Wednesday, June 22, 2011

Squatting Japan (6): meno male le studentesse cinesi, i cerbiatti di Nara e le mamme di Sakurai

PREMESSA: gli occhi con i quali ho osservato e descritto il “mio” Giappone sono quelli di un italiano che ha vissuto in Cina per molti anni. La lettura ai seguenti post dovrà necessariamente tenere conto di questo.
Altra cosa molto importante: sono rimasto davvero entusiasta di questo viaggio. Il piacere del viaggio stesso, le novità trovate in terra giapponese e la curiosità per la sua cultura hanno completamente ricaricato le batterie che da troppo tempo avevo ormai spente nella mia noiosa e stressante vita pechinese.

Come detto sotto, il risveglio al dormitorio dell'università è stato dei peggiori. Dove aver scolato mezzo serbatoio d'acqua, sono rimasto in stato comatoso sul materanno fino all'ora di pranzo. Ho poi deciso che non valeva la pena rovinare la giornata così. Dopo un lauto pranzo al supermercato a base di sushi, sashimi, alghe e tramezzini, maledicendo saké e giapponesi che non parlano inglese, ho visitato un paio di musei e scattato foto qua e là.

La sera sono tornato al dormitorio, quasi disperato: impossibile trovare rete wireless libera, quasi impossibile trovare un internet point e il portatile scarico perché le prese della corrente sono diverse da quelli cinesi.

Frustato, mi sono seduto nel corridoio del dormitorio a fissare gli studenti giapponesi (che non parlano inglese, nb) giocare a carte e scolare birre. Poi, il miracolo: sento parlare cinese! Rincorro quella ragazzina che parla al telefono in mandarino perfetto e chiedo grazia. La giovane cinese si rivela di una cortesia e gentilezza che solo gli studenti stranieri a migliaia di chilometri da casa sanno darti. Impressionata dal fatto che anche un occidentale possa parlare cinese, prova a cercarmi un adattatore per ricaricare il portatile. Poi mi presenta altri studenti cinesi e sudamericani, coi quali facciamo serata ad una festa all'interno del dormitorio. Vino, chitarre, discussioni ed allegria fino a tarda notte. L'amabile cinesina mi propone di andare in camera sua. Why not!

Il giorno dopo saluto questa genialata di dormitorio e questa bellissima città che è Kyoto. Prossima tappa Nara, ad un'ora di treno. Nara è un'altra vecchia capitale giapponese. Molto meno modernizzata di Kyoto, mantiene un fascino antico, case basse, parchi enormi con tanto di templi e cerbiatti liberamente a spasso per il verde spazio. La pioggia non mi abbandona neanche qui, ma non per questo evito una lunga passeggiata per parchi e viuzze della città. Pranzo rigorosamente a base di pesce e rigorosamente al supermercato, una salto all'Università Nazionale delle Donne, seduto in riva ad un ruscello a fumare e rimirare le montagne all'orizzonte. A Nara non conosco nessuno, se non una ragazza madre di due bambini, conosciuta via internet (Couch Surfing), dove posso passare la notte.
Il messaggio dice “Presentati alle 7.30 alla stazione Sakurai, ti passo a prendere con la macchina”. Perfetto. Resta solo da capire come raggiungere Sakurai. Al centro informazioni turistiche il più giovane avrà sessant'anni. Ma almeno parla inglese. “Sakurai? Ah sì!”. E tira fuori una cartina. Del Giappone. Puttana Eva! Sakurai sta a decine di chilometri da Nara, un'ora di treno almeno e tre cambi. Alternative? Non molte. E comunque una notte in campagna a casa di una famiglia giapponese la passo volentieri.

Un paio di ore dopo arrivo alla stazione di Sakurai. Piccola cittadina, circondata, ancora una volta, da verdi colline, case basse e templi qua e là. Il paradiso continua. Gironzolo per la cittadina, la pioggia non molla, e io non mollo le mie disquisizioni filosofico-esistenziali sui miei anni a Pechino e sul viaggio come strada da percorrere per la vita. Un sacco di cazzate insomma. Mi siedo sotto un porticato a leggere delle poesie della scrittrice femminista Akiko Yosano ed un articolo di Dirlik sulla nascita dell'anarchismo in Cina. Il tempo qui non passa mai. Vivendo a Pechino, ti manca il tempo che non passa mai.

Alle 7.30 Miko (la giovane mamma) viene davvero a prendermi alla stazione. La fortuna sorride a chi è zuppo di pioggia e di poesia. Salgo in macchina e noto i due adorabilissimi bambini nel sedile posteriore, Taku e Naka, di due e sette anni rispettivamente. Miko ha vissuto a Shanghai e in Australia e parla molto bene l'inglese. Inglese che ha imparato anche ai figli. E mi chiede cortesemente di parlare in inglese con loro.
La casa di Miko e famiglia è la casa ideale di ogni giovane coppia italiana: semplice, moderna, in legno, dotata di ogni servizio e in mezzo alla natura. Puzzo e faccio schifo, ma Miko mi sistema in sala a giocare con i figli. Il marito non è in casa e, anche a voler fare il progressista post-moderno, mi chiedo come mai una giovane mamma si porti in casa un perfetto sconosciuto maleodorante e con la barba lunga per giocare con i figli. Ma devo ammettere di essermi divertito come un cretino a fare il papà con questi minuscoli giapponesini. Macchinine, pupazzetti, costruzioni, puzzle, palla. E quel minimo di inglese per intendersi a vicenda. Ore 9.00 di sera, tempo di nanna per Taku e Nara. Io ne approfitto per una doccia. E per stendermi su un letto in carne ed ossa!

Poi scendo in salotto per fare due chiacchiere con Miko. Miko ha poco più di trent'anni, è semplice e graziosa. Fa la mamma di mestiere ed il marito pensa al resto. Mi dice che posso usare tutto quello che c'è in casa, mangiare dal frigo e usare internet. Grande Miko! Poi mi spiega che si è iscritta al social network di Couch Surfing per poter ospitare viaggiatori stranieri nella speranza di migliorare il livello d'inglese di Taku e Naka. Io penso che bambini così piccoli non dovrebbero avere una pressione del genere. Ma la mamma è lei. Infine si scusa e si ritira anche lei, domani ha una giornata molto piena. Io resto un'oretta in rete e poi finalmente nanna anche per me!
Il giorno dopo Miko mi sveglia alle 8.30. Accompagnerà Taku a scuola e darà uno strappo a me fino alla stazione. In macchina la ringrazio molto di tutto. E arrivati ai treni, mentre sto per scendere dall'auto mi fa “Appena te ne vai Taku si metterà a piangere”. “Se vuoi resto a fare il papà!”. No, scherzo, non le ho risposto così.
Ho preso il mio treno per Osaka, dove poche ore dopo mi aspettava il volo per Pechino.

1 Comments:

At 10:57 AM, Anonymous Anonymous said...

Piu' daniele per tutti!

 

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