Monday, May 30, 2011

INCONTRI COI CINESI (V): Tibet, on the road

Per cominciare a conoscere una società, e per cominciare a farlo fuori dai circuiti più dotti e ortodossi della produzione letteraria, credo sia importante “sporcarsi le mani” ed entrare a diretto contatto con essa. Vale a dire entrare a contatto con gli individui dei quali una società (in senso lato) è composta. “Società cinese” significa ben poco, poiché essa è tutt'altro che omogenea o ben definita. Di seguito riporto l'incontro con giovani cinesi che vivono a Pechino, narrando il tempo passato insieme e cercando di descrivere la persona con le poche informazioni e le tante sensazioni che il tempo trascorso insieme ha fermato nella mia testa.


E insomma vi ho detto di questo tipo pechinese che lavora come capo tecnico delle luci per produzioni cinematografiche e non solo. Taolei, trentenne, alto e magro, accento pechinese duro, sigaretta fissa tra le labbra.

Al primo impatto mi è andato subito sulle palle: arrogante e sbarazzino, dava troppi ordini per i miei gusti e trattava malissimi i suoi subordinati, gli operai delle luci.
Poi una sera a cena ha offerto da bere a tutti e ci siamo sbronzati insieme. Tornati in hotel ci siamo fermati a chiacchierare per un paio d'ore, scolando birre e sigarette per riprenderci dalla giornata di lavoro.
Mi ha confessato il suo amore per il calcio italiano. Tifa i Beijing Guo'an da undici anni e la sua squadra europea preferita è il Barcellona. “Quando torniamo a Pechino ti chiamo e organizziamo una partita coi miei amici” mi fa. Poi ho scoperto anche la sua passione per la musica rock e la politica. Critico nei confronti del Partito comunista cinese, disprezza i giapponesi per i soliti motivi a noi fin troppo noti. “Vorrei vedere i governi di Corea, Giappone o Stati Uniti amministrare un paese di un miliardo e mezzo di persone, di ben cinquantasei etnie diverse”. Concordo.
Anche lui sempre contro l'imperialismo anglosassone, è contrario all'indipendenza del Tibet.

In Tibet c'è stato. E il racconto del suo viaggio mi ha fatto drizzare capelli e pene. Partito in auto da Pechino con due amici nel 2005, ha guidato prima fino allo Henan, da lì verso Xi'an, poi alla volta di Lanzhou (sud, ovest, ovest). Lì sono rimasti tre giorni, guasto al motore. Riparata la macchina, tutta dritta verso a Xining e Golmud. E da lì Tibet cazzo. Migliaia di chilometri a 5000 metri d'altezza, fino a raggiungere Lhasa. Se la sono girata e rigirata per valli e montagne, sempre in tre, sempre in auto. Per poi decidere di far ritorno a Pechino, via terra ovviamente.

Non può andare sempre tutto bene. Guidando ad autunno inoltrato per le gelide strade nel nulla tibetano, di notte hanno avuto un incidente e l'auto si è ribaltata. Incolumi, non sono riusciti a rimettere l'auto in strada. Niente campo per utilizzare il cellulare. Nel pieno della notte e a venti gradi sotto zero, circondati dal niente di niente, si sono messi in strada a chiedere soccorso.
“I cinesi non si fermano ad aiutarti perché hanno paura. Le poche macchine che sono passate hanno tirato dritto”. All'alba si sono messi sul ciglio della strada sventolando banconote da 100 rmb cinesi. Nel tardo pomeriggio finalmente qualcuno si è fermato. Uno di loro si è fatto accompagnare in auto fino alla città più vicina, 400 chilometri, direzione nord. Gli altri due hanno passato la notte a correre in torno all'auto, accendendo improbabili fuochi per non congelare assieme alle loro Redbull. La morte in faccia. Ma alla fine tutto è andato bene, e nonostante lo spavento sono tornati a Pechino sani e salvi.

Rispetto, fratello!

Pechino, primo pomeriggio. Trentadue gradi e un temporale in arrivo.

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