Tuesday, June 21, 2016

15 anni fa: la nostra (im)maturità.

Quest'anno il liceo dove insegno vedrà per la prima volta dei suoi alunni di lingua cinese fare l'esame di maturità.  Quale migliore occasione per ripensare alla nostra (im)maturità, quella del luglio 2001.

Partiamo dal nome: "maturità". Fa effettivamente schifo ed era oggetto di critica già allora. Non che "esame di Stato" sia molto meglio...
Non esistevano i social, c'erano sì e no i cellulari. Io volevo fare il punk e quindi il cellulare non ce l'avevo. Però c'era già internet, quello fisso, al computer non portatile. E c'erano già siti e forum dove si conoscevano coetanei da ogni parte d'Italia, ci si scambiavano materiali, si sparavano ipotesi di temi e quesiti, insomma il luogo perfetto dove l'ansia cresceva a frotte. Allora si vociferava che di italiano sarebbe uscito il tema sulla globalizzazione: non sapevo bene cosa fosse, ma sapevo che io ero contro la globalizzazione.

Primo giorno: il tema.
Alla prova di italiano c'è poco da copiare: bisogna scrivere quello che pensi e basta. Mai interessato alla traccia di analisi testuale (analisi che?!), ricordo che uscì un testo dell'autore Pavese e ho ancora impresso in mente il commento del mio compagno di banco, fedelissimo fannullone e ottima forchetta: "La parola più vicina a 'Pavese' che conosco è 'Pavesini'". Io scelsi ovviamente il tema di attualità: la pena di morte. Scrissi quattro colonne di critica agli "Amerikani". Non andò troppo male, mi sembra di ricordare.

Secondo giorno: al liceo scientifico la prova di matematica.
Riuscii a presentarmi con un bel 5 in pagella proprio in matematica e proprio nell'ultimo anno di liceo. Non era facile, modestamente. Non fu colpa del professore, che anzi ricordo con stima. E' che negli anni avevo perso interesse e passione per la materia. La amavo alle medie, quando la matematica era fatta di problemi di calcolo ed espressioni. Ora qui si parlava di studio delle funzioni: praticamente dovevi descrivere con formule matematiche l'andamento di una linea su un foglio. Voi siete matti. E fu un miracolo arrivare con 5 in pagella. Però me la cavavo benone in informatica e statistica. Risposi ai tre o quattro quesiti che sapevo e attesi, composto e a braccia conserte, che qualcuno mi passasse almeno un paio di altri quesiti. Cosa che avvenne puntualmente. E anche la prova di matematica era andata.

Terza e ultima fatica scritta di Ercole: la terza prova.
Consisteva in quattro quesiti di materie diverse. Geografia, storia dell'arte, filosofia e inglese, se non ricordo male. Anche qui, niente di troppo complicato. Bastava essere stati attenti qualche volta a lezione e sapere giocare con le parole.

Infine c'era l'esame orale. Per me fu davvero una grande gioia. Il motivo era molto semplice: sommando i crediti del triennio ai voti delle prime tre prove scritte ero vicinissimo alla soglia dei 60 centesimi. Ovvero, ero praticamente già promosso. Per me l'obiettivo era terminare il quinto, non aveva importanza il voto. Nessun orgoglio, pura e semplice pigrizia e tanta voglia di andarmene via in viaggio.
Provate a mettervi nei panni di un 18enne che ad un esame non ha niente da perdere e solo desiderio di concludere con un paio di pacche sulle spalle e un bacio alle prof più odiate. Così, tanto per sportività e onore delle armi.

Entrai nell'aula d'esame con un sorriso a 252 denti: rilassato, brillante, spavaldo. La prima e ultima volta, probabilmente. Alle spalle qualche amico e mia sorella 12enne (l'unica presente della famiglia, gli altri probabilmente si vergognavano troppo, come biasimarli!), davanti a me la schiera di docenti a maniche corte e il presidente di commissione, un accademico dalla larga barba bianca. Presentai deciso la mia tesina: guerra civile spagnola con focus sullo scontro fra anarchici e stalinisti. Sfoderai il meglio del mio inglese. Poi Hegel. Giuseppe Ungaretti. Pablo Picasso. Infine una domandina semplice semplice di matematica, a cui ovviamente risposi in modo errato. Trenta minuti velocissimi, serrati, vivaci. Goliardia a palate. Tanta sicurezza, ripeto, era solo data dal fatto che non avevo nulla da perdere: dovevo solo sbrigare l'ultima formalità prima di prendere il largo. Insomma, ci divertimmo un po' tutti. Uscii soddisfatto come meglio non potevo, "meglio di ogni più rosea previsione" come disse qualcuno. Un bacio alla bidella, cori nei corridoi, gavettoni d'acqua, Montenegro, tuffo nella fontana dei giardini come di uso da queste parti nella Marca. Tornai a casa ubriaco per pranzo, alle due e mezza di pomeriggio era chino sui campi a fare la stagione di raccolta del basilico. Due tre settimane dopo ero con altri a respirare fumogeni e manifestare contro il G8 per le strade di Genova. Quella fu un'altra grande esperienza. Ricordo un gran caldo, migliaia di persone, le vetrine sfondate, le fughe dalle cariche della polizia. E, in un istante di surreale lucidità, io e un mio amico di Macerata chiusi tra due file di auto davanti a due giovani tedesche con i pantaloni tirati giù. Altro che "Ovosodo", altro che "Trainspotting"; altro che Vasco, altro che Ligabue.

Il voto di maturità fu alto. Non che me ne fregasse molto. Ma fu comunque una bella soddisfazione, inutile negarlo. La fine di qualcosa, l'inizio di tutto il resto. Il biglietto da visita per l'università. Passando prima per Madrid, Lisbona, Parigi e Amsterdam. Amsterdam!
A 18 anni... A 18 anni chi ti ferma?!

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