Monday, January 07, 2013

Come sopravvivere alla snervante attesa in aeroporto



Lasciare l’Italia mi costa inesorabilmente sempre di più. Forse questo è un chiaro messaggio che la vita mi sta mandando. Prima o poi reagirò a questo non troppo velato invito.

Londra, aeroporto di Stansted, ore 12.30 di pomeriggio. Neanche il tempo di atterrare e tutto ciò che mi circonda è nebbia e pioggia. A volte mi chiedo perché mai Dio si sia scordato di aggiungere sole, luce e gioia a questo angolo del mondo.
La corrispondenza per Cork decolla alle 9 di sera. Non ho nulla da fare per le prossime otto ore e mezza. Devo inventarmi qualcosa per non morire di noia. Si può (e si deve) fare. Come? Non so. Con un po’ di esperienza e molta fantasia immagino. Basta in realtà compiere una serie di azioni in gran parte prive di senso. Ve ne snocciolo qui alcune.

- sgranocchiare i panini che tua madre ti ha infilato nello zaino prima di partire;
- uscire dall’aeroporto e fumarsi due pacchetti di sigarette morbide (sfiga ha voluto che smettessi di fumare un anno e mezzo fa);
- ubriacarsi selvaggiamente evitando di essere troppo molesto ai controlli (il mio fegato chiede pietà, la bottiglia può aspettare fino al prossimo weekend, niente alcool per ora);
- spendere tempo al bagno, eseguendo una serie di azioni più o meno utili. Tipo: fare la pipì; fare la popò; masturbarsi; lavarsi i denti; comprare un pacco di profilattici; fissarsi allo specchio e atteggiarsi a divo del cinema pensando “Andrei benissimo come controfigura di Brad Pitt”; lamentarsi con la donna delle pulizie perché la carta igienica è finita; scrivere numeri di telefono a caso col pennarello sulla porta del cesso; fischiettare lavandosi le mano con acqua calda;
- vedere film al portatile fino al decesso energetico dello stesso;
- ascoltare musica al lettore mp3 fino al decesso energetico dello stesso;
- leggere il libro che porti in borsa;
- mandare messaggi dal cellulare in forma poetica ai tuoi amici in Italia;
- telefonare a una persona alla quale vuoi davvero bene e dirle quanto le vuoi davvero bene;
- far finta di recitare litanie buddiste in lingue inventate. A occhi chiusi e voce alta, senza badare allo sconcerto dei passanti;
- uscire dall’aeroporto e fare autostop. Nel caso qualche macchina si fermi, andare con un “Where are you heading to? Ah, no… thanks anyway man!”;
- fissare il tabellone delle partenze e fantasticare di viaggi esotici e avventure esagerate;
- chiedere alle signore anziane se hanno bisogno di una mano con i bagagli;
- domandare l’ora all’omino dietro al bancone del cambio moneta;
- fermare un calabrese e chiedere cos’ha fatto oggi la Reggina;
- chiedere agli uomini in divisa con Kalashnikov in mano da che parte devo andare per il gate 17;
- fissare la gente cantando in testa tua i cori della Rata. Questa azione tenetevela come ruota di scorta, verso la fine, quando siete proprio disperati. È infatti puro masochismo. Crea una malinconia che nessun whisky irlandese può spegnere. Specie oggi che la Rata gioca in trasferta il derby con l’Ancona. Evitare in particolare il coro “Vorrei andare via di qua / ma non resisto lontano da te”;
- importunare la bellissima tipa seduta annoiata di fronte a te. Usare espressioni tipo “Ehy baby” e “You know your eyes are brighter than stars, don’t ya?”;
- avvicinare gli Italiani con fare distratto e ascoltare cos’hanno da dire, gli Italiani;
- avvicinare persone dalla dubbia origine geografica ed esordire con una “Ehy guys, excuse me… just curiosity… what’s the language you’re speaking?”;
- maledire il destino e il Ministro Fornero per non aver fatto sì che il tuo posto di lavoro fosse a meno di 30 km dal luogo di residenza.

Ore 20.30. Aprono il gate, posso finalmente salire sull’aereo che mi porterà a Cork. Ho passato abbastanza brillantemente le scorse otto ore. Non sono morto di noia e tutto sommato me la sono cavata anche bene. Ce l’abbiamo fatta.

Si poteva (e di doveva) fare. E ce l’abbiamo fatta. “Inno alla gioia”, Beethoven.

5 Comments:

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