia di non far nulla si impossessa di te e siedi aspettando con ansia l’arrivo del tramonto per bisbocciare con gli amici in strada.

Il campus universitario è tutto in fermento. Studenti, docenti, personale e lavoratori vari si riversano in strada occupando panchine, campi da calcio, viottoli, piazzette e ristoranti. Si canta e si balla, si fa sport, brindisi e arrosticini, si improvvisano discussioni che ti portano avanti per ore. Tutto questo mi riempie di gioia, peccato solo che tutto questo succeda solo nei mesi di giugno e settembre: a luglio ed agosto il campus è vuoto e nel resto dell’anno a Pechino è inverno.

Gli studenti cinesi e internazionali che non faranno ritorno al campus dopo l’estate hanno una rottura da sbrigare: disfarsi di tutte le cose che non riporteranno a casa. E allora durante il giorno per le stradine del campus vedi studenti organizzarsi con biciclette, auto e carretti e trasportare libri, frigoriferi, televisioni e tutta un’infinità di cianfrusaglie. Chi vende, chi compra, chi regala, chi butta, chi raccoglie. Un gran caos di persone ed oggetti. Altri organizzano raccolta di indumenti e altri utensili da donare alle associazioni di volontariato.

C’è anche chi perde la testa. Specie i dottorandi. E non solo cinesi. Ho saputo con grande dispiacere proprio ieri sera di J., persona squisita, dalla Guinea Equatoriale, dottorando in scienze statistiche. È impazzito a causa dello studio, non rispondeva e non parlava più con nessuno, barba lunga e cazzotti contro il muro, spendeva le giornate passeggiando avanti e indietro nei corridoi del dormitorio. Sembra il professore non abbia accettato la sua proposta di tesi perché non ha un cinese abbastanza buono. E lui si rifiutava di scriverla in inglese. Impazzito, l’università ha chiamato l’ambasciata e se lo sono venuti a prendere. Persona squisita ripeto, un po’ particolare nei modi di fare, ma dolce e feroce studioso.

Nei dormitori la gente impazzisce sul serio. Poco tempo fa (mi hanno detto di non dire la cosa in giro, dunque non lo riferite a nessuno) all’Università di Pechino è stato ucciso uno studente nel dormitorio dei cinesi. La cosa peggiore è che la polizia non sa chi sia stato. E il panico si diffonde. Una studentessa sudamericana di un’altra università è stata cacciata via perché gridava troppo nei suoi troppo frequenti rapporti sessuali. La gente non sta bene, studiare troppo non aiuta, impazzire diventa sempre più facile.

Ma nel bene o nel male a me personalmente (che della pazzia sono amico intimo dall’infanzia) nonostante l’età mi piace ancora vivere in questi vecchi dormitori cinesi stile sovietico architettura post atomica. Sarà il forte e perenne odore di cibo vietnamita, coreano o nigeriano che sia, sarà che avere 92 diverse nazionalità in dodici piani è un mix interculturale che difficilmente vivi altrove.

E nel mese di giugno questi studenti da mezzo mondo, ragazzi e ragazze tra i 17 e 30 anni, si ritrovano seduti sulle scalette e le panchine di fronte a questo vecchio ed imponente dormitorio (che da qui a poco butteranno giù come stanno buttando giù il resto della “vecchia” Cina) a bere e discutere di ogni tipo di tema. Secondo me quelle ore spese lì sono quelle dove più impari. O se non impari conosci. Molte più di quanto accada nelle aule del sapere borghese e dogmatico.

Sulle scalette parliamo di tutto e in tutte le lingue. Senti la studentessa di un’isola caraibica non meglio identificata preoccupata perché non sa che vestito mettersi il giorno dopo. Senti la polacca innamorata della poesia russa contemporanea. Il giovane filosofo slovacco esporti le sue teorie su differenti culturali e di comunicazione tra europei e nord americani. E il marxista liberiano (non sapevo ci fossero comunisti in Liberia) prendersi a toni accesi con un’ucraina cristiano ortodossa in materia di religione. Il colombiano e lo yankee discutere sui prezzi delle prostitute cinesi nelle diverse città. E me intento a cercare di spiegare ad un pubblico ex sovietico che il film Borat offende il Kazakstan tanto quanto il film Il Padrino offende l’Italia. Ma non credo abbiano capito: ora invece di Daniele mi chiamano “padrino”. E così che aspettiamo l’alba e andiamo a dormire certi che anche il giorno dopo non faremo niente. No, non credo di essermi stancato di tutto questo. Il problema viene quando cerchi di dare un “senso” o una “struttura” a tutto questo, allora sì escono fuori paranoie e depressione. La verità è che stiamo male, in tanti, in troppi. E se ti chiedono “cosa fai nella vita?” rispondi “mi alzo alle tre di pomeriggio col mal di testa e cerco subito qualcosa da fare per non fare niente”. Il che mi sembra splendido.

Dove andate a vedere la prima partita del mondiale stasera? Io da nessuna parte e anche questa volta dei mondiali me ne frego. Anzi tifo Corea del Nord. Probabile che anche stasera saranno scalette, birra e discussioni con l’internazionale di turno. Cercando di battere ogni record di frequenza cronometrata in post sbronza e giornate di malessere, vi saluto ed abbraccio da una Pechino universitaria.


“When I see my parents fight,
I don’t wanna grow up”
Ramones

Wednesday, June 09, 2010

Alla nostra età...

UNHCR Concert in Beijing

Dear friends,

There is currently a growing number and proportion of refugees who are taking up residence in cities and towns, serious difficulties encountered by many urban refugees in their efforts to access protection, solutions, livelihoods and services in urban settings.

Based on the principle of the rights of refugees, the UNHCR is organizing a concert on Friday June 18th, 2010 in order to raise awareness about refugees.

The concert will be held at Yu Gong Yi Shan and entry tickets are all 35 rmb (student rate) and 50 rmb (non-students).

We will be honored by your presence,

Come with friends! The more the better!!

Best,

J.

Tuesday, June 08, 2010

Perché veniamo in Cina: l'uomo bianco e la donna cinese

"中国女人!请不要上老外的床
如果你问一个老外,你为什么来中国?
他多半会回答说,因为喜欢中国悠久的历史、灿烂的文化、壮丽的山河、高速的发展、巨大的变化。
但是我告诉你,除了极少数由政府、公司派驻,通常拖家带口的老外之外,绝大部分与以下两个因素有关:
第一,在家混得不怎么样或者根本混不下去;
第二,找中国女人。"

来源:http://www.tianya.cn/publicforum/content/funinfo/1/1762017.shtml


"Chinese women! Please don’t sleep with foreigners.
Ask a foreigner why he has come to China.
He’ll probably answer that he likes China’s long history, splendid culture, rapid development and changes.
But let me tell you, apart from a small minority who have been sent by the government or their company (usually along with their families), the vast majority are related to the two factors below:
One, they’re not doing well in their home countries, or they simply can’t survive in their home countries;
Two, they’re looking for Chinese women."

Read all the article:
http://www.chinasmack.com/2010/stories/chinese-women-please-do-not-sleep-with-foreigners.html

La verità è che la gente (se non tutta gran parte) sta male



Domenica, sei e trenta di mattina, spazio libero 2Kolegas, Pechino.

Attentato situazionista fallito, decadenza del post festa e la globalizzazione degli zombie. Non è il titolo di una tesi né di un film, non è neanche un commento ma un atto di violenza.

Grazie Kety tossica per aver immortalato il momento

Ti ricordi a San Lorenzo

"Roma, e la sinistra si ribellò ai bonghi...
Avviene a San Lorenzo, storico quartiere di movimenti e militanza, ora terra di caos, spacciatori e risse

Zombie. Di giorno e di notte. Strano destino per un quartiere storico della Resistenza contro il nazi-fascismo, storico delle lotte per i diritti negli anni ’70, luogo di incontri e fermento politico negli anni post-Genova 2001. Quartiere di San Lorenzo, Roma, due passi dall’Università La Sapienza, il “quartiere degli studenti” per eccellenza nella capitale, vittima di una profonda trasfigurazione negli ultimi anni. Zombie. Girano di giorno: sono i residenti stressati da notti insonni per i rumori della piazza, la nuova isola pedonale inaugurata solo cinque anni fa, occhiaie e voglia di cambiare casa per via di un caos di strada che più va avanti e più disconosce i limiti, che siano quelli acustici di chitarre e bonghi da suonare fino all’alba o quelli comportamentali infranti dall’insistente spaccio di droghe anche non leggere e dalle risse, continue. E zombie girano di notte: sono i clienti abituali della piazza, adolescenti forse “in cerca di identità”, di sicuro impermeabili a qualsiasi istinto di igiene per lo meno ambientale, tanto da trasformare le strade frequentate in latrine a cielo aperto."

Leggi tutto l'articolo, da Liberazione:

http://www.liberazione.it/news-file/Roma--e-la-sinistra-si-ribell--ai-bonghi------LIBERAZIONE-IT.htm

Sunday, June 06, 2010

Lettera aperta a Berlusconi della scrittrice albanese Elvira Dones

La scrittrice albanese Elvira Dones ha scritto questa lettera aperta al premier Silvio Berlusconi in merito alla battuta del Cavaliere sulle "belle ragazze albanesi". In visita a Tirana, durante l'incontro con Berisha, il premier ha attaccato gli scafisti e ha chiesto più vigilanza all'Albania. Poi ha aggiunto: "Faremo eccezioni solo per chi porta belle ragazze".


Oggetto: Lettera aperta della scrittrice albanese Elvira Dones
NATA FEMMINA

"Egregio Signor Presidente del Consiglio, le scrivo su un giornale che lei
non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto
senso dello humor ha toccato persone a me molto care: "le belle ragazze
albanesi". Mentre il premier del mio paese d'origine, Sali Berisha, confermava
l'impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che
"per chi porta belle ragazze possiamo fare un'eccezione."
Io quelle "belle ragazze" le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di
notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate
Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate,
strozzate, devastate. A "Stella" i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco
una parola: puttana. Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e
trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di
stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò
piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e
chissà quanti altri. E' solo allora - tre anni più tardi - che le incisero la
sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio.
Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non
si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel puttana sulla
pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell'uomo, il
massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l'utero.
Sulle "belle ragazze" scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo
Sole bruciato. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera: andai
in cerca di un'altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva
pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri
albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a testa
in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei,
Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta
che sua figlia sia morta per sempre,affogata in mare o giustiziata in qualche
angolo di periferia. Lui continua a sperare, sogna il miracolo. E' una storia
lunga, Presidente... Ma se sapessi di poter contare sulla sua attenzione,
le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei
volentieri due chiacchiere con lei.
Ma l'avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio.
In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche
righe gliele dovevo. In questi vent'anni di difficile transizione l'Albania s'è
inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo
albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e
testa alta. L'Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni
gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come
materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci.
Questa "battuta" mi sembra sia passata sottotono in questi giorni in cui
infuria la polemica Bertolaso , ma si lega profondamente al pensiero e alle
azioni di uomini come Berlusconi e company, pensieri e azioni in cui il
rispetto per le donne é messo sotto i piedi ogni giorno, azioni che non sono
meno criminali di quelli che sfruttano le ragazze albanesi, sono solo camuffate
sotto gesti galanti o regali costosi mi vergogno profondamente e chiedo scusa
anch'io a tutte le donne albanesi

Merid Elvira Dones

PS.: Tutte le persone che ricevono la presente comunicazione spero sentano
l'obbligo civile e morale di trasmetterla ad altre persone.

Friday, June 04, 2010

六四,天安门事故 Ora e sempre 4 giugno!

Thursday, June 03, 2010

北京的全球化令我逃走中国的希望



E oggi stavo entrando in un mega centro commerciale per intervisare delle lavoratrici quando noto tra i venditori ambulanti un ragazzo di colore (presumibilmente africano) seduto ed intento come gli altri a vendere merce ai passanti. Insomma, uno dei quelli che in Italia chiamiamo "vu cumprà". Esponeva merce come collanine, statuette in legno colorato di elefanti e giraffe. Non ne avevo mai visto uno. In Cina, intendo. Forse è davvero venuto il momento di andarse dalla Cina. O almeno da Pechino.

E sempre in tema di globalizzazioni, stasera all'Università di Pechino incontro col prof. Walter Mignolo, intellettuale argentino. Discuterà di ri-occidentalizzazione, de-occidentalizzazione e de-colonialità.

Wednesday, June 02, 2010

Viva il 2 giugno. E abbasso il re!



Immagine: Monza, 29 luglio 1900, il giorno in cui Gaetano Bresci fece giustizia

Giù le mani dalla terra!

善待我们的土地,让它依然肥沃松软
善待我们的水塘,让它依然清澈明亮
善待我们的禾苗,让它们远离农药的毒害
善待我们的动物,让它们不再痛苦的被生长
善待一切生命,善待自然环境
其实就是善待我们人类自己!

Da un’intervista di una ricercatrice della Renmin University ad un contadino dello Shandong

Tuesday, June 01, 2010

Sulla migrazione come motore di trasformazione economica e sociale

Se c’è una cosa in particolare che amo di questo dottorato di ricerca è che mi ha dato (e continua a darmi) la possibilità di stare a contatto con delle persone (che poi dovrei forse chiamare “oggetto” della mia ricerca) da cui sto imparando tantissimo, imparo cose che poi ritrovo nei libri. E non viceversa. È come se tu avessi delle esperienze e imparassi a vivere prima che te lo insegni tua madre o la maestra. Mi dispiace, non riesco ad esprimerlo meglio.

La migrazione. Quando i media parlano di migrazione a te vengono in mente due cose: le rondini e gli albanesi sul canale di Otranto. Per noi giovani italiani la migrazione sono le prostitute romene sulla tangenziale, i lavavetri polacchi, i marocchini in spiaggia, i nigeriani nei campi di pomodori, le filippine a casa della zia. Per i vecchi italiani la migrazione è il ricordo del nonno giovane su una nave per l’Argentina o gli Stati Uniti. E non so se ridere o piangere. Le migrazioni sono spostamenti di persone, spostamenti vissuti personalmente dai singoli per i più diversi e complessi motivi. La migrazione non se la sono inventata gli italiani nel milleottocento né gli albanesi negli anni novanta: la migrazione è un aspetto essenziale della e nella storia dell’uomo. L’uomo (e prima di lui l’animale) si è sempre spostato. E, anche qui, per motivi e ragioni diverse. Non vedo lo scoop o il terrore che fanno passare nella parola “migrazione”, non vedo lo spauracchio usato da media e partiti xenofobi a caccia di voti.

Vedo invece un mondo che cambia velocemente. E questo anche grazie alla migrazione. Vedo uomini e donne di diversa origine approdare in nuova realtà e portare con loro storie, esperienze, idee, usi, speranze. È grazie a loro che il mondo cambia, va avanti e cambia anche le persone che non si spostano, che non migrano. Leggevo oggi di un rapporto fatto in Cina sulle donne migranti tornate alle campagne dopo anni di vita nelle città. È impressionante come la loro “nuova” presenza modifichi le piccole realtà rurali sotto un’infinità di aspetti. E mi chiedo cosa ci faccio ancora io nelle megalopoli sino-globalizzata che continuiamo a chiamare Pechino.

Pensavo a come vedo cambiare Pechino. Questo blog, nei suoi quasi quattro anni di vita e quasi milleottocento post di cronaca e delirio, non ha mai fatto a meno di fare riferimento a come e quanto rapidamente stia cambiando la Cina (e Pechino in particolare). Ma nei miei primi anni nella capitale la mia attenzione era catturata dai luoghi e dai mille cantieri che incontravi per strada: oggi un palazzo, domani macerie, dopodomani un centro commerciale o un palazzotto dello sport. Così è stato fino alle fine dei giochi olimpici del 2008. Ed è ancora oggi. Ma oggi la mia attenzione è invece catturata dalla gente. Per gente intendo le persone che popolano le strade di questa metropoli. Cambia la gente perché cambiano i vestiti che questa indossa, il taglio dei capelli, il profumo usato, il marchio del cellulare, il salario percepito, le spese quotidiane, il tragitto percorso e il modo di percorrerlo, la lingua che cambia, il tale che ci si ritrova accanto, cambiano i problemi e i modi di risolverli. E via dicendo. Tutto questo cambia la gente e a sua volta è cambiato dalla gente stessa. Credo che ci si senta tutti (stranieri, migranti o pechinesi) dei turisti di passaggio: alieni in questo mostro deforme di grattacieli e attivi creatori di questa Pechino-bambino che vedi crescere giorno per giorno.

Pechino che demolisce i suoi quartieri storici per rimpiazzarli con attrazioni per pubblico pagante. Non credo sia chiaro a nessuno per chi sia tutto questo, chi vi abiti, chi vi lavori, chi sia di passaggio e (nel caso) per quanto. Pechino luogo ameno che incontri la notte in sogno, in una dimensione illusoria e mai umana, come camminare con gambe che non sono proprie, come un rincorrersi senza senso, come globuli rossi sparati in circolo, come domande senza risposta. Ancora più difficile è forse capire quando e perché è cominciato tutto questo. Un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina.

La cosa può affascinante del “potere trasformatore” (neanche fosse un Power Ranger o un supereroe dei cartoni animati giapponesi) della migrazione è che cambia anche il volto e i ruoli dei singoli soggetti protagonisti del processo migratorio stesso. In altre parole, se ieri inglesi e spagnoli al servizio della corona andavano nel nuovo mondo da conquistadores, oggi yankee e venezuelani arrivano in Spagna e Regno Unito ad aprire filiali di multinazionali del petrolio. E in Cina?!

Se ieri i cinesi andavano in Italia a lavorare come bestie in mini laboratori del tessile o ambulanti di strada e gli italiani venivano in Cina come ricchi imprenditori alla conquista dell’oriente o architetti di fama internazionale, oggi i cinesi a Roma si comprano la Lazio e il Colosseo mentre noi neo laureati italiani veniamo a Pechino a fare i portieri vestiti da pinguino nei grattacieli dei miliardari cinesi o babysitter di viziati cinesi nelle famiglie della medio alta borghesia. E mentre uomini d’affari cinesi chiedono di avere escort italiane nei salotti di Milano, puttane russe, mongole, vietnamite e (presto) italiane riempiono hotel e karaoke di Shanghai e Macao. Tutto questo a ricordarci che il mondo non si divide in bianchi e neri ma in ricchi e poveri, dove per ricchi non si intendono quelli grassi di capitale economico ma anche e soprattutto sociale, culturale, di conoscenze e di tutta una serie di cose che non potete mettere nel portafoglio o nel vostro conto in banca.

Detto questo, la morale (di questa che una favola non è) per oggi credo sia … Israele Stato fascista ed assassino!

Orrore a Kashgar

"中央决定在新疆喀什设经济特区"

http://news.163.com/10/0521/08/676ORIAO0001124J.html

Agli esami non credere mai

Un bellissimo articolo di Yu Jian pubblicato sul NanfangZhoumo in tema di gaokao (l'esame per entrare all'università in Cina) e sistema educativo cinese, con ottima traduzione di Lucia De Carlo per ChinaFiles:

http://www.china-files.com/it/link/7506/gaokao-se-i-voti-alti-simboleggiano-la-nuova-persona-socialista


"Terminati gli esami, gli studenti entrano nella società, e la società non funziona coi voti. Senza la risposta esatta, i ragazzi non hanno la capacità di giudicare cosa è giusto e cosa non è, non hanno un’anima, non hanno opinioni indipendenti, non hanno capacità individuali. Una massa così traballante rappresenta un grattacapo serio per il futuro della Cina. Quello che intendo dire è che, diversamente da quanto avviene in altre società in cui l’educazione è intesa come un punto di forza della nazione, oggi questo tipo di educazione sembra far prevedere solo un indebolimento."

Israel, shame on you!







The question is always wondering in my head... why Israeli government and army treat Palestinian people like Nazi soldiers treated Jews?!

Shane, Sarah and Josh are still in prison... let's write them a letter!

"Shane Bauer, Sarah Shourd and Josh Fattal have been detained in Iran since July 31, 2009, when news reports say they accidentally crossed an unmarked border during a hiking trip in the mountains of Iraqi Kurdistan. They were in a peaceful region of Iraq that is increasingly popular with Western tourists."

Here is a website http://freethehikers.org/ where you can write letters which will be delivered to them in prison.

I invite all of you to write them and send our solidarity!