Friday, February 10, 2012

Diario di un prof: le conferenze dei miei stivali.

Sulla falsa riga di un blog ospitato nel sito di China Files (The Leftover of the day), riporto qui a libera frequenza le mie personali e quotidiane (dis)avventure nel dipartimento di studi orientali di un’università irlandese. Questi sono i racconti delle giornate di un docente italiano di cultura e società cinese alla University College Cork.


Le conferenze. Oh sì! Cosa sarebbero le università e i centri di ricerca senza le conferenze! Niente! Sarebbero come un guscio senza la lumaca dentro. Un baco senza la seta. Un bicchiere senza del vino. Ah, le conferenze! Io adoro le conferenze. Adoro questi incontri tra studiosi di paesi e background differenti. Adoro ascoltare le loro letture e i dibattiti che ne escono fuori al termine. Adoro le conferenze.

Non tanto per le conferenze in sé, spesso noiose e prive di stimoli, ma per la gente che puoi incontrare. Pazzi falliti come te. Ti senti meno solo in questo mondo, alle conferenze. Una conferenza è andata bene quando e solo quando sei riuscito a prendere contatti con lo studioso o lo studente di turno. Quando la discussione continua oltre la conferenza, continua la sera a cena o via e-mail o al prossimo incontro.

Ecco, ultimamente sono rimasto un po' seccato dal modo di fare conferenze qui in università. Le aule che ospitano le conferenze vengono prenotate per una sola ora. Di solito danno trenta minuti all'ospite per esporre la sua lettura. Il resto del tempo va alle domande, alle risposte e agli interventi del pubblico. Succede quasi sempre però che la conferenza inizi con dieci minuti di ritardo e che il lettore si dilunghi fuori tempo prestabilito per ulteriori dieci minuti. A noi poveri spettatori non restano che pochi minuti per i commenti e i quesiti. E vedi come, tristemente, finiamo per contenderci il microfono, mentre il moderatore ti pressa per farti giungere alla domanda, poi puntualmente l'ospite si dilunga nella risposta e addio altri interventi: “Grazie a tutti, un applauso al nostro ospite e buon proseguimento”. Ma vai a cagare.

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