Saturday, June 30, 2012

New European Research on Contemporary China Conference



Beijing, 4-6 July 2012

Once upon a time, the agitators...





"Pray for the dead and fight like hell for the living"

Mary Harris, Irish socialist and labor unionist (1837-1930).

Someway over the rainbow




“You’re running away!”
“How did you guess?”
“Professor Marvel never guesses, he knows! Now, why are you running away? No! Don’t tell me! They don’t understand you at home, they don’t appreciate you, you want to see new lands, big cities, big mountains, big oceans!”


“The Wizard of Oz” (1939), by Victor Fleming. 

Friday, June 29, 2012

EU-China relations

Dear colleagues, friends and experts on EU-China relations,

It is my pleasure to inform you about the launch of the Collaborative Research Network (CRN) on European Union-China Relations which Prof. Shen Wei from ESSCA Angers, Prof. Men Jing from College of Europe in Bruges and myself have initiated.

The EU-China research network is supported by the University Association of Contemporary European Studies (UACES) and in the next three years, we want to bring together academics and practitioners in EU-China relations at all stages of their career during conferences, workshops, in online debates etc. to promote the exchange of ideas, to encourage cutting-edge research collaborations, and to produce policy-relevant analysis of the current state of EU-China relations.
I would like to invite you to take a look at our website:


Here you can find more information about the EU-China CRN, its goals, our upcoming events etc.
If you wish to keep yourself informed about the EU-China CRN, just subscribe to our mailing list under


Please do not hesitate to forward this message to interested colleagues.
If you have any questions you can always send me an email.
Wish best wishes,

Ms Frauke Austermann, PhD candidate
Graduate School of Global Politics
Freie Universität Berlin/ Renmin University of China
Garystraße 55 / 59 Zhongguancun
14195 Berlin / 100872 Haidian, Beijing

Wednesday, June 27, 2012

Se hai qualcosa da dire dilla: l’emigrazione.

“Emigrare” sembra essere diventata una parolaccia. Una cosa di cui vergognarsi, una condanna, un bisogno, l’unica soluzione. Immorale, ovviamente.

A me dà il disgusto. La demonizzazione dell’emigrazione mi sembra una gran montatura mediatica. Dei giornali, delle televisioni,dei forum.
A me migrare e viaggiare ha sempre affascinato. Ma sin da piccolo ho notato come in Italia la parola “immigrato” sia stata sinonimo di “deliquente, poveraccio, barbone, sfigato, essere umano di serie C2”. E ora che a emigrare siamo noi trentenni italiani (che non abbiamo la pelle nera e non arriviamo disidradati su un gommone con altre mille persone) ovviamente ci sentiamo quasi in colpa, quasi a compiere un gesto illegittimo, qualcosa di cui vergognarsi, un peccato da redimere.
Andate a cagare! Non capisco proprio cosa ci sia di male. La storia dell’uomo è la storia della migrazione, si emigrava e ci si spostava prima ancora che nascesse l’uomo. Migrano gli uccelli, migrano gli animali, migrano i poveracci e migrano anche i benestanti, spiegatemi cosa ci debba essere di male?!
Certo, la mia visione è viziata, partigiana. Io dieci anni fa ho cominciato a studiare lingue e culture orientali col solo fine di avere la certezza che prima o poi me ne sarei andato dall’Italia, dall’Europa e dall’uomo bianco. Non faccio molto testo, io. Ma ora che emigrare è diventata una moda di cui vergognarsi tra i trentenni italiani, mi sembra davvero assurdo farne un dramma.

Vorrei far notare una cosa: a emigrare dall’Italia oggi sono i giovani insoddisfatti e frustrati per la loro situazione professionale in Italia. Quindi sono in gran parte giovani laureati, svegli, capaci (e delusi e disillusi). Non sono analfabeti morti di fame braccia per l’agricoltura. Non sono come i nostri bisnonni che andavano in Argentina, in Brasile o negli Stati Uniti a lavorare come manovalanza. I giovani di oggi non emigrano su un barcone con una valigia di cartone e mogli e figli sotto braccio. Non è la situazione di migliaia di disperati che fuggono da carestie, guerre e fame. Non è la fame che muove i nostri passi.
L’italiano che oggi ha deciso di prendere il primo volo per “ovunque purché lontano da casa” è una persona ben istruita, informata, con i grilli per la testa. È una persona che non si accontenta, che vuole di più, che sa più o meno come ottenerlo, che non ci mette molto a cambiare posto se non trova quello che voleva. Ha molte pretese, vuole il massimo. La migrazione non è una scelta per la vita, è un esperimento, un tentativo, una variante. Non è una condanna a morte. Provate a paragonarvi a un migrante italiano di cento anni fa: probabilmente analfabeta, puzzolente, con moglie e venti figli al seguito, zero aspettative, solo tanta speranza e San Gennaro a illuminare il cammino. Non sapeva cosa fosse l’America, non sapeva collocarla geograficamente, non sapeva quando avrebbe impiegato per arrivarci, non era sicuro di arrivarci. Non poteva lamentarsi, doveva solo accettare le cose come stavano e sperare di trovare qualcosa di meglio di quello che l’Italia offriva cento anni fa. Se arrivava in terra americana, si rimboccava le maniche e si spaccava la schiena 24 ore al giorno per dieci dollari a settimana, coi quali sfamare la moglie e i figli che nel frattempo erano diventati trenta. Se i figli piangevano botte. Se la moglie parlava botte. Siete voi capaci a paragonarvi a questa gente? Non credo proprio. Noi andiamo in aereo, partiamo con le cuffie alle orecchie, il cellulare in tasca e il computer nello zaino. Abbiamo grana in tasca sufficiente a mantenerci per qualche settimana. Vogliamo tentare la fortuna, ma se la fortuna non ci sorride scatta il dito medio e muoviamo il culo altrove. Non abbiamo ottocento figli da sfamare, non dobbiamo sempre dire “sì”, abbiamo possibilità di scelta, una pancia piena a priori. I disperati di oggi non sono italiani, i disperati arrivano in Italia su un gommone.

L’Italia ha tanti problemi e tante cose per cui vergognarci. Si fa presto a sentire il bisogno di scappare. Eppure non crediate che si viva meglio in Svezia o in Messico o in Iraq. Siamo messi male, ma abbiamo poco da invidiare alla maggior parte dei paesi. Per ogni italiano in fuga, quanti immigrati (africani, asiatici ma anche europei o nordamericani) fanno ingresso nello stivale?!
La migrazione per un trentenne italiano è dettata (come libera scelta) da tutta una serie di fattori che poco hanno a che fare con quelli dei nostri bisnonni o del profugo somalo sbarcato a Lampedusa. Curiosità, voglia di riscatto, senso di avventura, l’erba del vicino che è sempre più verde, una posizione sociale migliore, un salario migliore, il non accettare che sia “tutto qui”, l’essere “più figo” altrove di quanto tu non sia a casa tua... questi sono i fattori che muovono i giovani della mia generazione. È non una tragedia, anzi, è una libera scelta, un privilegio, chissà, forse un motivo di orgoglio. Certo, là fuori (Cina, Canada, Stati Uniti, Norvegia, Brasile, Australia, ecc...) non è che sia tutto rose e fiori, non sempre trovi quelli che speravi di trovare, e poi ti manca la mamma, la torta della nonna, gli amici al bar, il caffé espresso, la domenica allo stadio, la pizza, i paesaggi di casa tua. Che poi se non ti trovi bene puoi sempre alzare il culo e tornare “in patria” o muovere verso nuovi orizzonti. Non vedo tragedie.

Sappiamo che nel mondo di oggi certezze e stabilità non ci sono in Italia e neanche all’estero (pensate all’Argentina o all’Islanda). La certezza di un futuro e di una soddisfazione professionale è roba da anni settanta, io sono nato negli anni ottanta e da sempre per me il modello della casetta con giardino, famigliola felice e cane è stato qualcosa di vecchio, di andato, qualcosa che mi fa tremare disgustato al solo pensiero. Pensare oggi, in era di globalizzazione, di nascere, crescere, studiare, trovare lavoro, mettere su famiglia e morire nello stesso posto è utopia, follia, barbarie.
Insomma, dire quasi provocatoriamente, che la scelta della migrazione per i giovani della mia generazione è oggi una sorta di “moda borghese”, privilegiata, libera. Non fu lo stesso per gli italiani di cento anni fa o gli africani che ancora oggi arrivano sulle coste siciliane.
Smettiamola di farne una tragedia, smettiamola di dire che è una scelta obbligatoria, di pensare che sia l’unica soluzione possibile. Soprattutto smettiamola di vergognarcene o di sentirci in colpa. Tanto l’amaro in bocca resta sia che stai a casa tua che a 10.000 chilometri da essa.
Allegria.

Tuesday, June 26, 2012

Sull’importanza dello 刻板印象

Lo stereotipo. La parola cinese per stereotipo traduce letteralmente l’origine greca del termine, ovvero “immagine fissa, dura, impressa”.
Si parlava, recentemente durante una conferenza, di identità e stereotipi. Poi ieri ho letto alcuni passaggi di una tesi di sinologia e di una di antropologia. Ne ho dedotto che…
Lo stereotipo è peggio del pregiudizio. Il pregiudizio è un giudizio a priori, mentre lo stereotipo non è un giudizio, ma una sorta di “fatto creduto”. Conosciamo il mondo attraverso gli stereotipi. Una conoscenza con la C maiuscola verrà più tardi, forse. Di solito non arriva mai. Viviamo di stereotipi e basta. Ci nutriamo di essi. Ci laviamo i denti con gli stereotipi, ci facciamo l’amore, li abbandoniamo in autostrada per poi riacquistarli al primo Autogrill.
Gli stereotipi ordinano la società. Ci dicono cosa sono le cose. Ci indicano le caratteristiche e le qualità dei nomi. Danno un senso alla nostra vita. Saremmo perduti, senza stereotipi. Senza stereotipi non saprei con chi prendermela se mi rubano il motorino: è grazie agli stereotipi che so che il motorino è stato rubato da uno zingaro o da un napoletano. Senza stereotipi non sapremmo che i carabinieri sono tutti idioti e i tedeschi maniaci dell’ordine e gli irlandesi ubriaconi di periferia. Senza stereotipi non sapremmo neanche dove fare le vacanze, che marca di vestito comprare o cosa fare a Natale.
Gli stereotipi ci dimostrano che la verità non esiste, ma esistono solo le sue infinite interpretazioni e rappresentazioni. E che di solito scegliamo quella che ci fa più comodo. Gli stereotipi ci suggeriscono che preferiamo mille dolci menzogne a una amara verità.

Tucci diceva che quando andiamo a vivere e osservare “il diverso” dobbiamo prima lasciare tutto ciò che c’è di nostro alle spalle, lasciarlo all’interno dei confini nazionali, a partire dal nostro modo culturale di osservare le cose, abbandonare i nostri pregiudizi e gli stereotipi. Tucci non ci ha però anticipato che questo è molto difficile da realizzare. Anzi, quasi sempre impossibile.


“Ti dice che cosa ti costa
ti dice che cosa ti piace
prima ancora della tua risposta
ti dà un segno di pace.
E intanto due poliziotti
fanno finta di non vedere”

Francesco De Gregori, “Agnello di Dio”

Voglio partire da un’ovvia considerazione

“In altre parole, la prostituzione, proprio come il lavoro salariato, si basa sull’esistenza di rapporti sociali molto particolari. In alcuni casi tali rapporti danno alle persone una scelta secca tra la cruda povertà e la prostituzione, o tra la violenza, o anche la morte, e la prostituzione. In altri casi le alternative potrebbero estendersi fino ad includere un impiego monotono, a reddito basso, oltre alla prostituzione. Voglio partire da un’ovvia considerazione. Gli individui ricchi non sceglieranno mai di prostituirsi”

In “La prostituzione. Sesso, soldi e potere”, di Julia O’Connell Davidson, 2001.

p.s. Grazie Cecilia

Monday, June 25, 2012

A classic horror movie...



"The Texas Chain Saw Massacre" (1974), by Tobe Hooper

E non voglio crescere e andate a farvi fottere

"ho scaricato tonnellate di filmati porno
e vado in chiesa e faccio sport
prendo pastiglie che contengono paroxetina.
Io non voglio crescere
andate a farvi fottere.
Charlie fa surf, quanta roba si fa
MDMA
ma le mani chiodate da
un mondo di grandi e di preti fa skate
non abbiate pietà
una mazza da baseball
quanto bene gli fa
Alleluja
Alleluja"


Baustelle, "Charlie fa surf"

All-Ireland Hurling Semifinal: Cork vs Tipperary












Saturday, June 23, 2012

Chico Mendes (1944-1988)



“Per questo l'albero abbattuto non è caduto invano,

cresceranno foreste e una nuova idea dell'uomo.
Ma lunga sarà la strada e tanti gli alberi abbattuti,
prima che l'idea trionfi senza che nessuno muoia,
forse un giorno uomo e foresta vivranno insieme,
speriamo che quel giorno ci siano ancora.

Se quel giorno arriverà ricordati di un amico,
morto per gli indios e la foresta,
ricordati di Chico.
Se quel giorno arriverà ricordati di un amico,
morto per gli indios e la foresta,
ricordati di Chico”


Nomadi – “Ricordati di Chico”

Thank God for corruption



“Days and Nights in the Forest” (1970), by Satyajit Ray

Friday, June 22, 2012

Storiacce scozzesi



Navigavo in rete nel tentativo di trovare la differenza tra un clan scozzese e una dinastia cinese, quand'ecco imbattermi in tutta una serie di tetri personaggi della storia di Scozia. InteressOnte.

Non sapevo ad esempio che Adam Smith fosse morto a Edimburgo. Ma partiamo dalla leggenda di Sawney Bean. Pare che questo uomo, con la moglie e 48 altre persone tra figli e nipoti, abbia ucciso e divorato un migliaio di poveracci, nel lontano sedicesimo secolo:

http://en.wikipedia.org/wiki/Sawney_Bean


C'è poi la storia, più credibile forse ma non meno assurda, di Maggie Dickson, una donna condannata a morte per impiccagione nel 1724, poi risuscitata all'interno della bara che la portava al cimitero. Unico precedente è il caso di Gesù Cristo (risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture), tuttora molto dibattuto:

http://www.the-grassmarket.com/history/maggie-dickson.html


Chiudiamo infine con l'eroe popolare (bandito, secondo altre fonti) a cavallo tra il XVII e XVIII secolo, Robert MacGregor, il Robin Hood scozzese:

http://en.wikipedia.org/wiki/Robert_Roy_MacGregor 

Scottish National Gallery, Edinburgh












Edinburgh über alles
















Thursday, June 21, 2012

Sinologiche conferenze (V): quell’eterno conflitto tra studiosi occidentali e cinesi.




Avverto da tanto tempo una poco simpatica situazione che si ripropone puntualmente ogni qualvolta ci sia una conferenza sulla Cina con studiosi cinesi e occidentali.

Il problema è semplice: il tema della conferenza ha, come detto, a che vedere con la Cina (la sua società, i suoi costumi, la sua cultura, il suo sistema politico, ecc…) e quindi i cinesi presenti sono in qualche modo anch’essi oggetto di discussione. O meglio, tali si sentono la maggior parte delle volte.
Si sentono cioè spesso coinvolti emotivamente, tendono a prenderla sul personale, avvertono una critica al sistema politico cinese o dei dati pochi incoraggianti sul gap tra ricchi e poveri nel loro paese come uno sberleffo al popolo cinese in generale, e dunque anche a loro.

Fossimo al bar o allo stadio sarebbe di per se comprensibile. Ma non ti aspetti una reazione del genere da accademici pluri diplomati e non proprio in tenerissima età a una conferenza internazionale a cui partecipano studiosi da ogni parte del mondo.

Se poi ci aggiungi il proverbiale “bullismo” etnocentrico occidentale e l’eredità culturale cinese dei “100 anni di umiliazione imperialista” (1840 ca. – 1949), e ci aggiungi inoltre la vera e propria maleducata arroganza di molti studiosi occidentali allora capisci che la frittata, anche stavolta, è fatta.
Tutto questo provoca nervosismo e tensione, finisce per ostacolare la comunicazione, lo scambio di idee e la collaborazione in un campo che non dovrebbe avere risentimenti nazionalisti o sfottò da stadio.

Già, "non dovrebbe". 


“Art is already dead […] Your museum is nothing but a graveyard”
Gao Xingjian

Sinologiche conferenze (IV): il post-conferenza, mi disse una volta quel vecchio.



Mi disse una volta un anziano che nei momenti di confusione, scazzo o perdizione, può forse tornare utile fermarsi e chiedersi “Cosa avrebbe fatto quel personaggio famoso al mio posto?”. Per personaggio famoso va bene qualsiasi nome noto della storia umana, reale o immaginario, che ne so, da Giulio Cesare ai fratelli Grimm, da Polifemo a Boccaccio, da Marx a Hesse, da Minnie a Baget Bozzo.

Ieri, perso tra le strade, le cattedrali e i musei di Edimburgo mi sono fermato a riflettere nei bagni pubblici e mi sono chiesto cosa avrebbe fatto Paul Cezanne al mio posto.
Cezanne al mio posto avrebbe preso la prima nave per Tahiti. Neanche la seconda, ma proprio la prima. Ecco cosa avrebbe fatto, Cezanne.


“This Man finally hangs himself with the help of his alter-Ego”
From "扣问死亡" (“The Man who questions death”), by Gao Xingjian

Sinologiche conferenze (III): Mao, la Madonna e il Falun gong.



Tra i vari interventi, quello di un sinologo tedesco che si occupa di storia dell’arte e religione cinese. Tra le varie diapositive ve ne erano alcune che mostravano come la propaganda maoista sia stata ispirata (specie durante la rivoluzione culturale, picco estremo del culto di Mao Zedong) da immagni sacre occidentali. Il poster del 1965 che ritrae un giovane Mao con le montagne alle spalle è il ritratto più riprodotto nella storia dell’uomo (900 milioni di copie) e l’autore disse di essere stato ispirato dalle Madonne di Raffaello.

InteressOnte. E non finisce qui. Le diapositive seguenti mostravano invece come il movimento dissidente religioso cinese chiamato “Falun gong” riprenda esattamente la propaganda maoista, raffigurando il fondatore Li Hongzhi nelle stese pose trionfali del Grande Timoniere e copiando addirittura il design del “libretto rosso”.

Insomma, un po’ di fantasia nella politica cinese proprio no, eh!?

Wednesday, June 20, 2012

Sinologiche conferenze (II): l’amaro in bocca.


Sapete, c’è qualcosa poi di estremamente amaro nelle sinologiche conferenze (e nelle conferenze tutte, credo): il tempo che sfugge e la conferenza che è già finita. Sì, è una specie di metafora della vita. Un’allegoria della caducità del tutto.

Sapete, alle conferenze ci si diverte. Ci si scanna, ci si abbraccia, ci si beve un tè. Alle conferenze conosci studiosi della tua stessa età e con le tue stesse passioni. Gente interessante insomma, almeno generalmente parlando. Ci voglio bene, alle conferenze. Ma poi sembra sempre che il tempo voli, che non si riesca neanche a sentire le presentazioni dei vari colleghi, niente tempo per le domande e ancora meno per le risposte, gli studiosi che si rincorrono nella speranza di uno scambio di idee e di quattro chiacchiere, un tè buttato giù in fretta prima che cominci la nuova sessione di interventi: un’ansia continua, il tempo che fugge impietoso.

La conferenza è appena iniziata ieri mattina e oggi è già finito tutto. Vedi questi giovani accademici portare a spasso il loro bagaglio e poi prendere il primo bus per la stazione dei treni o per l’aereoporto, togliendo il disturbo senza tanto clamore, senza un saluto. Ci siamo già scambiati l’email, dopotutto. L’unica comunicazione possibile sembra proprio essere quella digitale al giorno d’oggi.

La conferenza chiude il sipario, il portiere dell’università ci invita gentilmente verso l’uscita: lui deve chiudere il portone e andarsene a casa dove la cena lo aspetta.

Mi ritiro nel primo pub che incontro lungo il marciapiede, malinconico. È questo l’amaro delle conferenze.
In Scozia la malinconia la curano con il Johnnie Walker.



“It is not a lifestyle, it is an anticapitalist movement”
Conclusione al suo intervento di una dottoranda austriaca che fa ricerca a Hong Kong, parlando del "HK Roof Farm movement".

Sinologiche conferenze (I): la donna che disegnava svastiche.


Sì, lo so, potrebbe essere il titolo di un corto di Maccio Capatonda. Invece non è un personaggio del cinema o dei fumetti. Ma una donna in carne e ossa.

Reduce da una conferenza di sinologia a Edimburgo, non ho perso l’occasione neanche stavolta di fissare per tutto il tempo studentesse e colleghe di mezza Europa. Innamorandomi perdutamente e continuamente durante entrambe le giornate. Le donne hanno l’orgasmo multiplo, io ho l’innamoramento facile e multipissimo. 

Tra tutte le donne di cui mi sono innamorato quella che più ho amato è stata la donna che disegnava svastiche. Di età indefinita (tra i 25 e i 40, più o meno), di nazionalità indefinita (ma di probabile origine indiana o pakistana, a giudicare dal nome), questa introversa e silenziosa signorina non prestava minimamente attenzione agli interventi dei colleghi sinologi, ma se ne stava fissa sul quaderno d’appunti a disegnare svastiche: amore a prima vista!

Lei era lì a disegnare svastiche su un quaderno d’appunti durante una conferenza in mezzo a una cinquantina di accademici. Mentre la vostra bisnonna era ancora nell’Iperuranio, lei era già lì a disegnare svastiche. Mentre Mosè giocava ancora con le Barbie, lei era già lì a scarabocchiare svastiche. Mentre Gagarin faceva un giro nello spazio, lei aveva già riempito la prima pagina di svastiche. Mentre Chirac bombardava Mururoa, lei era ancora non la smetteva con le svastiche.
La donna che disegnava svastiche. E l’amore a prima vista. 



p.s. per completezza d’informazione va detto che la signorina in questione non è nazista o giù di lì. Presentava infatti uno studio su ipotetiche relazioni tra il fengshui cinese e non so quale concetto della filosofia indiana antica. La svastica, si sa, prima di diventare simbolo di morte, odio e distruzione, era infatti il modo indiano di rappresentare il sole.


“Edinburgh’s Alexander Graham Bell was told by the western union that the telephone he invented was ‘an interesting novelty with no commercial use possibilities”

Friday, June 15, 2012

Cercava solo di difendersi. Da una bottiglia di Coca Cola.

Al quarto goal della Spagna i tifosi irlandesi hanno tirato fuori le bandiere e hanno cominciato a intonare non l'inno nazionale ma una canzone patriottica, di tema anticolonialista (rigorosamente in culo alla regina), una canzone non legata al calcio ma che lega gli irlandesi. Hanno cantato fino alla fine della partita e anche oltre. Le telecamere non seguivano più neanche i ventidue in campo, i tifosi iberici osservavano, come tutti e con ammirazione, il canto unito degli irlandesi. Al triplice fischio dell'arbitro erano ancora sugli spalti, con la bandiere sopra la testa a cantare di quel povero contadino irlandese beccato dai gendarmi britannici a rubare e per questo spedito ai lavori forzati in Australia. Hanno continuato a cantare a squarciagola.

Ecco, per me il calcio è questo. Il calcio non è lo stadio o i ventidue coglioni che corrono dietro alla palla per un salario da milionari. Il calcio non è il marketing e le cifre da capogiro che ci girano dietro. Il calcio non è il presidente corrotto o l'arbitro cornuto. Il calcio non è la strage di cani randagi per fare il make-up alle città quando ci sono i mondiali. Il calcio non è l'allenatore né il suo sigaro.
Il calcio è uno spettacolo: lo spettacolo dei tifosi in curva che per novanta minuti saltano e cantano a squarciagola, non per i loro undici in campo ma per lo spettacolo in sé. Il calcio senza i tifosi non esiste. I tifosi tifano per loro stessi: come un rito, come una cerimonia, come una grande sbronza collettiva.

Viva il calcio, abbasso il fetore di denaro, abbasso il re!


"E chi non canta è un figlio di puttana,
e chi non canta è un bastardo pesciarolo,
e chi non canta resti a casa,
che cazzo vieni a fare qua?!"

(Coro degli ultras della Maceratese)

Thursday, June 14, 2012

Drugs and drink in Asia: international conference in Shanghai

亚洲的毒品和酒精:历史研究的新视野

The centenary of the Hague Opium Convention in 1912 marks a hundred years of the development of international controls on commercial flows in psycho-active substances.

This conference will bring together those conducting new research on the origins and trajectory of that system in order to exchange recent conclusions and to address emerging questions. The focus will be on Asian contexts given that these were at the heart of the controversies that drove the emergence of the international drugs regulatory system.  The event marks a new period of collaboration between both Western historians and those in Asia to reassess the issues and the period.

22-24 June, Shanghai University, China

http://www.strath.ac.uk/cshhhshanghai/

Wednesday, June 13, 2012

"Mi ricordo di discorsi, belli, tondi e ragionevoli, belli, tondi e ragionevoli, mi ricordo"

Mi ricordo che nei mesi e nelle settimane prima dell'inizio degli Europei di calcio su Facebook, nei media e in tantissimi forum on-line giravano immagini terribili di cani massacrati per le strade di chissà dove, con l'esplicito invito a boicottare gli Europei. Il motivo? In Ucraina ripuliscono le strade trucidando migliaia di amici a quattro zampe.
Orrore! Su Facebook i "Mi piace" e i pollici alzati si sprecavano, tutti contro il governo ucraino, tutti contro gli Europei di calcio!

E poi cazzo in Ucraina c'è la dittatura, c'è la corruzione. Il gruppo femminista radicale Femen ci ha ben spiegato i motivi della loro protesta (bastava leggere i geroglifici pitturati sulle loro tette color latte). E hanno ancora sbattuto al gabbio l'ex primo ministro Julia Tymoshenko, una donna con la faccia d'angelo, che quando la vedi ti dici "Solo in Ucraina poteva incarcerare una santa del genere!".
Insomma, ancora non vi basta!? Boicottate gli Europei cazzo!

Con mia grande sorpresa invece (non so in Italia) qui in Irlanda le partite degli Europei sono seguitissime. Agli irlandesi del calcio non frega un cazzo, ma questi giorni vedi bandiere nazionali appese ovunque e auto girare con due tricolori (verde-bianco-arancio), uno per finestrino posteriore. Trapattoni l'idolo di grandi e piccini. Pub ancora più pieni di gente, fiumi di birra (a volte gratis, dio benedica le multinazionali della birra e quell'assurdo concetto che si chiama "promozione"!) e tifo a go go.

Il fatto è che un buon motivo per boicottare un paese che ospita un evento sportivo internazionale lo trovi sempre. Basta poco. Fare il moralista credo sia il mestiere più facile al mondo: la Bolivia maltratta i lama? Boicottiamo le Olimpiadi in Bolivia! Il Pakistan fa esperimenti sulle coppie gay? Boicottiamo i mondiali nel Pakistan! Lo stronzo che mi ha fottuto il motorino è albanese? Niente olimpiadi invernali in Albania! Berlusconi ha fatto una battuta sul colore della pelle del presidente Obama? No ai mondiali di bocce ad Arcore! E via dicendo...

Dai, mi dispiace per i cani e per le femministe, mi dispiace anche per la Tymoshenko, ma gli Europei me li guardo anche io. Lo so, sono una delusione per gli amici e le amiche animalisti e femministe (ammesso che ve ne siano ancora in giro).

Non mi sono perso neanche il calcio d'inizio di Polonia-Grecia, venerdì scorso. Ho passato la giornata in ospedale. Alle 5 di sera ero ancora seduto in sala di aspetto, in attesa delle ultime analisi del sangue e raggi X da sbrigare. I due tipi accanto a me erano polacchi e fissavano la tv. "Azz, cominciano gli Europei", ho pensato. Quando sei in ospedale sei talmente triste e depresso che peggio di così non può andarti, e anche una partita di cricket tra il Botswana e le isole Cayman può tirarti su di morale.

Questi giorni non ho perso una partita. Un modo come un altro per annoiarsi in compagnia. Stretto fra la pinta di birra e i tifosi di varia nazionalità.
Anche la pinta che stringo nella mano destra è triste e annoiata.
Mi guarda sconsolata: "E dai... portami fuori a fare due passi..."
"Sai che non puoi uscire dal pub. E poi non ne ho voglia. Sono stanco, e vecchio. Ho avuto una giornata pesante, domani sarà ancora peggio. Ho il mal di testa, la febbre, i brividi alla schiena, l'artrite alle ginocchia. Guarda la mano come trema..."
"Dai, andiamo a fare due passi, poi ti senti meglio..."
"Sssshhh! Azz, la Russia stava per farne un altro. Stai zitta un po'! E passami una sigaretta per piacere"
"No, hai smesso. E nei pub irlandesi non è consentito fumare"
"... stronza di una pinta!"

Tuesday, June 12, 2012

Mexico, Gringos and Chinese

“Even though we hate the gringos [North Americans], we wish we could be like them. It bothers us that they look down on us, so we pass this feeling on, especially to Chinese people”

Interview with a Mexican student, talking about Chinese immigrants.

Source:
“Harnessing the Dragon: Overseas Chinese Entrepreneurs in Mexico and Cuba”, by Adrian H. Hearn

Chinese criminal groups in Italy (a report from 2003)

According to Faligot, the substantial growth in power of Chinese criminal groups in Italy during the 1990s corresponds to the growth of Chinese immigration in that period. In 2000 Italian authorities estimated that 50,000 Chinese were living legally in southern Italy, compared with only 18,000 in 1990. The number of illegal residents was not known. Overall, the vast majority of Chinese in Italy are from mainland China; few are from Taiwan, Hong Kong, or Macau. The regions of Italy with the highest concentration of legal Chinese immigrants are Lombardy, Friuli Venezia Giulia, Tuscany, the Piedmont, Lazio (the province that includes Rome), and Emilia-Romagna. All except Lazio are in the northern part of Italy (north of Rome).
The Public Prosecutor’s Department in Rome identifies one large region of Italy as “dangerously open to organized foreign crime.” That area includes Rome, the wealthy northern urban centers around Turin and Milan, and Tuscany--all of which have large Chinese populations. The concentration in the north offers easy access to the borders of four countries with trafficking routes—Austria, France, Slovenia, and Croatia—as well as access to the “fiscal paradise” money-laundering bank centers in Monaco, Liechtenstein, and Switzerland. A second region, comprising the entire Adriatic (east) coast of the country, is a primary staging area for illegal immigrants arriving by sea to move northward in Italy.
According to Italy’s Anti-Mafia Investigative Department (DIA), Chinese criminal groups in Italy are small (between 12 and 50 members), differentiated by their native region, and organized under a single chief according to the traditional triad structure. There is no overarching unity among these groups. However, Chinese groups may cooperate among themselves, and they increasingly cooperate with other ethnic criminal groups in a variety of activities. The Ji Rong Lin group of Rome is an example of a multinational group with Italian ties. Under a chief who resides in Paris, the group is active in prostitution, gambling, trafficking in people, extortion, and theft in Italy, Austria, Spain, the Czech Republic, and Slovakia. In Rome, the group’s document forgery operations are especially notable, having established “a veritable underground passport factory in the Bastoncini dioro, a Roman restaurant.”
As in other European countries, one of Chinese organized crime’s major activities is trafficking in people, which increased substantially in the 1990s. As of 1995, illegal immigrants arrived in Italy by several overland and water routes. The arrival points in Italy are Rome, Brindisi, Trieste, Milan, and Sicily. Several routes pass through Eastern Europe (some combination of Romania, Hungary, Albania, the Czech Republic, and Yugoslavia), and several pass through West European countries (Austria, France, Germany, or Malta) before reaching Italy. Illegal migrants cross the Strait of Otranto from Albanian ports to the Italian port of Brindisi, from where they move north into Tuscany and Lombardy. This route requires cooperation with both Albanian and Italian criminal groups. Other migrants pass from northern China into the Maritime (Primor’ye) Territory of Russia, then to Moscow. In Moscow they buy Italian visas for US$10,000 to US$15,000 per visa, “legalizing” their entry into Italy. Local criminals in northern Italy are known to have established cooperative people-trafficking ventures with Chinese criminal groups.
In late 2002, the Italian Anti-Mafia Investigative Directorate (DIA) reported that the powerful Neapolitan Camorra mafia organization has established cooperative agreements with Chinese groups seeking to gain a foothold in the Naples market for counterfeit goods, from which Chinese might expand into other criminal activities in that region. Reportedly, Chinese groups also have an accord with the Italian mafia in Rome, by which the former engage only in illegal migrants, leaving the Italians with narcotics and arms trafficking.
Italy is home to several very active groups that fall under the general term “Black Society,” which is based in Milan and Rome and also has member groups in France, Spain, and the United States. Among the Chinese groups in Italy are two Milan groups, the Yu Hu and the Da Huang, which dominate that city’s racketeering and participate in various economic crimes. A second branch, made up of immigrants from Qingtian (Zhejiang Province), is the dominant Chinese group in Rome. The third branch, from Wenzhou (Zhejiang Province) is known for its brutal extortion of protection money from the Chinese community, which has resulted in some collaboration with the DIA.
Besides human trafficking, the second most common crime is counterfeiting documents such as residence permits, driving licenses, and passports, a craft in which criminal groups have become very expert. In the 1990s, Italian authorities also attributed substantial illegal gambling activity to Chinese groups. Chinese groups also have gained a share of the trade in counterfeit cigarettes, which Albanian groups smuggle into southern Italy. Chinese mafia groups from Fujian Province (southeastern China) are active in trafficking counterfeit designer clothing into Italy through Genoa. Such activity relies on support from the non-criminal émigré community from Fujian. The DIA also has documented Chinese participation in prostitution, kidnapping, and robbery.

Source:
TRANSNATIONAL ACTIVITIES OF CHINESE CRIME ORGANIZATIONS
A Report Prepared by the Federal Research Division, Library of Congress under an Interagency Agreement with the Crime and Narcotics Center, Directorate of Central Intelligence. April 2003

Friday, June 08, 2012

Antipatia

Uno di noi.
Presa a morsi la maglietta cominciò a ronfiare per diverse ore. Alba del mattino seguente, caffé barba e bidet, un cartellino da timbrare. Infastidito, raccolse la ventiquattrore e prese la via della metro. Incianpato al secondo gradino, ruppe l’osso del collo. Neanche il tempo di far arrivare l’ambulanza.
Morto sul serio.
Mica per finta.
Uno di noi.

Del cinema anarchico.
“La Cecilia” è un film-documentario realizzato in Brasile da una comunità di migranti italiani anarchici in tempi non sospetti. Ne consiglio la visione. E lo dico mentre mi sto cagando addosso.

Del mi sono rotto.
Sono vecchio e stanco e mi sono rotto di scrivere. Scrivere ti salva il culo. Finché ancora ne hai uno.

Di ieri sera.
Di ieri sera non ricordo niente. Non è un gran problema. Guarda su Facebook.

Del pigiama.
“Oh, ragazzi, scusate veramente se mi presento in pigiama”.
Parole di una vicina di casa. In salotto tra bottiglie di grappa e limoncello.
Mi do un’occhiata addosso. Scarpe da tennis, jeans, maglia e felpa.
Il sorriso che probabilmente la conquisterà: “Oh, non ti preoccupare. Sono in pigiama anche io”.
Non la conquistai.

Del politicamente corretto
Il politicamente corretto mi fustra. Mi allarma. Mi sgomenta. Mi angoscia. Mi disgusta.
Il politicamente corretto è il main-stream che bisticcia con se stesso.

Dell’identità sessuale.
“Piacere mi chiamo XXXa, sono lesbica”
Ecchisenefrega fu la prima cosa che rimbalzò allegramente nel mio cervello. Docente di filosofia lei, della mia stessa età probabilmente, “collega” la dovrei chiamare. Ma dai dio cane, 2012 l’anno ultimo dei Maya ancora a menarcela con l’identità sessuale?! Vecchiume! Non ho mai ciucciato un cazzo ma chi può dire che non potrei farlo? Signora filosofa, la tua fidanzata me la scoperei qui davanti a te, ma il ragazzo che ti siede di fianco sarà oggetto delle mie fantasie sessuali notturne.
Della tua identità sessuale non mi frega nulla.
E della mia neanche.

Thursday, June 07, 2012

Come leggere il giornalismo italiano che parla di Cina

Titolava oggi la versione on-line del Corriere "Cina: tintarella sospesa nel vuoto", riportando le immagini di una ragazza cinese che prende il sole da un grattacielo:

http://video.corriere.it/cina-tintarella-sospesa-vuoto/2bd9b822-afba-11e1-8359-3661d1b45fc6

Un fotomontaggio? Un tentativo di suicidio? Una pazza? Una performance artistica?
Libero on-line scrive "Cina shock, prende sole sospesa nel vuoto".

Beh, non so da dove vengano le immagini, ma se vengono da Pechino per me lo shock viene dal vedere un cielo così limpido. Io me lo ricordo grigio e puzzolente il cielo di Pechino, bruciato dallo smog cittadino.
La seconda cosa sconvolgente è vedere una cinese che prende il sole. Se per noi "latini" l'abbronzatura fa figo (per donne e per uomini) nei paesi dell'Asia orientale gli standard di bellezza sono diversi e la pelle degna di nota è quella bianca cadaverica. Di solito cinesi, giapponesi o coreani hanno paura del sole e vanno in giro con l'ombrello per proteggersi dai raggi.

Fossi stato un giornalista del Corriere o di Libero avrei titolato: "Cina shock: ragazza prende il sole".

...e al Dio degli Inglesi non credere mai



"Buffalo Bill and the Indians", by Robert Altman (1976)