Wednesday, February 29, 2012

Il "pericolo giallo" con caratteristiche marchigiane.





CronacheMaceratesi è tornata a parlare di cinesi. Nel modo più superficiale e prevenuto possibile. Un vero omaggio al luogo comune.

"Controlli in tre laboratori cinesi. Lavoratori in condizioni raccapriccianti" tuona l'articolo. Ma firmare i vostri articoli di denuncia proprio mai, eh! Almeno so chi è il genio che scrive questi pezzi!

Leggiamo nell'articolo "I controlli hanno portato all’accertamento delle violazioni più disparate: impiego di manodopera in nero, omessi versamenti IVA per decine di migliaia di euro, omessi versamenti contributivi per altrettanti importi". Fin qui nulla di strano, tipica situazione del lavoro in Italia, senza bisogno di scomodare i cinesi. Arriva poi "ma soprattutto condizioni igieniche dei locali a dir poco raccapriccianti". Ora a me piacerebbe capire qual è l'idea di "raccapricciante" secondo il giornalista.

Se sento dire "raccapricciante" riferito al lavoro, mi vengono in mente i bambini di 5 anni che fabbricano mattoni nei paesi asiatici, africani o latino americani. Mi vengono in mente le condizioni di lavoro degli operai inglesi nelle fabbriche dell'ottocento. I minatori cinesi che regolarmente perdono la vita nelle cave dello Shanxi. O, per arrivare a noi, gli africani che raccoglievano le arance a Rosarno per conto della malavita organizzata.

Invece la descrizione che troviamo nell'articolo è "totale insussistenza delle minime condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro: locali fatiscenti, cavi elettrici penzolanti, assenza di areatori e di impianti di aspirazione, scarsissima illuminazione, prese di corrente con fili scoperti, macchinari senza dispositivi di protezione". Va bene, non mi sembra scandaloso, mica siamo in Svezia, siamo in Italia, finiamola di fare gli ipocriti!!

E qui il vero lampo di genio: "i militari hanno sorpreso un cittadino cinese che, seduto alla postazione di una macchina da cucire, consumava il proprio pasto cucinato ad un metro di distanza". E allora? E' vietato mangiare sul posto di lavoro se l'impresa è la propria? Sarebbero queste le evidenti tracce di condizioni di lavoro "raccapriccianti"?!

In Cina mangiare sul posto di lavoro (che sia la fabbrica, l'ufficio, il negozio, l'aula universitaria, ecc...) è una delle cose più comuni e normali che tu possa trovare. Risparmi tempo, semplicemente. A me non piace mangiare davanti al computer in ufficio, ma se un cinese ha voglia di farlo non ci vedo nulla di male o di raccapricciante.

"Ok la Cina, ma a casa nostra queste cose no!" penserà qualche leghista marchigiano o sindacalista difensore dei diritti sul posto di lavoro... Beh, io non credo che siano queste le pecche maggiori del sistema capitalista in Italia!

Prendersela coi cinesi che mangiano sul posto di lavoro in tempi di crisi economica, con la Grecia che è appena saltata per aria e con l'Italia che probabilmente sarà la prossima... significa proprio voler distogliere l'attenzione dei cittadini e focalizzarla su questioni di serie Z. E poi tutti questi imprenditori locali che applaudono quando la Guardia di Finanza fa controlli nelle aziende cinesi mi puzza assai. Gli imprenditori marchigiani pagano tutte le tasse e garantiscono condizioni di lavoro a norma di legge?! Ahahahahahahaah!!!!

Lady di ferro arrugginito




Margaret Hilda Thatcher. Oh, che donna! Una vera "lady di ferro"!
Mentre lei annichiliva il sindacato, affamava la classe operaia e mandava a morire i giovani inglesi nelle isole Falkland, il figlio se la godeva allegramente sulla Parigi-Dakar e progetta un fallito colpo di stato in Guinea Equatoriale. Evitando anche i quattro anni di carcere a cui lo condannarono. Un vero eroe.
Evidentemente ogni Stato ed ogni popolo hanno il suo Berlusca-Scilipoti di cui vantarsi.

Immagine tratta dal film "The Iron Lady", di Phyllida Lloyd, 2011.

Declaración de Wirikuta




El 7 de febrero de 2012, y por primera vez en su historia, representantes de 22 comunidades y centros ceremoniales Wixarritari, se reunieron en el cerro de El Quemado, corazón del territorio sagrado de Wirikuta, municipio de Real de Catorce, San Luis Potosí, para realizar una ceremonia que duró toda la noche, y consultar a sus ancestros y deidades, en la defensa de sus sitios sagrados amenazados por las concesiones mineras otorgadas por el Gobierno Mexicano a compañias canadienses. La declaración de Wirikuta es el documento elaborado por las autoridades Wixaritari como resultado de esa histórica reunión.


Fuente y video:

Declaración de Wirikuta_7 de febrero 2012

Tuesday, February 28, 2012

Fasi delle vita. Sconsigliata la lettura ad un pubblico adulto se cattolico.

Fase di gioia e speranza: Maria Vergine riceve l'Arcangelo Gabriele che le annuncia la sua imminente gravidanza. Prima di andarsene l'Arcangelo penetra la donna dimenticandosi di indossare il cappuccio.


Fase depressiva (da altri chiamata “cinica” o “realista”): in ultima analisi la vita non è altro che una lunga serie di azioni per lo più noiose e prive di qualsiasi senso. Le azioni sono divise e organizzate secondo una misura chiamata “tempo”. Chiamiamo la distanza tra il sorgere e il calare del sole “giorno”. Da qui la celebre espressione latina “carpe diem”, ovvero “ruba un altro giorno”, sopravvivi ancora un giorno alla noia e al non senso del vivere. Tesi di laurea su Geone Volturno il Vecchio con lode e bacio accademico, prontamente sostituito da lunga pomiciata alla francese con scappellamento (rigorosamente) a sinistra.


Fase euforica: 10 cc di cocaina tagliata sparata in vena dopo essere stata sciolta in acqua e bollita.


Fase del ricordo: 15 marzo 1933, cerimonia d’inaugurazione del campo di concentramento di Dachau.


Fase dell’ironia: Roberto Benigni e l'esame di lingua cinese.

La mia sul giornalismo odierno (vietata la lettura ai giornalisti). Parte seconda.

Questo giornalismo è soprattutto pericoloso. Va di moda da tempo fare i processi per via mediatica. Dal nomade beccato a rubare una gallina, alla studentessa americana accusata di omicidio, alla tangente del politico, all’evasore con conto alle Cayman: il processo lo fanno i lettori. I tribunali prendono ordini dai media.

Durante una conferenza a Pechino un paio di anni fa, il noto giornalista italiano Gian Antonio Stella parlò della necessità di un giornalismo responsabile, dove il giornalista è chiamato a mettere la faccia su quello che scrive, indicare nome e cognome, assumersi la responsabilità di quello che scrive. Bravo Stella! Ma tanto non cambierebbe nulla. I giornalisti sono come i magistrati: non pagano mai. Gli 007 hanno licenza di uccidere, i giornalisti hanno la libertà di sparare cazzate, dire falsità, tanto non pagano mai. Al massimo si beccano qualche querela, ma cosa cambia?! Pensate solo negli ultimi anni quanti giornalisti e quanti media di una certa importanza hanno riportato falsità infamanti verso questo e verso quello. Cosa è successo quando si è dimostrato che avevano detto delle grandi fesserie e avevano rovinato delle persone? Niente. Al massimo una querela e qualche migliaio di euro di multa. Ma stanno ancora al loro posto. Anzi, sono diventati dei VIP, li invitano nei salotti, entrano a casa vostra tramite la televisione.

Una volta c’era l’infamia. La gente se perdeva la faccia non poteva neanche mettere il naso fuori dalle quattro mura di casa. Oggi invece essere viscidi e perdere la faccia è condizione prima per fare carriera e avere accesso ai poteri. A che serve sapere che un primo ministro va a mignotte? A che serve sapere che è un pedofilo? A che serve sapere se un politico cattolico e conservatore ha divorziato due volte, ha quattro amanti minorenni e assume cocaina in Parlamento? A che serve sapere che un dirigente d’azienda ha corrotto dei politici o collabora con la Mafia? A niente. Non cambia niente. Qualcuno si indigna, qualcuno si meraviglia, i giornali fanno un gran pollaio per poi passare a ritirare il premio, ma i signori restano al loro posto, nonostante le vergognose azioni delle quali sono responsabili. Diventano famosi, vanno in televisione, prendono 5.000 euro a comparsa, li invitano alle trasmissioni, vanno all’Isola dei Famosi, diventano un cult.

Per tornare e finire sul giornalismo: sui giornali trovate gossip e notizie tritate e ritritate. E basta. Non esiste indipendenza perché anche il più indipendente degli editori deve rispondere al mercato. Per portare il pane a casa e per non mandare gente in mezzo alla strada. Le notizie non si riportano, si creano, si inventano, a seconda della curiosità dei lettori, a seconda delle necessità del mercato. Ci sarebbe molto altro da dire, ma mi fermo qui. Mi sto annoiando. Se, come insegna Verbitsky, “Giornalismo è diffondere quello che qualcuno non vuole che si sappia, il resto è propaganda” allora non esiste giornalismo, esiste solo propaganda. E quindi smettiamola di criticare i media di Cina, Iran, Cuba o Corea del Nord. Qua da noi non va tanto meglio.

p.s. Questo post è stato scritto prima del “caso Formigli”.

La mia sul giornalismo odierno (vietata la lettura ai giornalisti). Parte prima.

A me i giornalisti fanno pena. Al giorno d’oggi, dove tutti o quasi sono laureati e tutti sanno mettere due parole in fila anche in forma scritta, con internet, i social network e i mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione, fare il giornalista è qualcosa che possono fare tutti. Grande la domanda (la fame di notizie), enorme l’offerta (chi si mette a leggere, tradurre, rielaborare, scrivere). Temo che a breve saranno maggiori le persone che scriveranno di quelle che leggeranno. Non credo la legge del libero mercato funzioni nel campo del giornalismo, credo invece che maggiore offerta porterà a una qualità peggiore del servizio d’informazione, immettendo più immondizia nel circuito informativo (il mercato delle notizie, l’incontro tra il lettore e il giornalista).

Ma io sono cinico e pessimista, e oltretutto non capisco un cazzo né di mercato né di giornalismo. Quindi molto very probabilmente sto semplicemente scrivendo un mucchio di stronzate. Tanto per cambiare.

Cosa ti serve per fare il giornalista? Un portatile, un cellulare, la connessione ad internet e dei buoni contatti e conoscenze. Meglio se sai due parole di inglese. O francese. O cinese. Se non sai nessuna lingua al di fuori del tuo dialetto c’è sempre Google Translation. E così molti si buttano a fare il giornalista. Iniziano con un blog, poi se scrivono decentemente finiscono a collaborare con qualche testata. Per due lire, o per niente proprio. A me purtroppo molti giornalisti fanno pena: schiavi degli editori, non fanno in tempo a finire di scrivere un articolo che è già “vecchio” e verrà sostituito con una news più fresca. Impossibile stare dietro alla cronaca, il fattore tempo ed il bisogno di mercato impongono ritmi massacranti per i lettori, figuriamoci per i giornalisti. La parola “qualità” fa ridere le galline. Ci salviamo ancora nei report. Qualche volta. Ma sulla cronaca è meglio lasciar perdere.
Vedo come unica soluzione quella di fermarsi a riflettere e testare nuove forme di giornalismo o, semplicemente, specializzarlo. Viva il pluralismo, se pluralismo non significa soltanto diverso punto di vista ma anche e soprattutto diversa specializzazione. Geografica, tematica, linguistica, ma insomma diversa specializzazione. Altrimenti l’unica cosa che abbiamo è un copia-incolla-traduci peggio del giornalismo nordcoreano.

Comunicazione di servizio




Ho tolto delle ragnatele e delle macchie di umido dal soffitto della mia stanza col solo utilizzo della potenza delle mie braccia e di un rotolo di carta igienica zuppo d'acqua: sono finalmente pronto per diventare marito, padre, uomo e casalingua. Fatevi avanti donne! (p.s. È arrivato l'arrotino)


In foto: 紫 式部, scrittrice giapponese

Sunday, February 26, 2012

Nadia Toffa e l'intervista a Giovanardi




Generalmente mi piacciono Le Iene e il giornalismo di indagine che propongono. Mi piace molto il lavoro di Nadia Toffa. Nell'ultimo servizio però, nella parte dove intervista Giovanardi sul tema dell'omosessualità, ha fatto un errore.

Giovanardi cerca di impostare il discorso sull'omosessualità usando la classica dicotomia naturale/innaturale. Secondo lui, la natura ha deciso che l'amore "naturale" è solo quello fra uomo e donna. Tuttavia l'essere umano è libero di trasgredire a questa legge, e innamorarsi di chi voglia.

Passa poi a parlare di istruzione e del ruolo dell'educatore. Secondo lui l'educatore (che sia il padre o il maestro) deve educare i bambini sin da piccoli in tema di amore e sessualità. E dire al proprio figlio che "il compagno di banco" può diventare suo amico ma non suo amante, perché anche lui ha il pisello. Si deve invece innamorare di chi il pisello non ce l'ha, ovvero le sue compagnette di classe. Qui cade in contraddizione. Educare non è natura, ma cultura. "Ai bambini gli si insegna", dice lui. Appunto. Questa non è natura, ma cultura. E' in-culturazione. Non legge di natura. Dunque l'omosessualità non è una trasgressione ad una legge di natura, ma una trasgressione ad una legge di cultura (la sua!). Qui Nadia, da giornalista, avrebbe dovuto far notare la contraddizione al politico e ridicolizzare quanto stava dicendo.

Invece Giovanardi è stato bravo a buttarla poi sul relativismo culturale, politico e storico che la questione omosessualità e diritti delle comunità gay in effetti hanno. Dando un tono alle sue asserzioni.

Qui il video:

"Essere omosessuali in Italia"

Il segno della croce




Una canzone che ha accompagnato i miei ultimi anni del liceo. Quanti ricordi sotto lo sfondo di questa colonna musicale! Gioventù disastrata, marchigiana e quindi etilica. Una band metal di Falconara (AN) e mio padre che da piccolo mi portava spesso la domenica a vedere il porto di Ancona. Che per noi di Macerata era come per un burino vedere San Pietro. Questa canzone si chiama “Na madonna che castagna” ed è dei Kurnalcool.

“C’ho la Panda nera
che me fa casì.
Guido ma sto in coma un bel po’
sbafo qui da te.
Guarda c’è na curva
va più in là
non te scappottà.
E me sa tanto
che ce fermamo qui
stamo qui a durmì
a durmì!
Na madonna che castagna!
Stamo qui!
Na madonna che castagna!
Stamo qui a durmì
a durmì!
È finita la benzina
come madonna famo!?
Un po’ de propellente io ce l’ho:
C’HO UN BUCCIO’ DE VI’!”


Chiedendo asilo politico allo Stato del Vaticano. In silenzio e in disparte ad ammirare la grandezza dell’autogestione. E del teatro.

Saturday, February 25, 2012

Corkiane conclusioni sulla vita e non solo.

Da un'intercettazione in un pub irlandese, una signora al telefono con chissà chi:

“Stai bene?”
“...”
“Sei sobrio?”
“...”
“Io sì”.


Si muore domani.
Peccato. Mi piaceva ancora così tanto ubriacarmi la sera per bar e tornare a casa strisciando, svegliandomi il giorno dopo col mal di testa. Va bene. Peccato.


Lista di film che ho visto di recente e dei quali non consiglio la visione:

“Habemus papam”, di Nanni Moretti, 2011.
“The end of violence”, di Wim Wenders, 1997.
“In ascolto”, di Giacomo Martelli, 2006.
“Ovunque sei”, di Michele Placido, 2004.

Veri interessant

Cina: hai l'HIV? Niente carcere...

"when police in Dongguan, Guangdong Province discovered that the two drug dealers they had arrested were HIV carriers they simply let them go last November.
[...]
The issue of how to deal with convicted criminals with communicable diseases has long been debated in China and research by the Global Times shows correction institutes have not yet found a unified way of dealing with inmates with infectious diseases.
Local police in Dongguan later explained they set the suspects free because some prisons in Guangdong won't accept convicts who have communicable diseases, as the cost of treating them is so high."

Fonte:
"Crime, disease and punishment"



Ritratti della rivoluzione culturale

"China's Cultural Revolution: portraits of accuser and accused.
The Cultural Revolution was a time when pupil turned on teacher, when friend turned on friend… Now artist Xu Weixin has painted both victim and perpetrator."

Fonte:
The Guardian

Friday, February 24, 2012

Banalità al potere: prima e dopo il sesso.

Riesci a vedere una donna con gli stessi occhi dopo che ci sei stato a letto? No, non riesci. È palese, è evidente, è natura. La osservi con occhi diversi, perso, col sorriso in bocca, non riesci ad evitarla. Il giorno dopo, ad un ricevimento di gala, “Buongiorno e buonasera”, i tuoi occhi la seguono ovunque, “Cosa c'è?!”, niente, il cervello perso in viaggi di pensiero non meglio identificati e privi di documenti. Una critica sociale. Fatto sta che non la guardi con gli stessi occhi di prima, ormai la frittata è fatta.

Eh già. Va bene. Ma la considerazione è banale. Una donna (o un uomo, il partner, insomma, questione di gusti!) non la guardi con gli stessi occhi neanche dopo una romantica passeggiata, dopo una rapina in banca, dopo un furto in parrocchia, dopo uno scontro con la celere, dopo un gelato in via del Corso, dopo una chiacchierata di politica, dopo una poesia di Mallarmé, dopo un bacio sulla bocca e uno scambio di lingua, dopo uno schiaffo in faccia, dopo un gol di rovesciata, dopo uno scambio di anelli: non la guardi più con gli stessi occhi comunque.

Banale. Banale. Banale. Viva Georges Pilotelle, viva la comune!

Accademica, attivista per i diritti dei neri d'America, femminista: Angela Davis.




Interessanti prospettive (neanche tanto datate) sul concetto di violenza e l'attenzione su "violenza da" invece che "violenza a". Evviva Angela Davis!

Qui una video intervista mentre era rinchiusa in un carcere della California.

"Angela Davis: The Black Power Mixtape"


John Lennon e Yoko Ono le hanno dedicato una canzone:

Angela - John Lennon & Yoko Ono

Welcome to free Derry





"The Battle of the Bogside was a very large communal riot that took place in Derry, Northern Ireland during 12--14 August 1969. The fighting was between residents of the Bogside area (allied under the Derry Citizens Defence Association) and the Royal Ulster Constabulary (RUC)."

Here is the documentary of the Battle of the Bogside:

http://www.youtube.com/watch?v=NBgT1hS7yJ0

Quel chiodo fisso per i rivoluzionari di professione...




Michael Collins, 1890-1922. Uno dei padri della Repubblica d'Irlanda.

Immagine tratta dal film omonimo di Neil Jordan, 1996.

Clamorosa Wikipedia





"Emma Marcegaglia (Mantova, 24 dicembre 1965) è una bocchinara di fama internazionale italiana, prima donna a farsi trombare dinanzi al rettore dell'università Luiss Guido Carli."

Da Wikipedia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Emma_Marcegaglia

Poeti...




La stazione di polizia è una gran cosa
è il punto di incontro tra me e il governo
e al governo torna in mente
che quel punto esiste ancora.


Velimir Chlebnikov, 1885-1922

Omaggio a Cerbero




E, come dice giustamente Ianna, "evviva il posto fisso".

Thursday, February 23, 2012

Diario di un prof: il ricevimento studenti è sempre il momento più esilarante della giornata

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


In ufficio, a colloquio con una studentessa che vuole scrivere la tesi sull'influenza della moda occidentale in Cina.

Le faccio: "Ecco vedi... io farei così e così... poi mettici dentro questo e quello... contatta questa persona... spiega bene questo e domandati il perché di quest'altro... ecco, di più non so consigliarti, la moda come vedi non è proprio il mio forte..."

Rapida occhiata di entrambi al mio abbigliamento Fantozzi.

E lei: "Non ti preoccupare. E' comprensibile. Sei un uomo"

Ma...

Wednesday, February 22, 2012

Perché l'America si chiama America!?









22 febbraio 1512.
500 anni fa moriva l'uomo che ha dato il nome al continente americano. Avanti Vespucci, regalaci un altro viaggio, punta di nuovo dritto verso Capo Horn!

Nelle immagini i viaggi (rispettivamente) di:

Cristoforo Colombo (1451-1506)
Amerigo Vespucci (1454-1522)
Ferdinando Magellano (1480-1521)

Tuesday, February 21, 2012

Sentite questa

Ho letto questa breve storia a sfondo moralista che voglio qui riproporre. Per farla breve, c'è un tipo che suona un violino nella metropolitana di Washington. La gente va di fretta, nessuno fa caso al tipo, qualcuno getta una banconota. Il pezzo finisce così:

"Nessuno lo sapeva ma il violinista era Joshua Bell, uno dei musicisti più talentuosi del mondo. Aveva appena eseguito uno dei pezzi più complessi mai scritti, su un violino del valore di $ 3.5 milioni di dollari. Due giorni prima che suonasse nella metro, Joshua Bell fece il tutto esaurito al teatro di Boston, dove i post in media costavano $ 100. Questa è una storia vera. Joshua Bell era in incognito nella stazione della metro, il tutto organizzato dal quotidiano Washington Post come parte di un esperimento sociale sulla percezione, il gusto e le priorità delle persone.
[...]
Una delle possibili conclusioni di questa esperienza potrebbe essere:
Se non abbiamo un momento per fermarci ed ascoltare uno dei migliori musicisti al mondo suonare la miglior musica mai scritta, quante altre cose ci stiamo perdendo?"


Non so se la storia sia vera, né mi interessa. Mi interessa invece proporre una conclusione un po' diversa: la gente di musica non ne capisce una sega, figurati se sa chi sia Joshua Bell, quanta valga il violino che suona o quanto idialliaca sia la musica che riproduca. Al teatro di Boston per 100$ vanno due tipi di persone: un gruppo sparuto di appassionati intenditori e un branco di pecore che vanno perché fa figo e possono permettersi di buttare via 100$ per annoiarsi da ricchi.

La mia morale della favola è: questa storiella dimostra che il mercato è fatto di un branco di capre ignoranti (per dirla alla Sgarbi) disposte a mettere mano al portafogli quando fa figo, ignorando quasi del tutto il prodotto che stanno acquistando, incapaci di apprezzarlo e di chiedersi se davvero ne hanno bisogno. Non esiste qualità nel mercato, esistono invece la pubblicità e la moda, che muovono le nostre azioni consumiste. C'è chi vive e si arricchisce alle spalle di queste pecore consumatrici, distruggendo l'ambiente, creando squilibrio sociale, creando nuovi falsi bisogni e fame mai sazia di consumo.

Tutto questo si chiama società dei consumi. E capitalismo.

Altro che Joshua Bell, il violino da 3,5 milioni di dollari, il teatro di Boston e la morale da oratorio salesiano!



Qui trovate la storia:

http://www.ominodellecazzate.it/questa-storia-e-impressionante-vi-prego-di-prendervi-un-momento-per-leggere

Capolavori del passato




"小城之春" (1948), by 费穆.
"Spring in a Small Town" (1948), by Fei Mu.

Monday, February 20, 2012

Diario di un prof: a lezione di lingua giapponese.




Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.



La cosa più entusiasmante che sia riuscito a fare in questo 2012 è stata di ritagliarmi del tempo per seguire un corso. È talmente tanta la nostalgia della vita da studente che non potevo non tornare sui banchi, dalla parte opposta della cattedra. Volevo seguire un corso di lingua coreana, ma non è stato raggiunto il numero minimo di iscritti. Così mi sono buttato sul corso base di giapponese.

Ah, che soddisfazione la vita tra i banchi! Due ore a settimana, serali. Quota di iscrizione zero perché sono un dipendente dell'università (evviva gli statali, evviva baffone Stalin!), la professoressa che ci insegna è una mia collega irlandese che incontro ogni giovedì al collegio dei docenti.
In classe siamo sette o otto persone ogni volta. Un tedesco, un vietnamita, una russa, un'americana, me, una studentessa giapponese che sta facendo un tirocinio di insegnamento e qualche irlandese. Età media sui 25 anni. Come ci divertiamo a lezione, mi sembra di essere tornato ai tempi delle prime lezioni di cinese all'università di lingue straniere di Pechino. È come tornare bambini, come stare all'asilo.

Essere italiano e aver studiato il cinese aiuta moltissimo l'apprendimento della lingua giapponese. La pronuncia è la stessa che abbiamo noi italiani, non c'è nulla da imparare. I caratteri giapponesi (i kanji) sono uguali al cinese non semplificato, dunque nello scritto sono molto avvantaggiato. Il resto è gioia dello studio.

Nota negativa: la cultura giapponese è più fastidiosamente gerarchica e formale di quella cinese. È tutto una serie infinita di inchini e di formule di doveroso rispetto. In più i testi sui quali studiamo sono tutti improntati al giapponese “economico”, cioè al mondo delle ditte e del business in Giappone, con figurine in giacca e cravatta, computers e scambio di biglietti da visita.
Come è diverso dal Giappone fatto di templi, giardini, boschi, studenti in occupazione e senza fissa dimora in agitazione che ho conosciuto io a Osaka, Kyoto e Nara!

La mia su feisbuc...




Feisbuc, social network che ha cambiato la vita di tante persone (Zuckerberg in primis), feisbuc di cui in molti parlano e tutti (o quasi tutti) fanno uso.
Io me ne guardo bene dall’apprezzare o dal demonizzare questo pazzo pezzo di feisbuc. Trovo divertente lo spazio dove ti chiede, quotidianamente, “What’s in your mind?” (Cosa ti gira per la testa?). Come suggeriva una mia amica, la risposta non può che essere “Cosa mi gira per la testa? Che passare le giornate di fronte a questo infernale strumento è quanto di peggio mi potesse accadere, ecco cosa mi gira per la testa!”.
Beh, i motivi per i quali ci sta sul cazzo feisbuc (nonostante pare proprio che non se ne possa fare a meno) sono tanti ed evidenti. Me ne sono reso conto solo una volta che ho lasciato la Cina (dove feisbuc è censurato) ed ho fatto ritorno in Europa. Decine e decine di amici e amiche tossicodipendenti di feisbuc, da stare su feisbuc 24 ore al giorno, mangiare davanti a feisbuc, studiare davanti a feisbuc, scopare davanti a feisbuc, organizzare una festa o una partita a calcetto davanti a feisbuc…
Io trovo feisbuc perfetto, ad esempio, per i sondaggi: avendo un cospicuo numero di “amici” su feisbuc (diciamo mille) puoi scrivere quello che ti passa per la testa e vedere cosa e come reagiscono i tuoi amici. Che commenti fanno, che risposte danno o che grado di apprezzamento ottieni. Studiare i membri di feisbuc è un po’ studiare la società in generale, la gioventù nel particolare. Tramite feisbuc scopri i gusti musicali, artistici, politici, sessuali, gastronomici, sportivi della gente. Vedi “dove sta e cosa fa” la gente. E con chi. Feisbuc ti dice più dei quotidiani, più dei libri, più della televisione. Perché è un canale di massa, direi quasi democratico.

E già. Siamo ridotti così male in occidente che per salvarci il culo ci stiamo affidando ai social network come feisbuc. È l’ultimo strenuo tentativo di salvare la “democrazia”, ormai in una fase di cessata attività cerebrale, minacciata dai modelli di “State – capitalism” asiatici. Dicono che la primavera araba non sarebbe scoppiata senza i social network.

Chiaramente feisbuc è figlio dei nostri tempi: consumismo, individualismo, solitudine, asocialità. Mito, religione, ideologia: sono morti, oggi non bastano più. Serve un cyber spazio dove creare e ricreare i nostri alter-ego e inventarci vite che non riusciamo ad avere altrove.
Non sto però dicendo che feisbuc non sia parte della vita reale. Lo è. La storia che leggi in un romanzo è molto meno reale di feisbuc. Perciò non capisco chi dice “smettila con feisbuc, esci di casa e confrontati con la vita reale”. Non è irreale la vita di fronte a feisbuc. È solo un’altra forma di realtà. Quelli come Zuckerberg hanno intuito questo e l’hanno trasformato in prodotto di mercato.
Chiamali scemi...

Made in Taiwan





“The Boys from Fengkuei” (1983), by Hou Xiaoxian
侯孝贤的“风柜来的人”(1983)

Sunday, February 19, 2012

Un brindisi è sempre il penultimo: amicizia meno presenza fisica uguale feisbuc.




Quella fastidiosa sensazione di noia torna a tormentarmi specialmente nei fine settimana. La cosa peggiore, in questi casi, è che il cervello comincia a correre veloce e mi risulta impossibile stargli dietro. Una macchia di umido sul soffitto e tutta la mia attenzione concentrata su di essa. Penso alle sei bellissime giornate spese con Marlene lo scorso giugno. Che amicizia è un'amicizia a distanza? Mi secca aver lasciato la Cina soprattutto per aver lasciato lei. Auto privarmi della sua amicizia, della sua presenza, della sua compagnia. Uscire a mangiare insieme, passeggiare per le viuzze dietro l'università, andare insieme per bar, andare a letto insieme. Se all'amicizia togli la presenza fisica resta soltanto il rapporto feisbuc. Disgustoso voltastomaco.

Lungo sul letto non ho trovato nulla di meglio da fare che ascoltare gli Smashing Pumpkins e fotografare le mie scarpe. Possibili alternative? Leggere. Guardare un film. Studiare giapponese. Disegnare. Uscire di casa. Mi chiedo come mai se i zapatisti stanno in Chiapas a fare la rivoluzione e i calciatori sono in TV a scoparsi le veline io invece sono steso a letto a fissare il soffitto. Ed ho anche smesso di fumare. Questa proprio non ci voleva.

Ostaggio del tempo. “Poète maudit”, maledetto come i poeti. Verlaine, Chatterton, Artaud. Credo sia tutto qui. Non c’è molto altro. Oh, sì, ci si sono gli affetti. Le cose non materiali, quelle importanti. Ma purtroppo anche quelle cadono vittima delle dimensioni spazio-temporali.

Io esco. Perché un brindisi è per definizione sempre il penultimo.

Diario di un prof: lo sfruttamento dei dottorandi.

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.



Io agli studenti ci voglio bene. Ci darei il culo, io, gli studenti. Compresi i dottorandi. Se non altro perché anche io sono stato studente e dottorando fino a qualche mese fa. E quindi la mia spada la pongo sempre dalla parte degli studenti, contro il baronato e contro la burocrazia amministrativa.

Nasce però il problema se sia legittimo o meno chiamare i dottorandi a fare lezione al tuo posto. Sicuramente per loro è un'ottima occasione per cominciare a fare a pugni con la sacra arte dell'insegnamento. Un'occasione per mettersi in gioco prima ancora di finire il dottorato.
Io faccio il docente universitario da neanche cinque mesi e già quattro volte ho fatto fare lezione a dei dottorandi del nostro dipartimento. Ragazzi in gamba. Una cinese e tre irlandesi. Buone letture su temi vari, etnia uygur, relazioni sino-africane, il '68 cinese, media e potere. Mi hanno risparmiato ore di lavoro. Viene da chiedersi se debba pagarli o meno. Sulla carta no. Birra per tutti mi sembra il minimo!

“Quello non caro”. Fuori tema: liberamente tratto da.

“L'anarchia dappertutto e nell'arca, io Noè, rincretinito. Mi sembrò giunto il momento di finirla” L. F. Céline

“Anche a masturbarsi in quei casi lì non si prova né conforto, né distrazione. Allora è la vera disperazione” Ancora lui

“Non ho mai potuto uccidermi io. La cosa migliore era dunque uscire per strada, 'sto piccolo suicidio” Sempre lui

“Filosofeggiare non è che un altro modo di aver paura e porta solo a sterili fantasie” Esatto, ancora lui

“Contro l'infamia di essere povero bisogna, confessiamolo, è un dovere, provarle tutte, ubriacarsi di qualsiasi cosa, di vino, quello non caro, di masturbazione, di cinema” L. F. C.

Saturday, February 18, 2012

Diario di un prof: la messa domenicale.

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Ogni domenica mattina uno dei miei colleghi in università, irlandese ed omosessuale dichiarato, lascia l'ufficio per un'ora e va a sentire la messa nella cappella del campus.
C'è stato un periodo anche nella mia vita quando “domenica mattina” era sinonimo di “predica in chiesa”.

Sarebbe interessante scrivere un articolo sulle scuse usate dai bambini per evitare di andare con i genitori a messa la domenica mattina. Provo a ricordare, senza successo, quali banalità cercavamo di rifilare a mamma e papà io e mia sorella. Ma ricordo che il più delle volte andava male ed eravamo comunque costretti a seguirli in chiesa. Dovrà pur esserci una qualche forma di relazione tra questo ed il mio non proprio latente agnosticismo e anticlericalismo.

Friday, February 17, 2012

"Battute ad aste". Parliamo di donne e di schiavitù moderne.




Qui dicono che in Italia si stimano 70.000 prostitute Per 9 milioni di clienti. Diciamo quasi tutti uomini. In Italia ci sono circa 60 milioni di teste. Una metà sono uomini, cioè circa 30 milioni. Quante volte sta il 9 nel 30??? Ecco, fatevi un'idea di quanti uomini pagano per il sesso in Italia, quante mogli e fidanzate hanno quelle che chiamiamo "corna" e quando vi chiedete come mai le mafie sono tanto ricche e potenti ricordatevi di questi numeri...

Statistiche



"Per i flussi che provengono dai Paesi dell'Est Europa, Romania in testa, il luogo di transito sarebbe invece la Serbia, dove le ragazze sono spesso vittime di violenze e stupri. Da lì vengono trasferite in Kosovo e battute ad aste che generalmente vedono in prima fila la mafia albanese."

Articolo


Qui tutta l'inchiesta di Repubblica: "La fabbrica delle lucciole"

Ancora una volta...




“Beh, signori miei, non c’è dubbio che la signora Vaccari in due settimane le farà diventare delle puttane di prim’ordine. Non c’è nulla di più contagioso del male”

Dal film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (1975), di Pier Paolo Pasolini.

Thursday, February 16, 2012

"让大鼻子围着我们转才好"




Se vi piacciono i film di guerra allora l’ultimo capolavoro di Zhang Yimou, “The Flowers of War” è cioè che state cercando.
È la comicità nella tragedia, il profano nel sacro, Hollywood nel cinema cinese. Il carnevale dell’orrore, la macelleria al potere. Una triste pagina della storia umana. E Christian Bale che all’inizio sembra più un vero occidentale nella Sanlitun di oggi che un falso prete nella Nanchino degli anni trenta.
Dopotutto, anche da qualche parte nella Bibbia trovi scritto di vino e prostitute nel tempio.
E bravo il compagno Zhang.

Wednesday, February 15, 2012

Diario di un prof: alchimia

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Mi manca talmente tanto la vita da studente che appena posso scappo dal mio dipartimento e vado in giro per l'università alla ricerca di lezioni e conferenze di qualche interesse.

Oggi sono capitato ad una delle letture più stimolanti mai ascoltate. Titolo "The Alchemy of Eternal Life. Esoteric Influeces in Mary Shelley's Frankenstein". A parlare è stato un certo "padre Richard", un francescano in carne ed ossa, con tanto di saio, barba e sandali, custode della cappella interna al campus. Un giovane brillante, aperto di mente.

Ora, vero che Mary Shelley è forse stata la prima autrice di cui mi sia interessato sin da piccolissimo (il mostro di Frankenstein era ovunque nei cartoni animati e nei fumetti!) e vero anche che il suo romanzo è stato uno dei primi che ho letto e che ho letto in lingue diverse (italiano prima, inglese poi): fu amore a prima vista. E questa lettura è stata una sorta di orgasmo intellettuale.

Padre Richard (fa ridere anche me chiamarlo così, ma bisogna rispettare le scelte altrui) ha analizzato la storia degli elementi esoterici presenti non solo nel romanzo di Mary Shelley, ma anche in altre opere di Percy Shelley (suo marito) e Lord Byron. Ci ha parlato altresì di storia dell'alchimia, di esoterismo, della "Mano di Gloria" e di Dr. Dee, di Paracelso e di Luigi Galvani, di Giovanni Aldini e di Golem, di "qi" e delle tradizioni alchemiche cinesi, musulmane, ebraiche e cristiane. Filosofie e l'umano desiderio di dominare la natura, vincere la morte, creare la vita e ri-crearla. Eccellente lettura.

Ad esempio di alchimia cinese non ne sapevo nulla. Ecco come passare il resto della serata e la nottata a leggere. Tanto domani non ho lezione prima delle due di pomeriggio.

Diario di un prof: campanilismo mica da niente

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


"Daniele, mi consigli un buon libro che parli di Tibet?"
"Sicuro... Vediamo... 'Il libro dei morti'. E poi guardati Stein, Bell, Goldstein. Ah, e Tucci abbestia!"

Due settimane dopo...

"Daniele, non ho trovato questo 'Tucci abbestia' da nessuna parte..."
"Devi cercare sotto 'Giuseppe Tucci abbestia'. E' fondamentale sin da subito imparare a fare ricerca e a sopravvivere negli archivi della biblioteca..."

Scienziato disoccupato in Italia? Vattene in Cina!

"China welcomes more foreign experts to conduct all-around scientific cooperation with the country, and supports Chinese scientists in overcoming major international scientific issues, State Councilor Liu Yandong said Tuesday"


Source:

"China welcomes more foreign scientists for cooperation"

Namo bene...

"The Internet is the most popular source of sex information, and about 50 percent of people said they learn about sex through the Internet.

About 20 percent of respondents said primary and secondary schools are their main source of sex education, while 13 percent referred to their universities. Another 13 percent found information in newspapers and magazines. About 18 percent of respondents had not received any sex education at all."


Source:

"Attitudes toward sex changing in China"

Tuesday, February 14, 2012

UCC - Chinese Traditional Medicine and Acupunture - All Welcome

Annual ACI-UCCCI Lecture Evening

Stress Release through Acupuncture and Traditional Chinese Medicine
Time: 5.30-9.00pm, Wednesday 29th February 2012
Venue: Aula Maxima, University College Cork

Workshop Easy Way for Stress Management - Food & Massage

conducted by Dr. Liu Tiejuan from London Confucius Institute for Traditional Chinese Medicine.

Admission Free. Refreshments Provided.

Schedule

5.30pm Opening Workshop: Easy Way for Stress Management - Food & Massage, by London Confucius Institute for TCM

6.00pm Wisdom in Life: Tips for Stress Management, by Dr. Liu Tiejuan, London Confucius Institute for TCM

6.30pm Tea Break

7.00pm Acupuncture and the Mind, Stress, by Martin Fitzgerald. (Acupuncturist and Research Scientist)

7.30pm Acupuncture and Competition Stress, by Robert Heffernan. Irish Olympic Athlete

8.00pm Acupuncture, Cancer and the Stress link, by Dr. Vincent Carroll. (Acupuncturist and Western Medical Doctor)

8.30pm Drinks and Traditional Chinese Music Performance while speakers and public informally chat

9.00pm Close

Io starei attento ad infilare il mio coso in questa plastica made in China...




Ningbo Yamei Plastic Toy: il business delle bambole gonfiabili, dalla Cina e con furore.

Photo credit:

http://blogs.publico.es/mesadeluz/5388/una-fabrica-de-munecas-hinchables

Diario di un prof: le bestemmie in classe

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.



Non in senso letterale, quanto più metaforico. Credo che in classe bisogni essere aggressivi nell’atteggiamento (saccenti mai), critici nel metodo, radicali nei contenuti. Bisogna bestemmiare davanti agli studenti, essere eretici, lasciarli di stucco. È l’unico modo che hai per evitare che si addormentino o che non si presentino a lezione perché giudicano il tuo corso noioso. Bisogna spronarli al dubbio e alla riflessione critica. Narrare storie di tempi andati facendo costante riferimento alla contemporaneità. Paragonare. Specificare. Relativizzare. Stordire. Divertire.

“La risposta è dentro te stesso. E però è sbagliata”.

Ecco.

Monday, February 13, 2012

Diario di un prof: un italiano in terra Anglo-Gaelo-Sassone

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Si sa, non è facile fare l’italiano all’estero. Se prima non era da andarne fieri, dopo quindici anni di Berlusconismo c’è solo da vergognarsi di essere nati nello Stivale. Qualche tempo fa su feisbuc girava il divertente messaggio:

“Di dove sei?”
“Roma”.
“Romania?”.
“No, Roma: Colosseo, spaghetti, Italia”.
“Ah, Berlusconi!”.
“No, no! Romania!”.

Sì, è un po’ così. Poi personalmente trovo non proprio facilissimo fare lezione in lingua inglese. Me la cavo, ma certo l’accento pesante resta e qualche parola me la invento americanizzando un latinismo. Chissà quante risate si fanno gli studenti!

Per fortuna noi italiani abbiamo il “body language”, il linguaggio dei gesti: quel muovere costante ed ininterrotto mano, braccia, spalle ed espressioni facciali che lasciano di stucco lo straniero sprovveduto. Quasi come un mimo ad alta velocità, sembriamo dei prestigiatori, ipnotizziamo la vittima con un sorriso in bocca. Europei e americani se ne accorgono e ci sfottono anche per questo. È tutto uno sfottere.

Gira quella battuta da umorismo inglese “Vuoi far star zitto un italiano? Basta legargli i polsi dietro la schiena! Ahahahaha!”. Proprio da cagarsi dalle risate.

Ma vuoi mettere? Hai mai visto un italiano provarci con una studentessa francese o giapponese? Un’altra marcia proprio. Ipnotizzata all’istante. A confronto un irlandese sta ancora al bancone a riempirsi di Guinness per trovare il coraggio di lanciarsi.

Come diceva il grande De Curtis, “Hai aperto la parente? Chiudila!”.

La vergogna




“Oggi un ragazzino si sniffa le spezie che trova in cucina, lo posta su Youtube e loro stanno a guardare mentre diventa una moda tra gli adolescenti. Alla fine il cinismo si trasforma in ammirazione.”

Dal film “Shame”, di Steve McQueen, 2011.

A me questo film ha fatto discretamente schifo. Scontato, lento, hollywoodiano. Una cosa però ho apprezzato del film: mette sul piatto un tema, una domanda che mi pongo da diverso tempo a questa parte, ovvero “Di cosa dobbiamo vergognarci?”. Oggi. Nella società post moderna. A Pechino, a Roma, a New York. Dopo il Grande Fratello e Berlusconi, dopo Fabrizio Corona e Cristiano Doni. Di cosa dobbiamo vergognarci??

Il film ovviamente non dà una risposta. La Chiesa dà risposte, i film non servono a questo. Ma stimola riflessioni in questo senso.

“Io c’ho messo un’ora per scegliere il vestito”. Vergogna.

Sunday, February 12, 2012

Duri. Durissimi. Duri un cazzo. Poteva anche non finire così.

“Me ne vado. Ho chiuso con te. Ho già trovato qualcuno che mi voglia bene, che sappia rendermi felice, qualcuno meglio di te”.
“Non deve essere stato difficile…”.
“Che poca stima che hai di te. Falso!”.
“Dziga Vertov”.
“Cosa?!”.
“Dziga Vertov”.
“Che cazzo significa dzigavertov?!”.
“Niente. È solo il nome di un regista russo”.
“Ti odio”.
“Sentirò la tua mancanza. Nel frattempo, la porta sai da che parte si trova”.

E ascoltate i vostri incubi

“Io non mi rilasso mai. Sudo freddo quando leggo il Sunday Times. Leggo, sobbalzo, corro in strada alle tre di mattina con la mia bomboletta spray: REAGAN UGUALE HITLER! RESISTERE! E NON DIMENTICARE, ANCHE WEIMAR AVEVA UNA COSTITUZIONE!
Tempra morale. Allucinazione, rivelazione, gorgogli intestinali nella notte – pipistrelli interni all’intestazione, le loro frenetiche ali ruvide – questo è il mio buon senso. Ci faccio attenzione. Non contate troppo su sonni tranquilli. Quando viene il momento dell’involuzione reazionaria, le sole persone che dormono tranquille sono quelle che ci fanno fare brutti sogni. Quindi mangiatevi qualcosa di indigeribile prima di andare a letto e ascoltate i vostri incubi.”


Tratto da “Un posto luminoso chiamato giorno”, di Tony Kushner

Drinking is better than sleeping until sunrise




“Days of Being Wild”, di Wong Kar-wai, 1990.

Le tette delle mamme e i figli

Joseph: Mamma ha sposato per il mio trattore.

Emma: E perché eri bello. Educato. E avevi una fisarmonica di proprietà.

Joseph: Rossa coi bottoni d’argento lucido.

Emma: E non la faceva mai toccare alle femmine lui, la fisarmonica.

Joseph: Solo a te un giorno. Mamma avevi le tette più belle del paese. Dritte come i
fusi del telaio. (Le tocca il seno) Belle belle tette di mamma.

Emma: Tette le conosce lei. Ha ciucciato il latte acido di mamma malata. Altro che belle. I figli col latte tirano su i segreti delle madri.


Tratto da “Il sole dorme”, di Sonia Antinori.

Aquí no se rinde nadie!




Viva la República Bolivariana de Venezuela, viva Tupamaros!!

Saturday, February 11, 2012

Wedding? No, thanks.




"So what's the point of getting married?"
My opinion about wedding in the words of a young Mosuo woman...


Watch the video:

The Women's Kingdom (2006)- a film by Xiaoli Zhou

Diario di un prof: come andò a finire con Nick Griffin.

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Di Nick Griffin ho scritto qualche post fa. Nick Griffin, inglese, presidente del partito nazionalista britannico, invitato ad una conferenza qui in università sulla libertà di parola. Griffin il razzista, xenofobo e omofobo. Un fascista all'università non passa inosservato e vari gruppi ed associazioni studentesche e non avevano protestato. Alla fine hanno avuto la meglio: l'invito è stato cancellato e Nick può restare tranquillamente a seminare odio tra le sue quattro mura di casa.

Al suo posto, sono state organizzate altre conferenze ed incontri sul razzismo, la libertà di parola, le discriminazioni sociali, le associazioni criminali di stampo neo nazista. Sono andato a sentire una conferenza che vedeva come ospite un noto avvocato inglese che ha mandato all'ergastolo i due assassini di Stephen Lawrence, un diciannovenne londinese di colore, colpevole solo di essere di colore. L'aula magna era strapiena di studenti, molti hanno ascoltato in piedi. L'avvocato ha mostrato sin da subito di essere persona di un certo spessore culturale, aizzando i presenti con grandi discorsi sulle conquiste civili dell'uomo nel mondo e concludendo la sua diatriba citando (addirittura) Dante Alighieri. Applausi a scena aperta. Poi la rovina.

Un uomo biondo, alto e robusto ha fatto una domanda all'avvocato, domanda poco gradita dal pubblico, che si è messo a ridere ed ha invitato l'ospite a non rispondere alla provocazione. Il tipo invitava a riflettere come negli anni settanta in Inghilterra molte violenze verso la popolazione di colore erano state fatte dal “proletariato bianco”, insomma dalla classe operaia, vittima a sua volta di attacchi e furti per mano degli immigrati. La domanda era se è possibile paragonare il razzismo di oggi alle attività dei gruppi fondamentalisti islamici presenti nei paesi europei. Non ha avuto diritto ad una risposta.

Già che secondo me cancellando l'invito a Griffin hanno vinto proprio i fascisti del partito nazionalista, che ora chissà cosa monteranno su questo caso: “noi povere vittime delle università marxiste, gay e filo musulmane”. Ma privare di risposta una domanda da chicchessia equivale a privarlo della sua dignità di essere umano al tuo pari.
Viene sempre da chiedersi chi sià il più fascista.

L'inferno può aspettare...

Demasiado alcoholizado
Demasiado abandonado
demasiado descarriado para esta nación.

Yo no voy a ningún lado
La muerte me esta esperando
Tengo un lugar reservado en el cementerio.

El cielo...
El cielo puede esperar
El cielo puede esperar
El cielo puede esperar
En la calle quiero estar, oh no!.

Por las noches tengo que robar para comer
Este mundo no me ofrece nada que perder.

Todos me quieren ver muerto
Todos me quieren ver muerto
Todos me quieren ver muerto por la policía.

Se que me están esperando
Quizás estén a mi lado
Todos quieren que termine en el cementerio.

El cielo...
El cielo puede esperar
El cielo puede esperar
El cielo puede esperar
El infierno es mi lugar, oh no!.
El cielo puede esperar...


“El cielo puede esperar”, Attaque77

China and refugees...

"China has already taken in too many like those claimed to be English Teachers..."

A comment to the article "Myanmar border residents in China not refugees"

Friday, February 10, 2012

Le aziende di etnia cinese...

Sempre più disgustato dal giornalismo nostrano, credo che oggi Cronache Maceratesi abbia superato sé stessa...

Si legge in questo articolo:

"Laboratori cinesi lager. 9 aziende sospese, 31 lavoratori in nero. Condizioni disumane a Montecosaro"

"Nelle ultime due settimane sono state ispezionate sette aziende di etnia cinese"

Aziende di etnia cinese!? Ora anche le aziende hanno un'etnia!
Facciamo una cosa: lasciate scrivere i clandestini cinesi e andateci voi a rattoppare scarpe per un'euro all'ora.

Diario di un prof: le conferenze dei miei stivali.

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Le conferenze. Oh sì! Cosa sarebbero le università e i centri di ricerca senza le conferenze! Niente! Sarebbero come un guscio senza la lumaca dentro. Un baco senza la seta. Un bicchiere senza del vino. Ah, le conferenze! Io adoro le conferenze. Adoro questi incontri tra studiosi di paesi e background differenti. Adoro ascoltare le loro letture e i dibattiti che ne escono fuori al termine. Adoro le conferenze.

Non tanto per le conferenze in sé, spesso noiose e prive di stimoli, ma per la gente che puoi incontrare. Pazzi falliti come te. Ti senti meno solo in questo mondo, alle conferenze. Una conferenza è andata bene quando e solo quando sei riuscito a prendere contatti con lo studioso o lo studente di turno. Quando la discussione continua oltre la conferenza, continua la sera a cena o via e-mail o al prossimo incontro.

Ecco, ultimamente sono rimasto un po' seccato dal modo di fare conferenze qui in università. Le aule che ospitano le conferenze vengono prenotate per una sola ora. Di solito danno trenta minuti all'ospite per esporre la sua lettura. Il resto del tempo va alle domande, alle risposte e agli interventi del pubblico. Succede quasi sempre però che la conferenza inizi con dieci minuti di ritardo e che il lettore si dilunghi fuori tempo prestabilito per ulteriori dieci minuti. A noi poveri spettatori non restano che pochi minuti per i commenti e i quesiti. E vedi come, tristemente, finiamo per contenderci il microfono, mentre il moderatore ti pressa per farti giungere alla domanda, poi puntualmente l'ospite si dilunga nella risposta e addio altri interventi: “Grazie a tutti, un applauso al nostro ospite e buon proseguimento”. Ma vai a cagare.

Diario di un prof: gli studenti e le loro tesi.

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Capita anche di dover seguire gli studenti dell’ultimo anno per la tesi che devono presentare alla fine del percorso di studi. Detta così non fa paura. Ma la matematica ci insegna che tutto dipende dal numero di studenti che dovrai seguire.
La preside mi aveva detto che gli studenti ce li saremmo divisi tra me e lei. Non so perché, ma vengono tutti da me. Bussano alla porta del mio ufficio, io spero sempre sia l’addetto alle pulizie o il mio collega di filosofia coreana. Invece sono loro.
“Ciao Daniele, come stai? Sono una studentessa del quarto anno, ti ricordi di me? Sei occupato? Vorrei fare la tesi con te”.
(Un’altra!??! Cazzo no!!). “Ciao, certo che mi ricordo di te. Prego, siediti, dimmi pure”.
“Ecco, avevo pensato di farla su…”
(In quel momento io sento la schiena rizzarsi, mi aggrappo ai poggia braccia della poltrona e mi preparo al peggio).

Il più delle volte non va male. Correggo loro un po’ il tiro, consiglio qualche autore, due tre saggi di partenza, un paio di film, accenno una bozza di struttura e ricordo loro che la scadenza è tra due mesi.
A quel punto, puntualmente… “Beh, vedi Daniele… Ho ancora quattro esami da dare, lavoro nel weekend e sono una ragazza madre. Mi aiuti a finirla in tempo?”.
Ma certo. Tanto io non ho nulla da fare. Sei solo la tredicesima persona che viene a chiedermi la tesi. E poi io non sono un ragazzo padre, né faccio altri lavori nel weekend. Il weekend scrivo le tesi per voi.
Per fortuna a luglio mi licenziano.

Thursday, February 09, 2012

Tutta la notte quante volte sono?

Si stese sul letto e chiese alla ragazza: «Come ti chiami?»
Lei rispose: «Mi chiamo Nana.»
Zuo Xiaolong chiese: «Quanto vuoi?»
Nana rispose: «Cento Yuan per una volta.»
Zuo Xiaolong tirò fuori cento Yuan e li consegnò a Nana.
Dopo averlo fatto, Zuo Xiaolong era ricoperto di sudore, stravaccato sul letto; Nana si vestì e si sedette.
Nana disse: «con 20 Yuan in più possiamo farlo per tutta la notte.»
Zuo Xiaolong chiese: «per tutta la notte quante volte possiamo farlo?»


Junzi, blogger cinese, tradotto da Antonio Leggieri

http://www.cineresie.info/paese-ideale-letteratura-web-cinese/

Diario di un prof: il senso estetico delle colleghe e la questione di gusti.

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Ricollegandomi un poco anche a quanto scritto qualche post fa, vorrei aggiungere alcune righe al mio pensiero in tema di abbigliamento. Non presto troppa attenzione all’aspetto estetico altrui. Tuttavia mi sento schiavo, un po’ come tutti, del giudizio che creiamo quotidianamente nell’incontro estetico col ‘diverso’ e anche nell’incontro con ‘l’uguale’. Non noto se una tipa è stata ieri dal parrucchiere. Anche per questo sono un disastro con le donne. Ancora meno faccio caso all’abbigliamento femminile.

Orrore provai quando, per la prima volta in Cina, le mie colleghe di studio italiane esprimevano giudizi sul modo di vestire delle studentesse cinesi. Così diverso (Deo gratias!) ma così, ai loro occhi, poco femminile, poco sensuale, insipido, da sfigate. Ora, vero che solo le italiane al mondo sanno come vestirsi (nate e cresciute sulle passerelle dell’alta moda milanese, mica cazzi) ma trovavo quasi "razzista" ed "imperialista" per non dire "da borghesuccie piccole piccole" i loro commenti. Peggio ancora mi sentii quando due studenti stranieri (un sudamericano ed un africano che si atteggiavano ad americani yeah) pensavano di metter su un club nell’università per insegnare agli studenti cinesi come atteggiarsi e cosa vestire per essere fighi come gli occidentali. Sì, lo so, da vomitare. Eppure qualcuno l’ha fatto. E c’è anche riuscito.

Ecco.

Poi uno cresce, anche non volendo. E alla quasi vigilia dei mi trent’anni devo dire che anche io comincio a prestare attenzione all’abbigliamento femminile. E lo dico con rancore. Hanno vinto loro, borghesi del cazzo. Bisogna anche saper ammettere le proprie sconfitte. Se proprio devo dire la mia sul vestirsi femminile cinese, allora vi dico che in effetti qualche ‘progresso’ (mi perdonino) l’hanno fatto. In particolare, nel mio dipartimento ci sono due colleghe cinesi che vestono da fare invidia alla più grande maestra di moda italiana. Le guardo con ammirazione, dico davvero. Principesse del buon gusto. Delle gran fighe (per come si vestono, non per altro), se mi permettete il francesismo.

Quasi quasi due giri di ruota con le cinesi in questione me lo farei. Io ho a disposizione un set di jeans, maglioni, camicie e magliette che mi permettono di aver un abbinamento diverso settimanalmente. Cioè, il lunedì la giostra ricomincia, non ho altro da offrire a livello estetico. Ed invece le due donne cinesi in questione non le ho mai viste con lo stesso vestito. Sempre qualcosa di diverso. E ottima scelta dei colori. Campionesse dell’abbigliamento femminile.

Ma poi mi sono fermato a pensarci per due secondi… Pensa a starci insieme, con una tipa così. Al di là dello spreco di denaro (che, per chi lavora, significa ore di fatica remunerate in soldi) pensa solo allo spreco di tempo che passeresti ad aspettarle: per conciarti così significa che passi ore al bagno, di fronte ad uno specchio. E tu lì fuori che aspetti una che aspetta di fronte allo specchio. Dio, preferisco fare il monaco di clausura cazzo! Quanto tempo sprecato di fronte ad uno specchio, al bagno, in camera da letto, al mercato, al negozio d’abbigliamento.

Belle da vedere, le regine del buon gusto. Da accompagnare un po’ meno. Preferisco un collare borchiato ed essere trattato come un cane.

Questione di gusti, penserete voi.
Questione di gusti, penso anche io.

Diario di un prof: due prof nella mensa studenti.


Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.

Diario di un prof: i fondi per l’università.

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Il bello di fare il docente universitario a 29 anni sta tutto nel fatto che impari quotidianamente un sacco di cose. Ad esempio impari che le università al giorno d’oggi sono vere e proprie aziende. E ragionano come aziende anche e soprattutto in termini di entrate ed uscite. Gli studenti sono entrare economiche da reclutare. Quando si decide che tipo di materiali e saggi accademici comprare lo si fa in base alle richieste di mercato. “Reasonable” lo chiamano qui nel mondo anglo-sasso-gaelico, ovvero i motivi per fare un investimento, le sue ragioni pratiche, le evidenti richieste di mercato.

Inutile dire quanto mi disgusti tutto questo. Però non sapete quanto sia divertente e surreale ascoltare anziani luminari ed accademici docenti di filosofia o di storia delle religioni mesopotamiche discutere di questioni finanziare. Fanno quasi tenerezza. Si vede che non è mestiere per noi. Un’umiliazione, dovuta per salvare le casse della facoltà, e con esse la facoltà stessa.

Per fortuna noi abbiamo la mitica F. H., che oltre alle palle ha anche un sacco di contatti in Cina. E di soldi non dobbiamo preoccuparci.
C’era una volta il paese della cuccagna. Oggi si chiama “paese di mezzo”.

Napoli, arte e la Cina




I linguaggi della contemporaneità. Edizione 2012.

"Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?"

Calligrafia, musica, letteratura, cinema, foto, video-clip, cibo e cultura pop

PAN (Palazzo delle Arti Napoli) via dei Mille 60, 6-12 febbraio 2012

www.milleunacina.it

“Creda agli storici quanto vuole, i più scrivono da una prospettiva presente, dimenticando il contesto”




“Signora Goldman, lei è anarchica?”
“Io rifiuto di rispondere”
“Lei nega di essere un’anarchica?”
“Ho già detto che non rispondo”
“Lei persegue il rovesciamento violento del governo degli Stati Uniti?”
“Io rifiuto di rispondere”
“Lei sostiene l’assassinio di funzionari pubblici?”
“Io rifiuto di rispondere”
“Questa straniera si è rifiutata di rispondere a tutte le domande riguardanti le accuse contenute nel mandato, nonostante abbia avuto piena possibilità di farlo. Io propongo la deportazione.”

New York, qualche anno dopo la Grande Guerra. Emma Goldman interrogata in tribunale da un ufficiale americano.


Dal film “J. Edgar” (2011), di Clint Eastwood.

Wednesday, February 08, 2012

Sul perché odio vestirmi, sul perché odio mangiare.

Non odio l’azione in sé, anzi, mangiare è davvero una delle poche grazie di questo gran casino chiamato “vita”. Odio tutto ciò che ne consegue, al punto tale che, potendo, sceglierei di non vestirmi, di non mangiare.

“Scegliere”. Che bella parola. Tanto cara ai miei amici difensori del pensiero liberale americano, quelli che parlano sempre di “freedom” e “democracy”. E che se poi chiedi loro il significato di libertà o democrazia ti rispondo con occhi stralunati “choice!”, cioè “scelta”, ovvio, la libertà di scegliere! Poverini.

Odio vestirmi perché nello scegliere che vestito mettermi ho già buttato nel cesso i due terzi della mia libertà. Siamo sempre e fottutamente (scontato aggiungere “ovunque”) schiavi del giudizio altrui. A me del giudizio in sé non importa molto, non mi crea problemi. Ho sempre voluto fregarmene del giudizio altrui: che gli altri pensino e che io me ne sbatta. Il problema è ciò che dal giudizio consegue: essere inscatolati in categoria prefissate, essere schedati, inchiodati, bollati. In ogni caso, al di là della moda che scegli o non scegli di seguire. Che tu ti vesta spendendo 1000 euro al giorno nei negozi di Gucci o Prada, che ti vesta con ciò che vendono al mercato rionale o con le tamarrate che vendono i clandestini in strada, che tu ti vesta come i punk negli anni settanta o i freakkettoni degli anni sessanta, che tu ti vesta come capiti o come tua mamma ti dice di vestire, che tu ti vesta come un borghese dell’ottocento o come una puttana sadomaso… un vestito equivale ad un giudizio. O a molteplici. La cosa peggiore è che non vestirsi non costituisce una soluzione al problema: se vai in giro nudo ti schederanno come nudista, esibizionista, malato di mente, persona con dei seri problemi, svergognato, immorale, bestia, chiamate la neuro e chiudetelo in un manicomio.

E lo stesso accade col cibo. Quanto mangi, cosa, come, dove e perché. Questo crea giudizi. E i giudizi creano discriminazione. Determina (è questo forse di cui non ci rendiamo conto) il tuo futuro professionale, sentimentale, sessuale, politico, sociale. Gli altri hanno già deciso. Deciso sulla base di cosa indossi e cosa mangi. Per questo odio vestirmi, per questo odio mangiare.

Inutile dirlo, non andrai mai bene. In me tutto questo provoca disgusto e rabbia. Perché non sono e non voglio essere ciò che vesto, non sono e non voglio essere ciò che mangio. Meno ancora tollero che siano gli altri a dirmi cosa vestire o cosa mangiare. Ma così è, comunque e purtroppo.

Hong Kong xenophobic song against mainland Chinese people...

蝗蟲天下 Locust World

http://www.youtube.com/watch?v=ueNr7mfFZu8&feature=watch_response


Hong Kongers Sing “Locust World” Harassing Mainland Tourists

Source:
http://www.chinasmack.com/2012/stories/hong-kongers-sing-locust-world-harassing-mainland-tourists.html


"香港现在街头遇到大陆人就唱(蝗虫天下),尤其是针对那些买包包和化妆品的游人,已经构成骚扰。建议同学们这几个月别去香港购物,只要坚持3个月,他们肯定会求"蝗虫"归来,让这些破坏关系者们知道"蝗虫"的重要性。"

来源:
http://www.weibo.com/1579374962/y3xjBD6wT

Diario di un prof: ricevimento studenti.

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


“Ciao Daniele. Ti scrivo questa e-mail per sapere quando fai il ricevimento studenti. Sulla bacheca non c’è scritto. Grazie”. Uno dei tanti studenti.
Sulla bacheca non c’è scritto perché all’inizio non sapevo come si dicesse in inglese “ricevimento studenti”. Beh, rimediamo subito: a che ora ricevo gli studenti? Io sono in ufficio dal lunedì alla domenica, dalle nove alle nove. Sabato e domenica esco prima. Oh, no, io vorrei lavorare, è solo che chiudono la facoltà alle cinque di pomeriggio nel weekend. Come? Quando sono in ufficio di preciso? Tolte le ore di lezione che trovate in bacheca diciamo pure che sono sempre in ufficio. Ah, certo, salvo durante i pasti. Il mio concetto di “pausa pasto” equivale alla congiunzione delle due seguenti condizioni: 1) se la mensa è aperta 2) se ne ho voglia. Sì, è un po’ come giocare al lotto. O alla schedina. Se la Maceratese gioca in casa è 1 fisso.

“Prof, ha mai pensato di scrivere un libro?”
“No, ma scrivo spesso di pensare un libro”.

Beccato coi calzoni calati, sangue, bigiotteria, il barista sulla statale, l’arista di maiale. Arrosto. Simon, Garfunkel e Anton Cechov. Bob Witz è un altro di quei giovani artisti da tenere sott’occhio. Ma ha 78 anni. Appunto.

Diario di un prof: il consiglio dei docenti.

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Il giovedì alle 11 di mattina. Alle 12 ho lezione con gli studenti dell’ultimo anno. Con quelli si scherza poco. Arrivo al consiglio dei docenti sempre con l’ansia. La consapevolezza di essere indietro con la preparazione della lezione dell’ora dopo: non sto mai tranquillo, al consiglio dei docenti. Si inizia con svizzera puntualità. Due volte su tre siamo solo docenti di Chinese Studies, assenti i quattro gatti di studi orientali. In altre parole, tolto me sono tutti cinesi. Beh, almeno non dimentico quel poco di cinese imparato in Cina.
Il consiglio dei docenti è come un meeting di lavoro in azienda. Serietà e relazioni di potere. Per fortuna come preside del dipartimento noi abbiamo una donna con i così detti… se la barca ha il timone e la rivoluzione ha Mao, noi abbiamo la preside F. H.
Di solito in mezz’ora discutiamo tutti gli ordini del giorno. Ognuno prende i suoi appunti e diventa operativo al termine della riunione. Terminata la riunione scambio allegro di sorrisi d’intesa. Tutti al lavoro, fino al prossimo aggiornamento, tra una settimana.
La più giovane tra gli insegnanti ha un anno meno di me. La meno giovane è la preside, che avrà al massimo vent’anni più di me. Siamo attivi, al consiglio dei docenti. E dinamici. Come siamo professionali, al consiglio dei docenti!

Tuesday, February 07, 2012

Il segreto di Pulcinella




Carlo Tresca (1879-1943), anarchico, sindacalista, scrittore, giornalista, rivoluzionario, antifascista e nemico della mafia.


Photo credit:
revolutionbythebook.akpress.org

LSD without permission...

“I believe that my father has been unequally blamed for my failures. But surely, if he had given me the six-year old homosexual 'blow job' oral stimulation that I was entitled to, like most other people get, I would never had taken LSD without his permission.”

Herbert Mullin, schizophrenic serial killer

Pessima notizia...




btjunkie.org

Grazie.

Westerners who live and work in the PRC: how not to talk about China

"It is increasingly clear that China is the most powerful, mature and internationally accepted fascist state in global history and its status as such should cause us all a great deal of concern."


Source:

"Chinese Fascism's Global Consequences", by Roland Farris (pseudonym)

Diario di un prof: il buongiorno del collega

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


“Buongiorno Daniele… hai una cera! Che hai fatto ieri sera?”
“Ci siamo ubriacati per pub con un amico, finiti a ballare con due signore che avevano quarant’anni per gamba”
“C’è una parola in inglese per le donne mature che vanno a rimorchiare i ventenni”
“Milf?”
“No, ‘cougar’”
“E c’è una parola per ventenni che vanno a rimorchiare donne mature?”
“Sì, ‘perdenti’!”

Diario di un prof: quando l’università si trasforma in asilo nido

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di una università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Troppo preso dal lavoro per capirci qualcosa, questa è la tradizionale settimana del R&G (“raise and give”, raccogliere e donare), ovvero sette giorni in cui gli studenti organizzano feste ed eventi col fine di raccogliere fondi (anche se non ho ben capito per chi o per cosa).
Detta così sembra anche carina la cosa, tradotto in irlandese post moderno significa che per sette giorni il campus si trasforma in un asilo nido. Feste a non finire, promozioni, giochi, eventi artistici e commerciali, musica a tutto spiano, bancarelle, cani, gare e, ovviamente, fiumi di alcool. Ieri sera ho visto dei ragazzi sbronzi prendersi a botte all’interno del campus alle 8 di sera. Stamane matricole rincorrersi esattamente come alla scuola materna. Era solo l’ora di pranzo. Sempre oggi, di ritorno dalla mensa, due studentesse che frequentano uno dei miei corsi cercano di coinvolgermi in una di queste attività: una gara a due su una specie di pallone di gomma. Chi vince si becca delle caramelle, per poi lasciare qualche moneta in beneficenza. “Dai Daniele, ti fai una corsa e poi lasci 20 centesimi o quello che vuoi”. Piuttosto ti lascio due euro se mi eviti l’umiliazione di vedermi su quel pallone di gomma.
Attesissimo è il flash-mob, una sorta di happening sociale dove un gruppo di persone organizzate fanno partire un ballo collettivo in mezzo ad una piazza o via della città. In questo caso, gli studenti faranno partire il flash-mob nell’ora di punta, al centro del campus. Qui il video del flash-mob dell’anno scorso:

UCC Flashmob

Ora lo so, definitivamente: fare lo studente è meglio.

China Files sulla tele colombiana...

http://www.noticiascaracol.com/noticieros/emisiones/20120206/emision256813-6-de-febrero-de-2012-630-am

Noticias II, minuto 7:30, parlano di China Files in uno dei principali telegiornali colombiani. Yu-hu!

p.s. Non guardatevi il resto delle notizie se non volete rovinarvi la giornata...

Monday, February 06, 2012

Yang Chun. Artista, prostituta, amica.




Ho conosciuto Yang Chun ai tre giorni di forum internazionale sulla sessualità organizzata alla Renmin University di Pechino dal prof. Pan Suiming e dai suoi collaboratori dell'Istituto di sessualità e genere.
Al termine della conferenza, Yang Chun mi invita alla sua camera d'albergo, non lontano dall'università. Quando busso alla sua porta è ancora in vestaglia, uscita dalla vasca da bagno da non molto. Rovescia il contenuto della sua borsetta rossa sul tavolo alla ricerca di non so bene cosa, ne escono fuori tre telefoni cellulari, due scatole di preservativi ed un vibratore. Mi invita poi a sedermi con lei sul letto. Pur con un certo imbarazzo, comincio la mia intervista.
Ha trentuno anni e viene da Nanning, una metropoli di due milioni e mezzo di abitanti, nella provincia del Guangxi, Cina meridionale. Di mestiere fa la prostituta.
L'industria del sesso in Cina negli ultimi anni ha visto uno sviluppo da vero boom economico. Un mondo che coinvolge uomini d'affari, politici, organizzazioni criminali, polizia, star, gente comune e loro: le (e gli) operatrici del sesso.


Una prostituta in accademia

“Ma se racconto che mi pagano per mangiare gli escrementi degli altri o per fare sesso con gli animali poi ti fanno pubblicare questa roba in Italia?” mi chiede prima ancora di cominciare l'intervista. Ha una concezione decisamente idealizzata del “mondo occidentale”, una terra dove tutto è permesso e la prostituzione socialmente accettata e rispettata. L'esatto contrario della Cina, dove la gente è ancora estremamente tradizionalista e conservatrice. “Ho un carattere molto aperto, e ho sempre pensato che all'estero esistano molte persone come me. Qui in Cina mi sento spesso sola, incompresa. La gente è troppo all'antica. E quando dico loro che non ho un fidanzato nessuno mi crede. Una ragazza così aperta di mente deve avere un fidanzato, secondo loro”.
Comincia raccontandomi di come è arrivata a Pechino per partecipare ad una conferenza internazionale sugli studi di sessualità. E chiedendomi “Che reazioni hanno avuto oggi i presenti in sala alla mia lettura? Mi sembravano abbastanza disgustati”. Qualcuno indubbiamente. Ricordo uno tra i presenti aver chiesto “Vorrei sapere dalla prostituta Yang Chun quali sono le sue misure”. Ma torniamo ai motivi della sua presenza oggi al forum: “Intorno ai vent'anni ho cominciato ad avere una vita mia. Cambiavo molti lavori, non sapevo cosa mi piacesse di preciso ma guadagnavo abbastanza per potermi pagare un affitto, dei vestiti e dei libri. C'è un libro che ha avuto molta influenza su di me, si chiama 'The Hite Report' e tratta di sessualità. Ha svegliato in me un grande interesse per la sessualità femminile. Quando parla di donne, di sessualità, di orgasmo femminile, di come rapportarsi con gli uomini, ecc... ho scoperto che era esattamente quello che io avevo sperimentato in vita mia. Ho cominciato a discutere via internet con altre ragazze cinesi della nostra vita sessuale, molte delle cose di cui parlavamo erano come quelle descritte nel libro. Da lì ho iniziato a fare ricerca sull'orgasmo femminile. Perché a ventuno anni avevo un fidanzato che non voleva fare sesso, io lo forzavo ad avere relazioni sessuali con me. Poi ho cambiato fidanzato, molto più bravo a letto, ma neanche con lui riuscivo a raggiungere l'orgasmo. Mi sono chiesta il perché. Ho pensato fosse colpa mia, così ho cominciato a studiare e fare ricerca tramite internet sulla sessualità. Ed è così che ho conosciuto anche studiosi come Li Yinhe e Pan Suiming, tre o quattro anni fa. A quel tempo, non avevo mai partecipato a delle conferenze di questo tipo. Ma ho capito sin da subito che loro non parlavano di sessualità vissuta in prima persona, ma solo di studi universitari sul tema. Tantomeno invitavano prostitute a raccontare la loro esperienza, non invitavano omosessuali o gente che dicesse 'Mi piace prenderlo in culo'. Perché è così? Pensavo di avere trovato la mia dimensione, un gruppo di persone libere, simili a me. Così mi sono presentata come ricercatrice nel campo dell'orgasmo femminile, sottolineando di avere molta esperienza personale e di essere disposta a parlarne in pubblico. E ho partecipato con loro alla mia prima conferenza intitolata 'Sessuologi cinesi nel mondo', a Shenzhen. Durante la mia lettura chiesi ai presenti quanti sono in grado di far godere una donna col solo utilizzo di cinque dita. Quasi nessuno alzò la mano. Da allora tutti quegli studiosi di sessualità si ricordano di me”.
Yang Chun da anni fa ricerca indipendente sull'orgasmo femminile e pensa che le conferenze accademiche internazionali, come quella appena passata, siano l'occasione migliore per condividere le sue esperienze con un pubblico più “maturo” e meno convenzionale. “La presentazione di oggi l'ho preparata la scorsa notte. Tutta la notte, non ho dormito neanche un po'. Inizialmente volevo parlare della mia storia, di quello che avevo presentato nella brochure della conferenza. Ma poi di fronte a tanti esperti di sessualità, studenti e operatori del sesso, ho deciso di cambiare tema e parlare di qualcosa di più originale: la coprofagia. Anche perché il mio obiettivo è quello di essere diversa dagli altri, mostrarmi, mostrare qualcosa di originale, che la gente sia attratta dalla mia diversità e che mi guardi. Voglio mostrarmi ed essere osservata. Osservata mentre mangio feci altrui o faccio sesso con gli animali”.
Uno dei sogni nel cassetto è proprio quello di comunicare alla popolazione rosa come sapersi divertire col proprio corpo. E al tempo stesso insegnare agli uomini come dare soddisfazione sessuale a letto. “Vorrei scrivere un libro dove racconto della mia vita e delle mie esperienze. Perché in vita mia ho avuto moltissime esperienze e fatto tantissime cose, alcune negative, altre che sono andate a buon fine. Spero che la gente venga influenzata leggendo le mie storie. Per esempio se una ragazza legge le mie cose e pensa 'Ah, che bella vita!', invidiandomi perché lei non riesce a raggiungere l'orgasmo, io mi auguro che dai miei racconti impari anche lei come provare piacere col suo corpo. Ma spero anche che la cosa sia reciproca, vorrei creare dibattito, condividendo le esperienze e imparando anche dagli altri”.
Non faccio fatica a pensare che una ragazza come Yang Chun si senta abbastanza incompresa ed isolata in una piccola realtà come quella della metropoli dove vive: “Non mi piace Nanning. La gente laggiù è troppo conservatrice. Anche nel bar più moderno, frequentato da stranieri, quando mi vedono entrare dicono 'è arrivata la pazza!'. A volte anche i miei amici si sentono a disagio con me. La mia ex fidanzata non sopportava di vedermi in giro col culo di fuori. Io capisco che sia normale per la gente trovarmi bizzarra, ma questa è la mia natura. Non posso farci niente”. Di sicuro una persona tutta d'un pezzo, che sa far valere i suoi diritti, almeno quando mi racconta che “spesso non mi lasciano entrare in alcuni locali. Una volta il proprietario di un bar mi ha detto di andarmene e tornarmene con un vestito decente. Ho scritto un post nel mio blog, spiegando l'accaduto e sputtanandoli. Pochi giorni dopo il proprietario mi ha telefonato per scusarsi e per invitarmi al suo bar”.
Non ha mai avuto clienti occidentali, ma amanti stranieri sì. Trovandosi però a volte incomoda anche loro: “Ad esempio, ho un amico irlandese col quale mi vedo spesso. Sa che pratico sesso sadomaso e questo non la accetta, dice che è uno schifo. E non gli ho ancora mai raccontato della coprofagia”. Aggiunge inoltre che “c'è differenza tra amanti cinesi e stranieri. Voi occidentali in generale avete maggiore conoscenza e libertà nel rapporto sessuale. Non vi fate problemi a chiedere posizioni particolari o a fare sesso anale. Anche se a me non piace molto. Alcuni stranieri parlano molto durante il rapporto, non capisco cosa dicono ma so riconoscere gli insulti. A me basta solo che siano soddisfatti e felici”.
Incomprensione e solitudine vengono fuori anche quando parla delle sue coetanee in Cina: “Delle ragazze cinesi penso che non abbiano personalità. E che pensino solo a trovare un ragazzo con i soldi, un buon lavoro, una casa e una macchina. Non mi piacciono questo tipo di ragazze, così non è facile per me avere delle amiche. Infatti sto valutando di trasferirmi a Pechino o Shanghai, specie dove aver conosciuto le persone presenti alla conferenza. Vorrei andarmene anche dalla Cina. Non solo per un fatto di mentalità, ma anche perché qua la rete è censurata, non puoi scrivere quello che vuoi, mostrarti come meglio desideri farlo, postare foto o video di un certo tipo”.




Carriera di una operatrice del sesso

L'intervista non è iniziata da molto che già arriva a scavare nel suo passato, nella sua infanzia: “Mia madre ha un pessimo carattere. Passa le giornate ad urlare ed insultare le persone. Mi insulta da quando sono piccola, mi dice che sono brutta e si chiede da dove sia uscita fuori. Per questo sin da bambina non ho mai avuto autostima e mi sono sempre sentita inferiore rispetto agli altri. Mi sono sempre sentita brutta, i miei compagni di classe non mi guardavano, né io avevo i soldi per comprarmi dei vestiti migliori di quelli che avevo. Mia madre non mi ha mai dato calore, mai amore. Ho vissuto con lei per vent'anni e mi sono sempre sentita sola. In casa tutti, io, mio padre, mia sorella, abbiamo più volte pensato al suicidio per la pressione che riceviamo da mia madre”.
Da quanto mi racconta, il sadomaso a pagamento per lei è un punto di arrivo, l'ultimo in ordine cronologico. “Ho imparato col tempo ad avere autostima, a piacermi. Mi piace il mio corpo, mi sento bella, mi piacciono anche le mie feci. Passo molto tempo negli internet bar da quando ho cominciato a guadagnare dei soldi. Prendevo posto nelle parti più nascoste del locale e usavo la webcam per farmi vedere da ragazzi e ragazze che casualmente incontravo in rete. Li vedevo masturbarsi e ho capito di non essere poi così brutta, di piacere, di essere desiderata. Questo è stato il mio primo passo verso l'industria del sesso. Prima del sadomaso, lavoravo in un centro massaggi. Una signora aveva affittato un locale dove io con altre ragazze facevamo massaggi ai clienti con i piedi. Guadagnavamo 6-7.000 rmb al mese (tra i 650 e i 750 euro; lo stipendio di un operaio medio è in Cina di circa 2.000 rmb al mese, n.d.a.). I clienti potevano toccare i piedi e le gambe ma non potevano fare nient'altro. Mi divertivo molto”.
È poi passata al sadomaso, una realtà del tutto nuova per lei, addirittura più piacevole e stimolante. “I clienti ti pagano per essere frustati. È divertente, guadagni divertendoti. È diverso dalla semplice prostituta. Quando facevo la prostituta ogni mese avevo dei pruriti alla vagina, non mi sentivo bene, fare la prostituta è pericoloso per la salute. Non è divertente e non stavo bene. Il sadomaso è diverso, ti diverti di più. È un'arte. Passo molto tempo a studiare e sperimentare nuove forme di sadomaso, nuovi oggetti, nuovi giocattoli, con estrema libertà, senza regole”.
Quando le chiedo una sua personale definizione di sadomaso risponde sicura “è un gioco, un modo di fare sesso, una forma d'arte. È un'esibizione, uno spettacolo, una performance con un regista e degli attori. Come nel cinema. Per questo mi reputo un'artista del sesso”. Ribadisce inoltre che “sono felice col sadomaso perché mi fa piacere vedere i clienti felici con quello che faccio. Ci divertiamo insieme, sia io che loro. Da piccola nessuna mi considerava, mi sentivo brutta e non avevo soldi per comprarmi dei bei vestititi. Mi sarebbe piaciuto avere un ragazzo, ma nessuno mi guardava. Ora è diverso, ho molti clienti, mi sento bella e mi rende felice vederli felici”. Ed usa una metafora per illustrare meglio il suo mestiere: “È come se io fossi un cuoco. Tu vieni da me perché hai fame e vuoi mangiare qualcosa di buono. Io cucino per te, ti preparo ottime pietanze, di qualità, soddisfando il tuo appetito. E so che tornerai da me. Tu sei felice e anche io lo sono. Soprattutto perché guadagno dei soldi da questa gioia reciproca”.
Si considera inoltre una ribelle. Reputa la sessualità in Cina repressa, repressa dalla tradizione confuciana da un lato, dal Partito dall'altra. Leggere alcuni classici che propongono una prospettiva radicale l'hanno spinta ad uscire fuori, allo scoperto: “Mi piacciono i racconti del marchese de Sade e la regista francese Catherine Breillat. Quello di cui lei parla nei film è quello che ho sperimentato nella mia vita. E mi identifico con i suoi film. Sono contenta di questo, significa che qualcuno comprende quello che provo e il mio modo di vivere”. Segreti con nessuno, insomma: “i miei genitori sanno quello che faccio. Sanno che faccio sadomaso. Pensano che io sia strana, che sia pazza. Non importa cosa pensano gli altri, la società. A me piace fare sadomaso, sono felice così. E poi sono abituata ad essere disprezzata e insultata sin da quando sono piccola, da mia madre. Guadagnare facendo felici gli altri: questo mi rende molto felice. Dopo il rapporto i clienti mi ringraziano, perché sono stati bene con me. Questo è bellissimo. Se poi per gli altri questo significa essere pazzi o malati di mente non mi interessa. Non sanno di quello che parlano, sono troppo chiusi, conservatori”.


Arte, sesso e i trucchi del mestiere

Vivendo il sesso come un piacere prima ancora che un mestiere, non ha gusti sessuali particolari, essendo i suoi clienti sia uomini che donne di età diversa. Ma mi confida che “mi piacciono di più le ragazze. Da piccola mi piacevano i ragazzi, ma loro non mi prestavano attenzione. Al momento ho una fidanzata, ma non è amore, è solo sesso. Mi piacciono le persone come me, aperte di testa, non conservatrici, che hanno un pensiero profondo e non convenzionale. Mi piace andare nei bar ed ubriacarmi. Mi piace divertirmi. L'amore invece è una perdita di tempo”. A mio avviso, i suoi racconti testimoniano una delusione e una disillusione per il concetto di amore stesso, più che un rifiuto in toto.
La sua vita professionale non si racchiude solo nei panni della prostituta sadomaso: “in realtà faccio anche altri mestieri. Per esempio do lezioni di educazione sessuale, insegno come divertirsi col proprio corpo e come migliorare la prestazione sessuale. Di solito chiedo 1.200 rmb per tre ore di lezione. Mentre parlo, lascio che lo studente mi spogli e si spogli per illustrare meglio il tutto con l'atto pratico. Quando poi tornano a casa e hanno dei dubbi o dei problemi possono contattarmi per ulteriori chiarimenti”. Yang Chun si definisce una 技女 e non una 妓女 (in cinese le due parole si leggono allo stesso modo ma hanno significati diversi): “Il secondo è il concetto tradizionale di prostituta, di donna pagata per il piacere sessuale di un uomo; ha un senso negativo, non virtuoso”. La prima parola è invece formata da 技 “abilità tecnica” e 女 “donna”, significa “donna di talento, artista”. Chiaro. Un po' forse come in Italia la differenza tra escort e puttana di strada.
Una persona che lavora come artista del sesso, non può che essere molto attenta alla sua salute e all'igiene. Tanto da confidarsi con un veterinario sui rischi di un rapporto con gli animali. Si fa delle analisi al sangue due o tre volte all'anno e va spesso all'ospedale a consigliarsi con i dottori: “I medici mi hanno detto che non dovrei praticare la coprofagia o infilarmi oggetti sporchi nell'ano. Può portare a malattie serie ed è dannoso alla salute”. Ribadisce, in questo senso, la sua autogestione e autonomia professionale: “Sono una lavoratrice indipendente. Posso trovarmi clienti ovunque io vada, me li procuro tramite internet. Soprattutto a Nanning, Pechino e Shanghai. A volte non ho tempo per tutti”. È vero. Nelle poche ore spese con lei, il telefono (i telefoni) squillava in continuazione, la maggior parte dei clienti erano di Nanning. “Guadagno più di 10.000 rmb al mese, 5-6.000 quando non ho voglia di lavorare molto”.
Fuori intervista, ho ascoltato una telefonata con un suo cliente per capire le modalità di pagamento. Quando il cliente la contatta, lei le fornisce il suo numero di acconto bancario. Il cliente dovrà versare subito 200 rmb, il resto in contanti a servizio finito. I prezzi variano da prestazione a prestazione. Ogni incontro non dura di media più di due ore. A volte poche minuti. “I 200 rmb servono a me come garanzia della sua serietà” mi spiega “e anche perché a volte i clienti hanno richieste di indumenti o oggetti particolari, che devo comprare e portare. Hai molte spese se fai questo mestiere”.


L'altro lato della medaglia. E i progetti per il futuro

“Avevo un blog e uno spazio weibo (il twitter cinese, n.d.a.), ma è stato ovviamente censurato”, dice sorridendo. “Sono famosa nel Guangxi. Mi conoscono in molti, specialmente a Nanning. Ma non credo sia una gran cosa. Il Guangxi è una piccola area della Cina, essere famosi in una parte del mondo del genere equivale a non essere famosi”. Prima di finire la nostra chiacchierata, un'ultima domanda, d'obbligo: “Hai mai incontrato clienti violenti o affrontato situazioni rischiose?”. Mi colpisce la superficialità della sua risposta, quando dice “a me queste cose non succedono. Non mi è mai capitato di avere un cliente che non mi abbia pagata, o derubata, o che abbia fatto violenza su di me. Non sono mai stata violentata. Faccio vita d'alta classe, hotel e ristoranti di lusso, taxi e karaoke, centri di estetica e shopping in negozi di marca. Io ho clienti di un certo livello, uomini ricchi, uomini d'affari, figli di alti funzionari. Mi contattano via internet e mi informo sulla loro identità. Al telefono riconosco subito un cliente serio da un truffatore o da un poliziotto”.
Mai avuto problemi con i clienti che si procaccia da sola, dunque. Eppure una volta ha avuto una brutta esperienza con la polizia: “Lavoravo come prostituta in una sauna per una compagnia. Vennero degli uomini in divisa e arrestarono tutte le ragazze. Ci hanno tenuto per diverse ore nei loro uffici. Faceva freddo, ci prendevano a schiaffi e a calci per farci confessare le nostre colpe ed infamare altre persone. Poi il giorno seguente la compagnia ha pagato una grossa somma di denaro e ci hanno rilasciate. Da quel giorno ho deciso di lavorare per conto mio”. Aggiunge inoltre “Una volta ho abortito. Faccio sempre sesso sicuro, porto sempre dei profilattici con me. Però è successo di avere dei rapporti non protetti e sono rimasta incinta. Ma non se ne parla, non voglio avere figli”.
Come aveva già sottolineato con un suo intervento durante la conferenza: “Io faccio la prostituta di mestiere. A volte i clienti sono giovani e di bell'aspetto, godo e mi diverto nel rapporto sessuale con loro; e alla fine mi chiedo se debba essere io a pagare loro e non il contrario”. Per sua stessa ammissione, però, la vita della prostituta non è tutta rose e fiori. Noia, frustrazione e solitudine non risparmiano il mestiere più antico del mondo: “ho un cliente a Nanning che ogni settimana mi chiama per vedermi. Mi divertivo con lui, ma ora non più, da tempo mi annoio. Non lo farei se non per soldi”.
Piani per il futuro? “Mi piacerebbe andare in Tailandia. So che là c'è una scuola dove ti insegnano come migliorare le tue prestazioni sessuali. E poi forse tornare a fare la prostituta. Soprattutto mi piacerebbe scrivere un libro. Un libro che racconti la mia storia, che racconti le mie esperienze e che le condivida con gli altri. Vorrei che i giovani imparino dalle mie storie come vivere meglio la propria sessualità e migliorare le proprie prestazioni a letto”.

Terminata l'intervista, l'ho ringraziata per il tempo concesso. Mi ha accompagnato alla porta e mi ha chiesto “Davvero mi piacerebbe scrivere un libro. Puoi aiutarmi a raccontare la mia storia? Io non so scrivere bene”.
Volentieri, penso. Non in cinese, però.


Anche su:

"Yang Chun, una prostituta in accademia"
http://china-files.com/it/link/14606/yang-chun-una-prostituta-in-accademia