Tuesday, February 28, 2012

La mia sul giornalismo odierno (vietata la lettura ai giornalisti). Parte prima.

A me i giornalisti fanno pena. Al giorno d’oggi, dove tutti o quasi sono laureati e tutti sanno mettere due parole in fila anche in forma scritta, con internet, i social network e i mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione, fare il giornalista è qualcosa che possono fare tutti. Grande la domanda (la fame di notizie), enorme l’offerta (chi si mette a leggere, tradurre, rielaborare, scrivere). Temo che a breve saranno maggiori le persone che scriveranno di quelle che leggeranno. Non credo la legge del libero mercato funzioni nel campo del giornalismo, credo invece che maggiore offerta porterà a una qualità peggiore del servizio d’informazione, immettendo più immondizia nel circuito informativo (il mercato delle notizie, l’incontro tra il lettore e il giornalista).

Ma io sono cinico e pessimista, e oltretutto non capisco un cazzo né di mercato né di giornalismo. Quindi molto very probabilmente sto semplicemente scrivendo un mucchio di stronzate. Tanto per cambiare.

Cosa ti serve per fare il giornalista? Un portatile, un cellulare, la connessione ad internet e dei buoni contatti e conoscenze. Meglio se sai due parole di inglese. O francese. O cinese. Se non sai nessuna lingua al di fuori del tuo dialetto c’è sempre Google Translation. E così molti si buttano a fare il giornalista. Iniziano con un blog, poi se scrivono decentemente finiscono a collaborare con qualche testata. Per due lire, o per niente proprio. A me purtroppo molti giornalisti fanno pena: schiavi degli editori, non fanno in tempo a finire di scrivere un articolo che è già “vecchio” e verrà sostituito con una news più fresca. Impossibile stare dietro alla cronaca, il fattore tempo ed il bisogno di mercato impongono ritmi massacranti per i lettori, figuriamoci per i giornalisti. La parola “qualità” fa ridere le galline. Ci salviamo ancora nei report. Qualche volta. Ma sulla cronaca è meglio lasciar perdere.
Vedo come unica soluzione quella di fermarsi a riflettere e testare nuove forme di giornalismo o, semplicemente, specializzarlo. Viva il pluralismo, se pluralismo non significa soltanto diverso punto di vista ma anche e soprattutto diversa specializzazione. Geografica, tematica, linguistica, ma insomma diversa specializzazione. Altrimenti l’unica cosa che abbiamo è un copia-incolla-traduci peggio del giornalismo nordcoreano.

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