Thursday, May 31, 2012

ThinkIN China



POST-COLONIALISM: A CHINESE PERSPECTIVE
by Professor Dr. Lei Yi
Institute of Modern History, CASS, Chinese Academy of Social Science

June the 6th, 2012 w
Wednesday, 7.30pm

The Bridge Cafe
Rm 8, Bldg 12, Chengfu Lu
成府路五道口华清嘉园12号楼8号
bridgethinkinchina@gmail.com

twitter @ThinkIn_China
www.facebook.com/ThinkInChina

Wednesday, May 30, 2012

Malattie, dottori, ospedali, droghe legalizzate: il mio stile di vita non è materia di sua competenza.

Quando uno è malato vorrebbe solo una cosa: guarire. E tornare a vivere. Non dico al top, ma meglio che in stato di malattia.
Non stavo fisicamente male dai tempi delle costole fratturate a Pechino. Mi sono ammalato un mese fa, una strana influenza e una ancora più strana infezione agli occhi. Malessere continuo. Dopo due tre settimane di orgogliosa resistenza ho ceduto e sono andato dal dottore. Anzi, dalla dottoressa. Una bella donna, giovane. Esami del sangue (che nel mio caso andrebbero più opportunamente chiamati "esami del vino") e delle urine. E da lì sono stati solo giorni di antidolorifici e antibiotici, imbottirsi di medicine dalla mattina alla sera. Senza alcun risultato. E sale la paranoia.
“Prenda questo pasticcone una volta al giorno, queste gocce due volte al giorno e questi antidolorifici ogni volta che ne sente il bisogno”.
“Questo significa che non posso farmi qualche pinta di birra la sera con gli amici?”.
“Mezza pinta. E non troppe. Non dimentichi che il suo stile di vita è collegato al suo stato di salute”.

Non ci voleva un genio per capirlo. Invece quello che lei non capisce è che il mio stile di vita non è materia di sua competenza. Mi creda. Noi siamo gente che finisce male, cantava Guccini. Viviamo male, finiamo male. Galera od ospedale, nella migliore delle ipotesi. Sottoterra da giovani, sa, ci spaventa solo l’idea di finire settantenni tremanti lunghi su un lettino con una badante bosniaca che da giovane batteva nelle periferie di Budapest. No, grazie. Magari finire con un gesto eclatante, un colpo alla testa dove aver dato fuoco ad una chiesa o assaltato una stazione di polizia. Ci credo che il nostro stile di vita non è salutare: è una condanna a morte premeditata, una roulette russa per un solo giocatore, una partita a scacchi con dieci re e nessuna regina, un ridere amaro alla vita, il non riservare a nessuno (tanto meno ad amici immaginari che chiamate “dio”) la potestà del nostro vivere quotidiano. Non viviamo per mangiare, noi. Il nostro stile di vita è una rivoluzione senza rivoluzionari, una favola senza eroi, un fucile senza colpi in canna. E no, non è salutare.
Mi creda dottoressa. Il mio stile di vita non è materia di sua competenza.

No bosses. No bullshit.



AK Press is a worker-run, democratically-managed publisher of anarchist and radical literature. Founded in 1990, AK Press is a ten-person collective of committed anarchists, spread between Oakland, Baltimore, and Edinburgh, working hard to publish more than twenty new titles each year, and distributing thousands of other titles from like-minded publishers around the globe. No bosses. No bullshit. Great books.

http://www.akpress.org

http://revolutionbythebook.akpress.org

Tuesday, May 29, 2012

Annullare tutto

Presidente Napolitano,

le scrivo con tutta l'umiltà del caso per invitarla ad un gesto coraggioso.

Signor Presidente, una volta tanto, da vecchio comunista, lo faccia davvero un gesto di sinistra, popolare, populista se vuole: annulli subito la parata militare del 2 giugno a Roma e la visita del monarca vaticano a Milano.

Presidente, quei soldi ci servono ora più che mai: lasciando per un attimo da parte le disgrazie sociali ed economiche di questo periodo di crisi globale, lasciando da parte anche le vergogne che quotidianamente sconvolgono la politica, il calcio, la Chiesa (termino qui, la lista sarebbe lunghissima, so che lo sa), utilizziamo quei soldi (che non sono proprio spiccioli) per le vittime in Emilia. Emilia la rossa, Presidente!

Presidente, al circo ci andiamo un'altra volta, i pagliacci del Vaticano e delle forze armate possono aspettare. Vada a vedersi nel vocabolario della lingua italiana la voce "priorità".

Grazie Presidente.

Suo,

DM

Monday, May 28, 2012

'I am an academic'

"Our relatively comfortable, middle class salaries and lifestyles, our next book project, our next PhD student, our new course handbook, our impact report, our next task within the university administration and tomorrow's lecture makes us almost indifferent to what is going on around the society. Without underestimating at all the dramatic intensification of our working conditions and the fact that most academics (especially junior ones) are forced to work far more than 8 hours per day, it is also fair to say that the majority of academics  arguably managed to lock ourselves into  academic bubbles and wear our 'I am an academic' hats. We often minded our own business, while crisis-capitalist governance was attacking gradually one after the other sectors of society in Britain or elsewhere"


"Universities in a State of Exception", by Dimitris Dalakoglou

http://www.theasa.org/he_crisis_dalakoglu.shtml

Sunday, May 27, 2012

All memories are traces of tears...





“2046”, by Wong Kar-wai (2004) 

Bang bang to the establishment, fuck off to the government...


"Non trovo altra soluzione, dunque, che una fine dignitosa prima di ricorrere al setaccio della spazzatura per soddisfare i miei bisogni nutrizionali. Un giorno, credo, la gioventù senza futuro prenderà le armi e appenderà i traditori del paese a piazza Syntagma, proprio come fecero gli italiani con Mussolini nel 1945"


Lettera d'addio di un pensionato greco suicida a piazza Syntagma, Atene.

Wednesday, May 23, 2012

Un uomo schiavo muore tutti i giorni



Nell'estate del 1992 avevo 9 anni. Però ricordo che sentivo spesso quei due nomi: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma ero piccolo e non capivo. Poi uno cresce e realizza che alcune cose, alcuni fatti, alcune persone sono importanti da ricordare. Il 23 maggio del 1992 è una data importante per la storia del paese in cui sono nato e cresciuto.

Un uomo libero non può accettare quel tipo di violenza, di arroganza, di sudditanza. Un uomo libero la sua libertà può e deve provare a difenderla: la vita vale molto meno.

Insomma, è vero che se vivi da schiavo muori tutti i giorni, da libero una volta e basta.


Photo credit:
http://digilander.libero.it/inmemoria/lotta_alla_mafia.htm

Monday, May 21, 2012

Con te partirò, con te patirò...

Conoscerti è stata la cosa più figa che mi sia successa di recente. Portarmi a fare il bagno nell'oceano ghiacciato è stata la cosa più folle e romantica degli ultimi dodici mesi.

Se ti fidassi di me io ti porterebbi in tanti bellissimi posti. Luoghi da favola.

Io ti porterebbi nei posti dove la birra costa poco.
Io ti porterebbi nei bar dove gli scrittori, da scrittori, bevono senza la paura di ubriacarsi.
Io ti porterebbi dove la felicità altrui mette tristezza.
Io ti porterebbi nei posti tristi, dove la gente non sorride da un pezzo, non per moda, ma perché, a ben pensarci, non c'è molto da ridere in giro.
Io ti porterebbi dove i concerti sono punk e i giovani si picchiano per divertimento.
Io ti porterebbi a casa mia, nelle Marche, dove c'è un pericolo che si chiama Varnelli.
Io ti porterebbi in braccio, in groppa e a cavalcioni.
Io ti porterebbi ebbra a casa di sconosciuti. Per poi dormire nudi con in mano le chiavi di casa di terzi.
Io ti porterebbi dove c'è ancora speranza, dove il mare è all'orizzonte e oltre all'orizzonte c'è ancora altro orizzonte.
Io ti porterebbi su quella collinetta laggiù in fondo, tra le cagate di mucche e le mucche stesse, che sono forse la cosa più rappresentativa di questa verde Irlanda malata di Guinness.

Io ti porterebbi comunque, se solo tu ti fidassi di me. 

Il signor autogol in rovesciata sotto il sette dell'onestà intellettuale

C'è una parte del mio lavoro di docente universitario che più odio: quella del burocrate.

Abbiamo un software che "scopre" tutti i temi degli studenti scopiazzati qua e là. Insomma, ci informa per tutti i casi di plagio. Che purtroppo sono molti, moltissimi. E che purtroppo dobbiamo segnalare, punire e ri-educare.

"Mi raccomando, non copiate. Quando riprendete una frase da altri testi mettete tutto fra virgolette e aggiungete una nota alla fine. Non copiate, poi mi tocca annullarvi il tema e rischiate di essere espulsi dall'università". Evidentemente non sono credibile, visto che tanto gli studenti ci provano sempre. Specie le matricole.

E, una volta sgamati, una volta trovati con le mani nella marmellata e i pantaloni calati, mi tocca fare il poliziotto burocrate. Parte la mail di segnalazione, fredda e meccanica come un governo tecnico, dove informo lo studente di averlo colto in flagranza di reato e invitandolo nel mio ufficio per una spiegazione. E qui parte il concorso alla "scusa più divertente e originale".

"Non sapevo che questo significasse copiare". Non male.
"Ero depressa perché un mio amico si è suicidato". Mi dispiace. Ma cosa c'entra?
"Ero troppo impegnata con altri temi". E quindi hai deciso di copiare proprio per questo corso?
"Non sapevo che... che... non sapevo". La legge non ammette ignoranza.
"Vabbé, ma questo non è copiare, ho solo riportato cose generali che tutti sanno". Sì, con parole altrui da testi altrui. Senza segnalarlo. La prossima volta usa una fotocopiatrice, così risparmiamo tempo entrambi.
"Verrò espulsa dall'università? La prego non mi cacci dall'università!". Veramente io cerco di portarcela la gente, non di cacciarla via. E non sopporto vedere gli studenti in lacrime.
"Non mi annulli il tema, altrimenti non posso iscrivermi al corso di master". Ok, ma pensarci prima no!?
"Ero assente quando ha spiegato come citare le fonti". Non si preoccupi, lo imparerà quando ripeterà questo corso.

Quest'anno il premio è andato a uno studente del primo anno. Alla domanda "come spiega queste copiature non opportunamente citate?" l'accusato rispose: "Ero in Francia." Ora sì che tutto è più chiaro.

In realtà poi ci sarebbe anche un modo per non farsi sgamare dal software. Un metodo semplice e intuitivo. Ma me lo tengo per me, altrimenti sarebbe un signor autogol in rovesciata sotto il sette dell'onestà intellettuale.

Non si finisce mai di imparare, dagli studenti.

Se non mi licenziano oggi non mi licenzieranno mai. L'ottimismo è una componente fondamentale della vita.

Una castagna del genere non faceva capolino nella mia vita da libero professionista dal 1963.
Passato il risveglio, realizzi che sarebbe da non mettere il naso fuori di casa per un mese almeno. E invece il lavoro chiama e quindi eccomi rinchiuso in ufficio, in paranoia totale, aspettando che la polizia venga ad arrestarmi. Prontissimo al "Mi considero prigioniero politico!", non tanto come rivendicazione politica quanto come vile e ipocrita giustificazione per gli eventi della notte scorsa. Persino i miei calzini si vergognano di me.

Andava tutto bene, avevo tutto sotto controllo, non fosse per quella "ultima bevuta" al pub. Entrati, mi hai detto "Ordina un paio di CocaCola". Pensavo scherzassi, "Non ho mai ordinato CocaCola in vita mia: è immorale" ti ho risposto confuso, poi ho capito quando hai detto "Prendi due CocaCola: ho una bottiglia di whiskey nello zaino". Insomma, non è stata colpa mia. Ricordo di aver passato insieme molto tempo nel cesso, Coca e whiskey. E poi nient'altro. Non so cosa ci facessi stamani nel letto di casa tua, solo e con le chiavi di casa sua in mano. E un mal di testa che Bukowski mi avrebbe dedicato una laudatio funebris.

Dati i presupposti, presentarsi al lavoro è stato un atto rivoluzionario. Osare! Se non mi licenziano oggi non mi licenzieranno mai.
L'ottimismo è una componente fondamentale della vita.

Sunday, May 20, 2012

La cosa più orribile: il furto del presente nel nome del futuro.


Ho finito da leggere “Il più grande crimine” di Paolo Barnard. Ottantasei pagine, a leggerlo c’ho messo un mese e non c’ho capito niente. Se non quello che già sapevo. Le banche, il sistema monetario, la moneta nazionale, le lobby, la democrazia, il consenso popolare.

A me la cosa che più disturba di questa precarizzazione della vita, di questa sensazione di instabilità economica, sociale ed esistenziale che milioni di giovani vivono in Europa, nel mondo occidentale e altrove, non è tanto la non certezza del posto di lavoro, l’incapacità di “metter su famiglia”, di comprarsi casa, di crearsi un futuro, di avere una dignità nel lavoro e nella vita. No. Il fatto che ci hanno rubato il presente, questo non riesco a mandarlo giù.

La cosa più orribile è che si hanno tolto il presente. Facendoci vivere nel futuro. Facendoci immaginare nel futuro. Un futuro che non vedremo mai. Un futuro che non vivremo mai. Se non diverso da come l’abbiamo pensato e visto ieri. Studiare, ottenere un diploma, chiedere un mutuo per pagarsene un altro, chiedere un altro mutuo per la casa, fare domanda per borse di studio e tirocini non pagati, lavorare gratis, spendere mesi e anni di vita nell’attesa di qualcosa che non ci sarà dato. Il furto del presente nel nome del futuro. A volte non trattengo il vomito e sbotto.

Per questo, anche per questo, ricordo con piacere e apprezzo quello slogan di alcuni manifestanti in un corteo di Roma qualche mese fa:

TENETEVI IL FUTURO, CI PRENDIAMO IL PRESENTE.

Youghal, Irlanda sud-orientale: il bagno nell'oceano non si augura a nessuno...







Sanlitun is a sad mess, something worse than Saigon occupied by the yankees...




“The Deer Hunter”, by Michael Cimino (1978). 

Friday, May 18, 2012

Da un filosofo ti aspetti la barba lunga e il disprezzo per il vile denaro...

"Since we live in the paradoxical condition of both having the world and yet being part of it, we know that when we die the world will still go on, since we are only a part of the world, but in another sense the world that is there for me, behind all things I know, will be extinguished when I am no longer part of it.  Such an extinction is part of the loss we suffer when a close friend dies; it is not just that he is no longer there, but the way the world was for him has also been lost for us.  The world has lost a way of being given, one that had been built up over a lifetime."

Robert Sokolowski, "Introduction to Phenomenology"

Torniamo a studiare le tabelline

Il bar è la mia chiesa, il bicchiere il mio confessionale.
Ogni musica che tenta di cacciare via il pubblico è da me apprezzata.
Come quei ragazzi di stasera.
Però passare da arte astratta a concettuale a me sembra progresso e non il contrario.
Capotosti avrebbe annuito. E io ricordo ancora quel giorno di tanti anni fa quando ai cancelli del liceo il volantino diceva: “Rispetta la tradizione, rispetta Capotosti: sciopero!”. E scioperammo. Come pecore. Felici per un giorno. Due, considerando il post-sbronza.
Evviva il licenziamento senza giusta causa!


“Perché, lei scrive?”
“Oh sì. Peggio di un macchina da scrivere. Peggio dei parenti al tuo funerale. Peggio.”
Aoaizh Ahurmdbsh

Della dignità. E l’incontro con madama Morte.

Successe così che Piera se la trovò di fronte, madama Morte. Era un giorno come tanti, non al fronte, non in guerra. Un giorno di lavoro come tanti, un giorno di ordinaria routine, da morire dalla noia. E lei, così giovane e bella.
Donna di poche parole, madama Morte:
“È ora, andiamo!”
Minchia! Pensò Piera. Proprio così, su due piedi?!. “Ma non ci sarebbe tempo per…” balbettò.
“No. è ora! Dobbiamo andare!”.
E che cazzo! Stronza e pure arrogante! Seduta, non mosse un passo Piera.
“Cosa aspetti? Non sapevi che prima o poi tocca a tutti?”
La domanda non la colse di sopresa: “Sì… ma… non sono tanto sicura di aver fatto tutto… ho fatto tutto?”
“Non che a me interessi. E ora e basta! Perché, così ti manca?”
“Una telefonata. Solo per chiedere conferma di una cosa, una piccola cosa”.
“Figuriamoci! Una telefonata adesso! La tua ora è già passata!”.
Irata scattò in piedi Piera. E, affrontando quel vecchio e ossuto volto non troppo materno, disse a madama Morte con atteggiamento di sfida: “E andiamo allora! Sei qui per prenderti la mia vita, mica la mia dignità!”.

Come a dire che ogni tanto farebbe bene ricordarsi che la vita ce la possono prendere in tanti. Ma la nostra dignità, quella non dovrebbe portarcela via neanche la Morte.

ThinkIN China



Dear all,

We are glad to invite you to next ThinkIn China event with Prof. Wang Suolao from Peking University on the topic: "Egyptians' Islamists Foreign Policy towards China".

This time we will meet on Wednesday instead of Tuesday as usual. 

Venue:  Bridge Café,  Rm 8, Building 12, Chengfu Lu
           
Wednesday 23rd May 2012

Looking forward to see you all there!


The ThinkIn China Team
 

Thursday, May 17, 2012

Odiavo i cocktail: la scoperta del lime.

Odiato da sempre i cocktail. Roba da fighetti, da borghesi, da giovani con la cravatta e un cazzo da dire. Chiamiamoli pure pregiudizi adolescenziali. Ma a me stanno sul cazzo i cocktail e chi li beve. Noi falsi anarchici andiamo solo di vino. Rosso. Al massimo bianco. O, in quanto punk e quindi autodistruttivi, di qualcosa che faccia davvero male, tipo il whisky. O, in quanto ecologisti, andiamo di prodotti locali, quindi di birra a nord di Bolzano, di sake in Giappone o di kerosene in Cina. Noi siamo falsi anarchici, mica cazzi.

In un pub rockettaro qui a Cork vendono una birra belga dolce e squisitissima. Di solito la servono con uno spicchio di limone (come la più nota e fighetta Corona). Oppure (udite udite!) con uno spicchio di lime. È così che ho conosciuto il lime.
Il lime è una specie di limone, più piccolo, dalla buccia verde, dal sapore più concentrato. Il lime non credo sia italiano, e ancora meno irlandese. Mi sa di esotico ma è probabile che mi sbagli. Magari caraibico. Il lime mi sembra che lo mettano pure nel mojito, altra bevanda lontana dallo stile anarco-punk.

E così ho conosciuto il lime. Al supermercato lo vendono a poco. Torno a casa, una rapida lavata (non a me, al lime), una lama che divide l’uno in quattro e un lungo orgasmo steso a letto.
Ecco aggiunta un’altra dipendenza: la liquerizia, il limone… e il lime.


“Where are you going to you sleep tonight?”, si chiedeva Amy McDonald…

Wednesday, May 16, 2012

Il mafioso vestito bene. E l'abito che non fa il monaco.


‎"Riassumendo: c’è il direttore di una banca che con una valigia va a prendere i soldi da un pregiudicato, c’è un notaio che fa l’atto di costituzione per l’acquisto di un albergo, c’è un commercialista che di quest’albergo tiene dietro alla contabilità, c’è un avvocato che oltre a seguire le sue vicende legali, come è giusto che sia, si occupa anche di tutte le altre vicende. E a nessuno, nonosta...nte girino esattamente non poche migliaia di euro, viene in mente di fare un piccolo accertamento: avrebbero scoperto un boss della ndrangheta, narcotrafficante, con mandato internazionale. Poi quando muore ammazzato tutti dicono 'Ma guarda, era così ben vestito! Chi l’avrebbe detto!'. E parliamo di Bologna, un tessuto che uno immagina sano".
Io amo Milena Gabanelli e tutti i ragazzi/e di Report.

正名: la certezza della pena

Per quel che mi riguarda, ultimamente l'ossessione che vivo con maggiore passione è quell'antica pratica confuciana di chiamare le cose con "il vero nome". Una sorta di rettificazione dei nomi in chiave post-moderna.

Funziona così: si parte da un nome. Si verifica se quel nome rappresenta perfettamente una data cosa, un sentimento, una relazione, uno stato, ecc... Quasi sempre ci si accorge che non è così. E allora si cerca un nome più adatto alla cosa. Il fine è legare "nome" e "cosa" nel migliore dei modi. E' un esercizio intellettuale perfettamente inutile, roba da gente sfigata sul serio.

Veniamo a noi. Alcune persone chiamano quel freno che ti spinge a non chiamare la tipa che hai per la testa "timidezza" o "insicurezza". Perché non mi chiama?! Ma perché non la chiami tu!? Ecco...
Non è per timidezza o insicurezza. Se devo dare un giusto nome alla cosa allora scelgo "certezza della pena". Non la chiamo per la certezza della pena. Vuoi chiamarla? Vuoi uscire? Avrai un prezzo da pagare. Una pena da pagare. No, non soldi. Dei soldi mene frego e poi ora sono ricco. No. Le energie da spendere per lavarsi, prepararsi, vestire "bene", uscire "bene", essere simpatici, rimbalzare tra negozi e ristoranti e pub e le lenzuola, ecco, è tutto questo che non ho voglia di pagare. Mi fa male la testa solo a pensarci. Un sinonimo che si potrebbe usare è "pigrizia".

Chiamare le cose con il proprio nome. Che genio, Confucio! 

妇女能顶半边天吗?




Difficile vivere da donne libere nella Cina liberata.

“China From The Inside, Part 2 - Women of the Country” (2007)

Pescatori a Bahia



“Gli autori ringraziano […] e soprattutto i pescatori, ai quali il film è dedicato”.

“Barravento” (1962), di Glauber Rocha

Tuesday, May 15, 2012

Non importa dove vai: non sei mai partito.

Vero che mi innamoro statisticamente più volte al giorno. Ma era da tanto tempo che non mi capitava di pensare così intensamente a una tipa. Ho pensato a te per tutto il giorno. Seduto, in ufficio. Seduto, a riunione. In banca, mentre facevo la fila allo sportello. A mensa, sbucciando un’arancia. E adesso, steso a letto mentre mastico liquerizia.
Strana storia la tua. Da tempo una come te non incrociava la mia strada. Sarà stato il tuo sorriso? Le labbra? Gli occhi? No. Potrei dirlo di qualsiasi altra donna. Dev’essere stato qualcos’altro. Una tipa non mi baciava così da… Non lo so, da tanto.
Però è bello. Avere per la testa qualcosa di meglio della misera vita fatta di lavoro e frustrazione. Distrarsi per un po’. Restare immobili a letto con un pensiero fisso in testa. E svegliarcisi il giorno dopo, portarsi quel pensiero al lavoro, con le orecchie ovattate, indifferente al mondo esterno.
Alcuni lo chiamano amore. A me fa comodo pensare che siano soltanto le bevute del fine settimana che non ho ancora smaltito.
Ludovico Ariosto e Charles Darwin. La capacità di adattarsi per sopravvivere. Pulcinella. Florin Raducioiu. Checco Zalone. E il morto che parla.

Vado a farmi la barba, il “Bolero” di Ravel per colonna sonora.

Comparing revolutions

“Take a look at Cuba’s reforms and then compare them with China. [In China] we see iron fists breaking rice bowls, selling hospitals, forcing people to relocate; there are 200 million unemployed people, 20 million forced prostitutes, soaring prices for consumer goods; people cannot afford education, healthcare, housing, marriage, having children, retirement, and even funerary cost …”

Source: “The ‘Socialist Other’: Cuba in Chinese Ideological Debates since the 1990s”, by Yinghong Cheng

Monday, May 14, 2012

Non si finisce mai di imparare (update)

Tra le cose che le mie nuove amiche mi hanno insegnato al bar l'altra sera ne avevo dimenticate un paio.

1) In Italia non ci sono i buttafuori nei bar o nei locali piccoli. Li trovi solo nelle discoteche o nelle grandi città. Qui in Irlanda invece i pub sono davvero la prima economia del paese, al livello che danno lavoro non solo a migliaia di baristi e camerieri, ma anche ad un sacco di "bouncer", ovvero buttafuori. Ve ne sono ovunque. Figure inquietanti vestite di nero, gorilla con cuffia e auricolare. Hanno un cartellino di identificazione. Se sei visibilmente troppo ubriaco o troppo giovane (bisogna avere 18 o 21 anni per entrare in un pub) non ti fanno entrare proprio. Se crei grane all'interno del pub ti ritrovi subito un bouncer di fronte e pochi secondi dopo sarai a far compagnia al marciapiede.
Non ho avuto mai problemi con un buttafuori irlandese. Ma va da sé che li odio a priori.

2) Il segreto delle abbronzature in assenza di sole. Ebbene sì, sono davvero un coglione, un disadattato che vive su Marte. E di estetica non ne capisco davvero niente. Ne so di centri di bellezza quanto la Minetti di politica. E quindi non avevo mai intuito che...
In Irlanda di sole ve ne è davvero poco, ragion per la quale uomini e donne hanno un colore della pelle che va dal rosato-pollo al bianco-cadavere. Eppure, a ben vedere, specie durante il fine settimana, le ragazze hanno una carnagione da far invidia alle latine. Come è possibile? Mia sorella mi aveva dato una prima soluzione: "si fanno le lampade". E' una cosa da centri di bellezza, praticamente ti bruci la pelle di fronte ad una lampada così come te la bruci in spiaggia d'estate.
Ero talmente contento di questa piccola scoperta che avevo chiuso il capitolo del mistero dell'abbronzatura da fine settimana. Ed invece le mie due nuove amiche mi hanno rivelato la seconda verità: il "fake tan". Ovvero "falsa abbronzatura". Trattasi di una specie di crema (sempre cose da centro di bellezza) che le ragazze irlandesi si spargono su tutto il corpo. L'effetto è l'impressione di una abbronzatura dorata, con qualche sbavatura qua e là che ne tradisce l'uso ad un occhio esperto. Non il mio, appunto. 

Sunday, May 13, 2012

Non si finisce mai di imparare

Allora recentemente ho conosciuto due ragazze italiane molto in gamba, di ottima compagnia. Decisamente più inserite di me nel tessuto sociale di questa giovane Cork. Mi hanno insegnato cose che sanno anche i muri, ma evidentemente non io. Ora mi sento meno disadattato.

Dunque, conoscete il termine "posh"? In inglese significa "fine, signorile", ma qui viene usato nel senso di "fighetto", riferito soprattutto alle donne. Le ragazze mooolto curate, che si vestono con eleganza e tacchi alti nelle sere del fine settimana per pub e club sono esattamente "posh". A me i posh fanno cagare.

Passiamo ora alle "trollop". Pronuncia impronunciabile, in inglese letteralmente significa "sgualdrina". Qui è un termine un po' offensivo per quelle ragazzine che il fine settiama vanno in giro semi nude nei pub, scollatura massima, mini gonna, tacchi impossibili... Finisco ubriachissime a scopare per vicoli con uomini che non sanno di non conoscere. Le vedi barcollare la mattina dopo con le calze strappate, scalze, il trucco sfatto in faccia e la borsetta appesa al collo. Io pensavo che questo tipo di ragazzina si chiamasse semplicemente "irlandese", invece il termine esatto è "trollop". Mi è capitato di andare con una "sgualdrina", solo che non lo sapevo.

Dulcis in fundo, il proletariato irlandese: gli "knachers". Ne avevo già sentito parlare. Sono anche chiamati "comunità migrante" e sono esattamente gli "zingari" d'Irlanda. Carnagione chiara, catenine d'oro al collo, vivono nelle roulotte, hanno tanti figli che lasciano per la strada e crescono violenti, non vanno a scuola e fanno lavoretti saltuari tanto per pagarsi la benzina e la vodka. Vivono da emarginati e non si mischiano con la gente "bene". Gli knachers mi sono simpatici, anche se non ne ho mai conosciuto uno.



Saturday, May 12, 2012

Partire è un po' morire

Così recita un detto. Partire è un po' come morire. Sentivo oggi nell'ultima puntata di Piazza Pulita di un sito web creato da degli imprenditori mandati in rovina dallo Stato che hanno deciso di non togliersi la vita. Né di fare altri atti eclatanti, se non uno: organizzarsi e partire. Già. Un po' come i migranti italiani di fine ottocento, come quelli del primo dopoguerra, come noi giovani all'estero, chi per studio, chi per lavoro, chi per rabbia.

Partire come alternativa alla morte. Una sorta di fuga. Come i migranti africani in fuga da guerre, miserie e persecuzioni. La migrazione come speranza di vita.

Tempo fa sono stato intervistato da un ragazzo che cura un sito, un sito che raccoglie le testimonianze di giovani italiani che vivono all'estero. Sono poi stato contattato da altri giornalisti, l'ultima volta da uno che scrive per Il Fatto Quotidiano. Sinceramente non gradisco questi tentativi di intervista, perché il più delle volte la loro pre-impostazione è: "dai, dicci che l'Italia fa cagare, che l'estero è un paradiso e che in Italia ci torni solo dopo una rivoluzione". Mi dispiace, non è così. Affermare questo sarebbe una menzogna.

Credo che gli esseri umani siano un po' tutti "terroni", nel senso di "legati alla terra". Quale terra? Quella dove sono nati e cresciuti. Non tutti i paesi del mondo sono belli o ricchi, ma tutti sono cari a chi ci è nato e vissuto. Molti poi sono costretti a fuggire o semplicemente scelgono di andarsene. Questo non significa che non portino in cuor loro il ricordo e l'affetto per la terra che li ha visti crescere. Se parlate con un cinese in Italia saprete esattamente di cosa sto parlando: magari ama il Colosseo, la Roma Calcio, il caffé italiano e la pizza, ma se potesse tornare in Cina e avere una vita dignitosa partirebbe il giorno stesso.

Rappresentare gli emigrati come gente felice che fa la bella vita è una gran minchiata. Non è quasi mai vero. Certo, se emigri è per vivere meglio, quindi di sicuro sarai abbastanza soddisfatto del tuo nuovo status. Ma non è mai tutto rose e fiori. E l'idea di "tornare" prima o poi arriva sempre nella testa di un migrante. Ammesso che tu abbia un posto a cui far ritorno.

Un consiglio, posso? Quando leggete siti o giornali di italiani che vivono all'estero, sappiate che in quelle parole c'è solo una faccia della medaglia. L'altro lato non c'è scritto. E non è tanto gioioso.


p.s. I romanzi erotici sono gli unici libri che si leggono con una sola mano, diceva Baudelaire.

12 maggio: per non dimenticare

Quattro anni fa, il 12 maggio del 2008, nella provincia cinese meridionale del Sichuan un terremoto provocò la morte di circa settantamila persone, tra cui moltissimi bambini. La scossa fu talmente forte che venne avvertita anche a Pechino, cioè a migliaia di chilometri di distanza. Ricordo bene quei giorni. Il paese si fermò, cinesi e stranieri si unirono in solidarietà verso le vittime. Ovunque si organizzarono raccolte di soldi, indumenti e beni di prima necessità. Fu tutto molto commuovente.
Riporto qui sotto un post che scrissi a distanza di qualche giorno dal terribile evento:


"La Cina ha indetto tre giorni di lutto nazionale (哀悼日, cioè "giorni delle condoglianze") a partire da oggi 19 maggio. Alle 14.28 la nazione si è fermata per tre minuti al lungo e straziante suono di una sirena. Tutti e tutto fermi. Il traffico, le attività, la popolazione. Chiusi molti club e sale del divertimento, l'invito per tutti era quello di avere un atteggiamento di rispettoso silenzio, almeno per i tre minuti. Piazza Tiananmen piena di gente, immobile.
Potevamo noi studenti stranieri dell'Università del Popolo stare buoni a farci i cavoli nostri? Ovvio che no! Il piccolo grande Vikash, studente indiano, ha fatto un paio di chiamate e chiesto il permesso ad un responsabile del nostro dormitorio per "improvvisare" (non riesco a trovare termine migliore) una veglia (烛光活动) di un'ora nel prato del nostro campus. Ricominciamo in tre ragazzi il giro del dormitorio, porta porta, informando dell'attività improvvisata e decisa per le otto di sera, chiedendo un renminbi (dieci centesimi di euro) come contributo per le spese per le candele. Alle 19.35 terminiamo di raccogliere i soldi (stavolta le facce degli studenti erano un po' meno appassionate, oramai ogni volta che mi vedono nei dintorni sanno che sono lì per chiedere qualcosa per le vittime del terremoto... comunque ancora grande solidarietà), 186 renminbi, circa 19 euro. In Cina con 19 euro di candele ce ne compri. Vikash va al prato a raccogliere i partecipanti, io corro verso il supermercato dotato di candele più vicino: un chilometro. Torno tutto sudato dopo venti minuti, ho comprato tutte le candele che avevano, non riesco a credere ai miei occhi, sono venuti più di cento studenti, stranieri e cinesi. Sistemiamo alcune candele a forma di cuore e al suo interno altre candele a formare i caratteri di "Wenchuan", il nome del distretto nel Sichuan per il quale il terremoto verrà ricordato. Sono le 20.00 passate, distribuiamo le altre candele da tenere in mano, un ragazzo cinese inaugura quella che si rivelerà una cerimonia... si ammassa sempre più gente, accendiamo lentamente le candele, foto a non finire, ancora gli studenti del Dipartimento di Media e Comunicazione a fare riprese e raccogliere interviste. "Chi ha organizzato questa veglia?" si chiedono i cinesi fra di loro. Vagli a spiegare che a Vikash l'idea è venuta alle quattro di pomeriggio e abbiamo fatto tutto in meno di due ore... non importa l'organizzazione, bello vedere tanta partecipazione ad un evento semplice e spontaneo, quasi per nulla pubblicizzato. Accese tutte le candele osserviamo qualche minuto di silenzio e già noto qualche lacrima scendere in alcuni visi delle studentesse, poi un ragazzo cinese ringrazia noi stranieri per aver organizzato la veglia e invita i presenti a dire una frase per le vittime nella rispettiva lingua madre. Bella idea davvero. E' stato molto emozionante, anche io mi sono commosso, a turno e senza fretta qualcuno si faceva avanti e diceva poche parole strozzate in gola in chissà quale lingua, di sicuro alcune erano preghiere, ho riconosciuto un "padre nostro" in portoghese da parte di alcune studente dell'Angola, le mani giunte dei cristiani, le mani davanti al viso di induisti e buddhisti cinesi, tailandesi, indonesiani, vietnamiti, il segno della croce dei russi ortodossi e poi molto altro recitato ad occhi chiusi e singhiozzato, molti guardavano il cielo, molti i riferimenti teisti che tutto sommato per una volta andavano bene anche per tutti gli atei. E' stata come una grande preghiera laica e poliglotta, "tante lingue tanti colori tante religioni una famiglia" come qualcuno ha detto. Sentito soprattutto il ringraziamento (per nulla necessario ma ben apprezzato) da parte di molti cinesi, non pochi dei quali dal Sichuan. Su invito di qualcuno abbiamo fatto tre lentissimi giri intorno al grande cuore illuminato e lasciato le candele attorno ai caratteri di "Wenchuan". In ultimo ci siamo tutti seduti nel prato ad osservare in silenzio le fiamme mangiare cera fino a spegnersi. Man mano che gli studenti se ne andavano si fermavano altre persone, curiosi, cinesi di passaggio, professori, operai, studenti, bambini, anziani. Chiedevano a noi pochi studenti stranieri rimasti chi e come avesse organizzato la veglia, fermandosi qualche minuto anche loro a fissare i lumini e scattare qualche foto. Lacrime e silenzio. Dicono che sono 70.000 le vittime della sciagura. Alle ore 23.00 c'erano ancora dei lumini non del tutto spenti, sono arrivati degli studenti cinesi sui rollerblade, venivano da Piazza Tiananmen dove han detto che era pieno di gente, moltissimi stranieri e altre veglie. Hanno portato altre candele e siamo rimasti a fissarle tutti insieme fino a mezzanotte. Un amico mi ha mandato un messaggio al cellulare "Ho dato 100 euro per le vittime del Sichuan e altri 100 euro per quelle in Birmania. Non so come arrivo a fine mese, ma ora mi sento molto meglio". Grazie."

Friday, May 11, 2012

Paralleli: Stato e Mafia, Italia e Cina

Già illustri sinologi italiani hanno provato in passato ad analizzare le similitudini storiche e sociali tra i due popoli di Italia e Cina.

Tradizionalmente, al contadino cinese (ovvero al cinese per definizione), non interessa molto chi sia al potere, chi sia a comandare, chi sia insomma il sovrano. Non importa che si chiami Pino o Pina, Giorgio o Emanuele, Pu Yi o Partito Comunista Cinese. Quello che interessa al nostro amico contadino è che il sovrano governi bene, ovvero che dia al contadino la possibilità di vivere del suo lavoro, di avere di che vestire e mangiare, di avere moglie e prole. Tanto il contadino è un contadino, non sarà mai sovrano, quindi a lui interessa solo di sopravvivere, indipendentemente da chi sia il sovrano.

In questo ci vedo un parallelo con molte delle persone che vivono in Campania, Calabria o Sicilia (mi si perdoni la generalizzazione, che sa quasi di luogo comune). Al popolano medio non interessa chi sia a governare, se la legge dello Stato o quella della mafie. Non interessa neanche quale famiglia mafiosa comandi le sue zone. A lui interessa di avere di che vivere, di poter avere una famiglia e di poter mandare i figli a scuola, vivendo dignitosamente nella sua condizione di suddito. Per questo pagare il pizzo alle famiglie o le tasse allo Stato non fa molta differenza, purché il "sovrano" si comporti con benevolenza nei confronti del sottoposto. A quanto pare nel Meridione italiano la Mafia è molto più brava delle istituzioni in questo.

Un suddito sceglie (non con il voto, la democrazia non esiste) il padrone che meglio lo domina. Il potere del sovrano si basa sul rispetto che il suddito ha nei suoi confronti. E la storia ci insegna che, in Cina come in Italia, questo rispetto può terminare e decidere la venuta di un nuovo sovrano. Si chiama rivoluzione. Le rivoluzioni servono a non cambiare niente. Cioè a cambiare tutto perché nulla cambi, per dirla con Tomasi di Lampedusa.

Interessante anche notare come in cinese il termine 管理 (amministrare) significhi sia 关注 (prestare particolare attenzione a, avere cura di) ma anche 控制 (controllare, dominare). Anche in questo vedo un parallelo con alcune dinamiche sociali italiane. 

Thursday, May 10, 2012

For revolution in education



“Breaking down old ideas”, 1975.

Wednesday, May 09, 2012

Viva il Marxismo Mandrakismo!




 “La proprietà non è più un furto”, di Elio Petri (1973).

Friday, May 04, 2012

Poesia: e me 'mbriaco comme fosse vino

Ogni matina scengo a Margellina,
me guardo 'o mare, 'e vvarche e na figliola
ca stà dint'a nu chiosco: è n'acquaiola.
Se chiamma Teresina,
si e no tene vint'anne,
capille curte nire nire e riccie,
na dentatura janca comm' 'a neve,
ncuollo tene 'a salute 'e na nutriccia
e na guardata d'uocchie
ca songo ddoje saette,
sò fulmine, sò lampe, songo tuone!
E i' giuro e ce scummetto
ca si resuscitasse Pappagone,
muresse cu n' 'nfarto
guardanno sta guagliona.
Essa ha capito ca i' sò nu cliente
ca 'e ll'acqua nun me ne 'mporta proprio niente
e me l'ha ditto cu bella maniera:
"Signò, cagnate strada... cu mme sta poco 'a fà
se chiamma Geretiello... è piscatore.
Fatica dint' 'a paranza 'e don Aniello".
Ma i' niente, tuosto corro ogni matína,
me vevo ll'acqua...
e me 'mbriaco comme fosse vino.


"L'acquaiola", di Antonio De Curtis (in arte Totò)

Fino alla scomparsa dei sensi...



"Ora la donna in piedi lotta contro la taranta, immaginando di calpestarla e di ucciderla con il piede che batte la danza. Passo su passo cerca il suo equilibrio spirituale accerchiando la vertigine su curve musicali sempre più vibranti, fino alla scomparsa dei sensi"

"La taranta", un documentario di Gianfranco Mingozzi (1962), immagini dell'antropologo Ernesto De Marino e i commenti di Salvatore Quasimodo.

http://www.youtube.com/watch?v=fhqTr2ggpds&feature=related

Guerra al regno della guerra

"Guerra al regno della guerra,
morte al regno della morte;
contro il dritto del più forte,
forza amici, è giunto il dì.

Il riscatto del lavoro
dei suoi figli opra sarà:
o vivremo del lavoro
o pugnando si morrà."


Filippo Turati, "Inno dei lavoratori" (1886).

“Manco l’italiano sai parlare”



“Terraferma”, di Emanuele Crialese (2011).
Un film bellissimo. Dedicato a tutti gli amici di terra siciliana.

La Cina e gli spazi culturali

Mercoledì 9 maggio 2012
h 18:00 – 20:30
MACRO – Museo d'arte contemporanea Roma
Via Nizza 138 – 00198 Roma
Quali sono e come sono gestite le diverse tipologie di spazi culturali in Cina, e quale il ruolo degli artisti nell’autogestione della produzione artistica? Qual è il rapporto instaurato dagli artisti con lo stravolgimento dello spazio pubblico, la sovrappopolazione, e lo sfruttamento delle risorse in Cina?  Come definire il ruolo pubblico dell’artista in Cina? Cinque artisti e curatori da Beijing, Chongqing e Shanghai, intervengono per aprire un confronto tra spazi di espressione e produzione artistica in Cina ed Europa.
 
Intervengono
 
Boliang Shen, curatore e giornalista, Beijing
Ma Yongfeng, artista, Beijing
Ni Kun, curatore, Chongqing
You Mi, scrittrice e artista, Beijing
Zhou Xiaohu, artista, Shanghai
 
Modera
Lorenzo Marsili, Co-direttore di European Alternatives
 

Thursday, May 03, 2012

Il Giappone degli anni sessanta...




“Possono ubriacarsi, avere relazioni sessuali e, a volte, morire”
La narratrice, parlando dei monaci shintoisti del Giappone.

Dal docu-film “Violated Paradise” (1963) di Marion Gering, liberamente tratto dal romanzo “L'isola delle pescatrici” (1960), di Fosco Maraini.

Succede solo in Cina (forse)

Wang Hui on the dismissal of Bo Xilai

"The Chongqing experiment, launched in 2007, coincided with the global financial crisis, which made a new generation feel less confident of the benefits of free-market ideology. The policies followed in Chongqing demonstrated a move away from neoliberalism at a time when the national leadership was finding it harder to continue with its neoliberal reforms. What the Chongqing incident now offers the authorities is an opportunity to resume its neoliberal programme. Just after Bo was sacked the State Council’s Development and Research Centre held a forum in Beijing at which the most prominent neoliberals in China, including the economists Wu Jinglian and Zhang Weiying, announced their programme: privatisation of state enterprises, privatisation of land and liberalisation of the financial sector."


Source: "The Rumour Machine. Wang Hui on the dismissal of Bo Xilai"

A modern wedding with Chinese characteristics


"Like in every other aspect of Chinese society today, money is featured prominently throughout the wedding ceremony. The director of the show was a cameraman from a wedding company. I find him and his camera very intrusive. When my sister handed over her envelope to her son, the cameraman shouted: 'Stop! The envelope should be handed over to the bride.' They had to do it again. Later on during the evening ceremony, the cameraman rather rudely snatched off Kirsty’s Lady Gaga hat, complaining it obscured Kirsty’s face but that was just the style my daughter desired!"

Source: Zhang Lijia's blog
http://lijiazhang.wordpress.com/2012/05/03/a-modern-wedding-with-chinese-characteristics/ 

Tuesday, May 01, 2012

Tu sei nato qui perché qui ti ha partorito una fica

"Io vengo dalla Luna che il cielo vi attraversa, 
e trovo inopportuna la paura per una cultura diversa. 
Chi su di me riversa la sua follia perversa 
arriva al punto che quando mi vede sterza. 
Vuole mettermi sotto sto signorotto 
che si fa vanto del santo attaccato sul cruscotto, 
non ha capito che sono disposto a stare sotto, 
solamente quando fotto. 
'Torna al tuo paese, sei diverso!'
Impossibile, vengo dall'universo, 
la rotta ho perso, che vuoi che ti dica, 
tu sei nato qui perchè qui ti ha partorito una fica"




Caparezza, "Vengo dalla luna"

千と千尋の神隠し




La città incantata”, di Hayao Miyazaki (2001).

La filosofia è greca. La letteratura latina. La poesia cinese. Il teatro inglese. L’opera lirica italiana. La pittura francese. Il cinema russo.
I cartoni animati giapponesi.
E la sbornia è marchigiana. 
Buon fine primo maggio!

Quell'inspiegabile senso di nausea...

"Paris fashion, a perfect manifestation of the capitalist lifestyle, had been a taboo subject for decades in China, and its vivid display in front of the Chinese audience left them speechless. In the words of the company 'China was grey - Pierre Cardin gave it colour'"

Wu Juanjuan, "Chinese Fashion from Mao to Now", 2009

Gioco col tridente



“What time is it there?”, di Tsai Ming-Liang (2001).


E comunque i film con Lee Kang-Sheng, Lu Yi-ching e Chen Shiang-Chyi diretti da Tsai Ming-Liang sono micidiali come il tridente madrilegno Ronaldo – Benzema – Higuain di Mourinho.