Tuesday, September 18, 2012

La mia sulle Diaoyu/Senkaku e sui nazionalismi orientali

Svegliarsi la mattina, entrare in ufficio e sfogliare le news dal mondo trovando sistematicamente in prima pagina i quattro scogli del cazzo contesi tra Cina e Giappone (e una quarantina di altri Stati asiatici tra cui Mongolia, Bahrain e Afghanistan) sinceramente deprime quasi come il trucco della Minetti e della Santanchè messe insieme.

Alta la tensione tra gli occidentali che vivono in Cina: con i ristoranti giapponesi chiusi per paura di rappresaglia ora sono costretti a cibarsi al 7-Eleven. Poveracci, non dev'essere facile.

La Reuters e le altre big ci regalano immagini di manifestanti cinesi che bruciano bandiere giapponesi, scafisti del Fujian che occupano le Diaoyu, mentre il governo giapponese (uno dei paesi col più alto debito pubblico al mondo) acquista un paio di scogli da un privato. Giapponese. In barba all'amor di patria.

Ce ne è a sufficienza per un film comico di fantascienza.

Di realmente triste resta solo questo revival neo-maoista in chiave nazionalista. I cinesi sembrano non aver mai superato quei famosi "cento anni di umiliazioni" (1840 circa -1949), di cui i giapponesi sono in gran parte responsabili.
Ora, a parte il fatto che la storia la scrivono i vincitori e la distruggono i revisionisti, a parte il fatto che i cartaginesi di oggi non sono più incazzati coi romani per le guerre puniche, io vedo in questo una grandissima differenza tra (roughly) le società europee e quelle dell'estremo oriente.

In Europa, per lo meno nell'Europa della generazione che conosco io, un italiano non odia un tedesco per quello che è accaduto 60 anni fa. Neanche gli irlandesi odiano i britannici per 700 anni di colonialismo. Forse cechi, polacchi e ungheresi un po' ce l'hanno coi russi per quanto accaduto durante i freddi tempi sovietici, ma generalmente parlando il passato è passato, e il presente ha dato spazio ad un comune bisogno di pace e serenità per il futuro, dove i veri problemi sono la fine dello stato sociale e l'instabilità economica nella quale viviamo. Il capitalismo globale ha fatto il resto, mettendo in cima ai valori sociali non più le vecchie ideologie ma l'interesse privato.
I nostri coetanei asiatici invece, pur condividendo con noi questo bisogno umano di stabilità sociale e l'amore per il dio denaro, hanno ancora fortemente impostato (perché costruito sin da piccoli tramite scuola e istruzione) questo sentimento nazionalista di avversione verso altri nazioni adiacenti, in nome di vecchi rancori passati ma mai del tutto andati. Anzi. Un nazional-capitalismo che a mio avviso spaventa: Cina, Giappone, le due Coree, Taiwan, Hong Kong, Indonesia, Malesia, Singapore...

Che poi è un nazionalismo "di carta", che fa sorridere. I cinesi sono sempre pronti ad unirsi quando si parla di Giappone, ma io chiamerei i cinesi tra i popoli meno solidali tra loro per tutto ciò che riguarda il resto. Il gap tra ricchi e poveri è talmente grande che ognuno bada bene a tenersi cura del proprio orticello e a difenderlo coi denti: mors tua vita mea. Dopo tutto, non è facile convivere in un miliardo e mezzo sotto lo stesso tetto. Per non parlare poi delle discriminazioni e forme di intolleranza tra cinesi del nord e del sud, dell'est e dell'ovest, locali e migranti, urbani e campagnoli.

L'immagine di un popolo cinese unito a me ricorda l'immagine felice della Mulino Bianco.
Esatto, della Mulino Bianco. 

 

1 Comments:

At 1:05 PM, Blogger Massaccesi Daniele said...

concetto simile, ma espresso meglio, dal teorico del soft power, prof. nye:

http://stampanazionale.esteri.it/PDF/2012/2012-09-18/2012091822639540.pdf

 

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